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Emanuela Orlandi: la «rosa blu» già conosciuta dagli inquirenti?

Tommaso Nelli

Un passaggio di un verbale del luglio 1983 potrebbe forse sbloccare uno scenario cristallizzato a quarant’anni fa

Un verbale trascurato che potrebbe dare un nome a una testimone mai identificata, due versioni contraddittorie sullo stesso episodio e una presenza femminile nell’ombra. La scomparsa di Emanuela Orlandi è un arcipelago di enigmi e ambiguità. Fra questi, uno dei maggiori è la mancata individuazione dell’ultima persona insieme alla giovane cittadina vaticana prima che se ne perdessero per sempre le tracce. Cioè, una studentessa della sua scuola di musica, la «rosa blu» di Atto di Dolore, individuata dalla direttrice dell’istituto (Suor Dolores), ma lasciata inspiegabilmente appassire nell’oblio dagli investigatori.

Sennonché c’è un passaggio di un verbale dell’epoca che farebbe pensare il contrario. E che, se accertato, sbloccherebbe in positivo uno scenario calcificato a quarant’anni fa. La possibile breccia nel silenzio arriva dalla parte finale dell’audizione resa al Reparto Operativo dei Carabinieri di Roma il 29 luglio 1983 da un’altra allieva della scuola: Maria Grazia Casini. Ovvero colei che rivelò la presenza della «rosa blu» alla famiglia Orlandi la sera stessa della scomparsa di Emanuela (22 giugno 1983); che la menzionò per prima agli investigatori (sempre Reparto Operativo dei CC di Roma, 13 luglio 1983); che riferì come fosse stata identificata dalla direttrice dell’istituto (Squadra Mobile, 22 luglio 1983); e che quel 29 luglio, agli uomini dell’Arma, ne ripeté la descrizione – quindici anni, poco più bassa di Emanuela, capelli corti, ricci e neri – per poi affermare: «Già venerdì scorso (22 luglio, ndg) fui sentita dalla Questura di Roma in merito alla stessa circostanza e mi sembra di aver capito che la ragazza mora e riccia che ho fatto presente prima sia stata generalizzata dalla Polizia stessa».

GLI INTERROGATIVI IN SOSPESO

Le dichiarazioni di Maria Grazia Casini rese di fronte al Reparto Operativo dei Carabinieri di Roma il 29 luglio 1983

Unica informazione della seconda pagina del suo verbale, che qui vi proponiamo inedito, le parole di Casini aprono a un cambio di prospettiva dell’episodio cruciale della scomparsa di Emanuela Orlandi. Davvero la Squadra Mobile avrebbe identificato la «rosa blu» (condizionale d’obbligo, visto che Casini adoperò il verbo «sembrare»)? Nel caso, chi era? Siccome nel fascicolo dell’inchiesta non ci sono le risposte a queste domande, per saperne di più ci siamo rivolti alla fonte principale: la Questura di Roma. Il 24 maggio abbiamo inviato una e-mail al suo ufficio stampa, chiedendo di poter parlare con personale della Squadra Mobile perché disponevamo di documenti che ne chiamavano in causa l’operato sul caso. A digiuno di risposte, dopo una settimana abbiamo chiesto notizie per telefono. Niente da fare. Il 12 giugno, terza richiesta, sempre a voce. Ma ancora silenzio.

L’interrogativo rimane così in sospeso. Insieme ad altri. Tipo: quando sarebbe stata individuata quella ragazza? E qualora ciò fosse avvenuto, fu anche ascoltata? Basandoci sulle parole di Casini, al momento della sua audizione con la Polizia (22 luglio 1983), quest’ultima sarebbe già stata in possesso delle generalità della «rosa blu». Ma di queste, negli atti dell’inchiesta fino a quella data, non c’è traccia. E nemmeno dopo. Quando furono ascoltate tre studentesse della «Da Victoria». Due risultarono del tutto estranee all’episodio (una di queste era assente dalle lezioni da inizio giugno). Una terza, Sabrina Calitti, convocata proprio il 29 luglio (lo stesso giorno di Casini dai Carabinieri), in riferimento alla sera del 22 giugno, riferì quanto segue: «Passando avanti la fermata dei mezzi pubblici di corso Rinascimento […] ho visto che vi erano alcune ragazze della scuola di musica, che io conosco di vista, però non ho notato Emanuela. Di questo sono sicura».

VERSIONI IN CONTRADDIZIONE

Il 4 agosto i Carabinieri interrogarono una studentessa di pianoforte, Laura Casagrande. Anche lei però non si trovò con Emanuela a quella fermata dell’autobus. «[…] Terminata la lezione, siccome io andavo di fretta e in compagnia della mia amica **, abbiamo preceduto l’Emanuela e tutto il gruppo. Scendendo le scale della scuola l’Emanuela era dietro di me per cui giunta al cortile l’ho salutata e ho aspettato, anche se andavo di fretta, tutto il gruppo. […] Vedendo che il gruppo si attardava a parlare, ho deciso di avviarmi verso la mia abitazione […] Durante il tratto di corso Rinascimento che ho percorso a piedi, mi sono girata diverse volte per controllare se il gruppo si era mosso. Durante tali controlli ho appurato che Emanuela era circa venti metri più indietro di me e che più indietro venivano tutti gli altri. Arrivati quasi alla fine di corso Rinascimento mi sono di nuovo girata vedendo solo gli amici, mentre Emanuela non vi era più […]».

