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Emanuela Orlandi, parla per la prima volta un amico: «Solo l’amore poteva offuscare la sua intelligenza»

Tommaso Nelli

«Spero che altri trovino il coraggio di parlare» è stato l’augurio di Pierluigi Magnesio. Un messaggio diretto in particolar modo alle amicizie femminili di Emanuela, «le sue maggiori confidenti»

Un contributo dal triplice valore. Giornalistico, umano e investigativo. L’intervista rilasciata in esclusiva da Pierluigi Magnesio al canale YouTube Indagini Aperte, sabato 3 febbraio, è stata innanzitutto una novità nella scomparsa di Emanuela Orlandi. Perché, per la prima volta in oltre quarant’anni, ha parlato in pubblico una delle sue amicizie più strette, tra quelle del gruppo del Vaticano, che meglio la conoscevano per il tanto tempo trascorso assieme. Finora, tranne alcune sporadiche dichiarazioni alla trasmissione RAI Enigma nel lontano 2004, si erano sempre barricate in un silenzio buono a trasfigurare il nome di Emanuela Orlandi in un tabù.

Magnesio ha invece rotto gli indugi e si è reso disponibile per rispondere alle domande di chi scrive e dei colleghi Igor Patruno e Max Parisi. Una scelta non facile sul piano emotivo, che dimostra amicizia e amore per quella coetanea che sognava di mettere su una famiglia numerosa perché amante dei bambini.

«SOLTANTO L’AMORE POTEVA OFFUSCARE LA SUA INTELLIGENZA»

Caso Orlandi. Il verbale di Pierluigi Magnesio

Il verbale di Pierluigi Magnesio (agosto 1983)

Il coraggio di Pierluigi è stato importante soprattutto perché ci ha rivelato aspetti della personalità di Emanuela finora sconosciuti. Grazie ai quali, adesso, abbiamo nuovi strumenti per focalizzare meglio quel funesto 22 giugno 1983. Quando di lei si persero per sempre le tracce su corso Rinascimento, nel centro di Roma, dopo che era uscita dalla scuola di musica T. L. Da Victoria della vicina piazza S. Apollinare.

Un autentico shock per Magnesio, oggi all’estero, al punto da diventare ateo. «Da quel giorno, ho smesso di credere in Dio», ha detto. Troppo forti il dolore e l’ingiustizia per quell’amica conosciuta alla fine degli anni Settanta del secolo scorso quando si era trasferito in Vaticano«mio padre fu promosso capotecnico elettricista, gli diedero una casa» – e della quale rimase infatuato: «ero innamoratissimo di Emanuela. Molte volte le ho chiesto la mano, facendole sempre dei regalini, ma senza successo». Il motivo? «Diceva che ero immaturo per lei». Una risposta di spessore e insolita per una quindicenne. «Emanuela era solare, compagnona e spiritosa», ha ricordato Magnesio.

Un ritratto in parte già conosciuto, ma integrato da un paio di novità che ne fanno un’adolescente più vicina a una donna che a una bambina: «Era molto matura, dimostrava più della sua età. Non era ingenua. Era in grado di intavolare un discorso con una persona di novant’anni, così come parlare con un bambino di nove». Non le mancavano comunque difetti e debolezze: «Anche se non dava buca agli appuntamenti, non è che fosse sempre puntuale». Ma soprattutto: «Soltanto l’amore poteva offuscare la sua intelligenza».

«LA AVON? POTREBBE AVER MENTITO NELLA TELEFONATA ALLA SORELLA»

Parole che, se interrompono quel processo di santificazione laica alla quale è stata sottoposta la figura di Emanuela in questi decenni, donandoci finalmente l’immagine di una ragazza come tante altre, ci consentono anche di conoscere lati più sensibili nei quali cercare le risposte al suo dramma. Perché per arrivare alla soluzione di un cold case, bisogna partire sempre dalla vittima. Per cui Emanuela era sì «sagace, perspicace e pervicace» come sottolineato da Magnesio, ma questi pregi si attenuavano davanti a «fatti di cuore». E da questi presupposti l’amico ha formulato alcune ipotesi sul giorno della scomparsa, principale buco nero della vicenda.

Per esempio, Emanuela potrebbe aver mentito nella telefonata alla sorella Federica circa l’offerta di lavoro ricevuta quello stesso pomeriggio: volantinare due ore per la casa di cosmetici Avon a una sfilata di moda che si sarebbe tenuta il sabato successivo in cambio di un compenso folle: 375 mila lire (la stessa sorella metterà a verbale che le lire erano 350 mila, ma ciò non altera l’inverosimiglianza della proposta). Il motivo, secondo Magnesio? «Era troppo scaltra per credere a una bugia del genere. Aveva la nozione del denaro, sapeva che 375 mila lire era una cifra assurda». Ma allora perché raccontarla? «Io penso a una copertura per prendere tempo». E per che cosa? «Per nascondere un amore segreto».