Arrivate a oltre un mese dalla scomparsa di Emanuela, quando il caso era di dominio pubblico e mediatico, queste versioni cadono però in contraddizione con la relazione di servizio stesa dalla Squadra Mobile il 27 giugno 1983. Cioè, cinque giorni dopo il mancato ritorno a casa della cittadina vaticana, tra l’altro appena accennato sui giornali. Quando furono interpellate quattro ragazze della «Da Victoria», fra le quali Casagrande, Casini e Calitti. Quest’ultima dichiarò che Emanuela Orlandi «era uscita dalla scuola intorno alle 18:50»; sempre Calitti «l’aveva poi notata ferma, in corso Rinascimento davanti alla fermata del 70, in direzione di Corso Vittorio. In detta circostanza era stata notata anche dalla Casagrande e dalla Casini».

Due deduzioni da questo passaggio. La prima è che Casini è l’unica delle tre coerente nei suoi racconti agli inquirenti. La seconda, più importante, è che sia Calitti che Casagrande il 22 giugno 1983 videro Emanuela Orlandi alla fermata dell’autobus su corso Rinascimento. Ma allora perché nelle settimane successive affermarono il contrario? E quale delle loro due versioni è attendibile? Richiamate nel 2008, durante la seconda inchiesta giudiziaria, hanno dichiarato di non essere in grado di ricordare a causa del tanto tempo trascorso dai fatti.

LA TESTIMONIANZA DI UN ALTRO ALLIEVO DELLA «DA VICTORIA»

Ma ci sono anche studentesse mai cercate in quarant’anni. E che sembrano essere ombre. Come tale «Federica», di cui si apprende l’esistenza dalla testimonianza di un altro allievo della «Da Victoria», Antonio V., che conosceva la famiglia Orlandi, ed Emanuela in particolare, perché direttore del coro della parrocchia di S. Anna dei Palafrenieri. Ascoltato in Questura il 21 luglio 1983, disse di aver appreso della scomparsa la sera stessa del 22 giugno, quando Natalina Orlandi lo cercò per chiedergli un contatto di Suor Dolores. Dopodiché si attivò per aiutare nelle ricerche di Emanuela, «chiedendo notizie alle ragazze del coro, ma senza alcun esito positivo». Ma non solo. Parlò anche «con tale Federica, che frequenta con Emanuela la scuola di musica». Quanto segue è sbalorditivo, perché aggiunge una nuova figura sul luogo della scomparsa: «Questa mi ha riferito che il pomeriggio del 22 giugno, uscita di scuola, si era avviata verso la fermata ATAC di corso Rinascimento, quasi di fronte al Senato […] Giunta all’altezza della tipografia del giornale “Il Popolo” aveva raggiunto Emanuela. Insieme avevano percorso il breve tratto di strada fino alla fermata. Mi pare di ricordare che insieme alla Federica vi fosse anche la Casini M. Grazia, così mi sembra che mi ha detto Federica. Erano rimaste in attesa e, successivamente, lei e Maria Grazia avevano preso l’autobus 70, diretto verso il centro, mentre la Emanuela era rimasta, in attesa, alla fermata stessa».

Federica però non risulta nelle deposizioni di Monzi e Casini. E sembra un fantasma anche nella scuola di musica. Non si ritrova negli elenchi dei corsi di Emanuela (flauto e solfeggio) mentre nei libretti dei saggi musicali tra il 1980 e il 1984 l’unica «Federica» presente, che oggi fa la giornalista, mi ha detto non conoscere né Emanuela e né Antonio V. Colpiscono però due particolari: il primo è che, chiedendo a oltre cento persone tra ex studenti e personale della «Da Victoria», nessuno ricordi una studentessa con quel nome. Il secondo, più importante, è l’assenza del cognome di Federica nel verbale di Antonio V. Perché? Non gli fu chiesto o non fu verbalizzato? Quando ho parlato con lui, agosto 2017, mi disse che non ricordava quale fosse. Per cui: chi era questa «Federica» della «Da Victoria»?

IL SILENZIO TRASVERSALE OPPOSTO DA APPARATI ISTITUZIONALI E SEMPLICI TESTIMONI

Dai fatti alle riflessioni. Amare. A quarant’anni dalla scomparsa di Emanuela Orlandi, non solo siamo ancora fermi alla scena di quella sera su corso Rinascimento. Ma se proviamo a definirla, andiamo a sbattere contro un silenzio trasversale opposto da apparati istituzionali e semplici cittadini, tra «non ricordo», inviti caduti nel vuoto e rifiuti a parlare. E se si pensa che riguarda la sparizione di una quindicenne, l’interrogativo è tanto semplice quanto rumoroso: perché? Perché, dopo così tanto tempo, questa vicenda deve essere ancora prigioniera di una simile cappa di reticenze? Perché ci sono ancora misteri sul luogo dell’accaduto? C’è qualcosa che non si deve conoscere? Che cosa fu visto di così indicibile, da essere taciuto ancora a distanza di così tanto tempo? Eppure, tutto successe in pieno giorno e davanti a decine di persone. Quindi: perché non può essere raccontato?

Prossima ad annegare tra le onde dell’inesorabilità, la fiducia nella verità ha un unico salvagente: la Procura di Roma. Che con il suo lavoro, avvalendosi anche degli atti di indagine all’epoca non confluiti nel fascicolo dell’attività giudiziaria (laddove potrebbero trovarsi le generalità della «rosa blu»?), può dirimere una volta per tutte contraddizioni come quelle fin qui illustrate, dare un nome a quella ragazza mai identificata e soprattutto scoprire ciò che i suoi occhi videro quella sera di quarant’anni fa.

Come scritto in Atto di Dolore, prendendo in prestito le parole di Giovanni Falcone riguardo la mafia, anche la scomparsa di una minorenne è un fatto umano. E come tale ha avuto un inizio e avrà anche una fine. A patto di volerla.