Però Emanuela non aveva nessuna relazione al momento della sparizione. Come ammesso anche da Magnesio«mai visto o conosciuto un suo fidanzato» – che nell’intervista ha precisato di aver avanzato delle semplici deduzioni.

«LA FEDERICA DEL DIARIO? FORSE ERA UN AMICO»

Sennonché il fattore sentimentale è ritornato non appena chi scrive gli ha domandato una possibile spiegazione sulla scelta di Emanuela, all’uscita della scuola di musica dopo la telefonata alla sorella. Perché invece di raggiungere gli amici che l’aspettavano al Palazzaccio, si diresse dalla parte opposta, su corso Rinascimento, sostando a lungo in quella fermata dell’autobus di fronte al Senato dove si persero le sue tracce? «La sua intelligenza poteva essere offuscata soltanto da una questione d’amore. Solo questo», ha ribadito Magnesio. Parole che fanno riflettere. Perché, pur essendo sue valutazioni, non arrivano da un Carneade della vicenda o da un giornalista, ma da una persona che conobbe a fondo Emanuela e che ha una sola spiegazione per la surreale proposta di lavoro del finto uomo Avon: «Se è vera, o era un amico, o era un conoscente».

Idem per uno degli altri interrogativi ancora senza risposta della vicenda: il nome di una Federica, all’interno del diario di Emanuela, accanto al quale nell’anno della scomparsa comparve la scritta «indovina chi è». Anche qui Magnesio è diretto: «La butto lì: per me era la copertura di qualche amico, perché lei era un libro aperto». Per liberarci dal dubbio, sarebbe sufficiente che l’attuale indagine della Procura di Roma accertasse l’intestatario di quell’utenza, l’unica priva di cognome tra le trentasette scritte da Emanuela. Nel 1983 gli inquirenti sbagliarono a leggerla e convocarono una persona estranea ai fatti. Fu uno dei diversi errori investigativi del caso, al quale potrebbe aggiungersi anche l’assenza di Magnesio quella sera al Palazzaccio. «Io c’ero», ha dichiarato dopo aver confermato parte dei verbali dell’epoca. Ovvero che vide Emanuela alle 16:30: «Rientravo in Vaticano, lei usciva e mi invitò all’appuntamento con la sorella Cristina al “Palazzaccio”». Dove dice di averla aspettata con gli amici. Non vedendola, si incamminarono verso la Da Victoria, trovando però il portone chiuso.

GLI INTERROGATORI «ALL’ACQUA DI ROSE»

Magnesio, il 12 agosto 1983, aveva però dichiarato ai Carabinieri di non essersi recato all’appuntamento. Come lo spiega? «Può darsi che abbia detto qualcosa di sbagliato agli inquirenti, ero spaventato». Nel caso, l’errore comunque sarebbe suo e non di chi acquisì le sue parole. Qualcuno, che al Palazzaccio c’era, mi ha detto che non ricorda se Pierluigi ci fosse o meno. Ma è sicuro che non arrivarono davanti alla scuola.

Conoscere l’eventuale partecipazione di Magnesio è utile per approfondire il lavoro degli investigatori. Anche perché nella documentazione giudiziaria, i nomi degli amici che avrebbero atteso Emanuela si trovano nell’altra sua deposizione (Procura di Roma, 25 agosto 1983), con una precisazione: «Sono notizie che ho appreso dagli amici, perché io ero andato con mio padre a Ladispoli». Informazioni incomplete, perché il sottoscritto vi conferma che di nomi, all’appello, ne mancano almeno due. Tutto a dir poco surreale.

Magnesio ha memoria del clima «all’acqua di rose» dei suoi interrogatori e di domande piuttosto vaghe: «Mai una specifica. Chiedevano: “Che cosa ti ricordi? Qualcosa che ci può aiutare?”». Sostiene anche che da casa Orlandi fu portato via tutto: «Effetti personali, indumenti… tutto inscatolato, non si vedeva niente». Un racconto che ascoltai anche dai famigliari di Emanuela. Sempre agli atti però non c’è traccia di alcun verbale di sequestro. Ma bisogna anche tener conto che, appena divampò il caso, a casa Orlandi si installarono i servizi segreti.

«NOI RAGAZZI CREAVAMO UNA MASCHERA IN FAMIGLIA»

A Ladispoli, località sul mare, la famiglia di Pierluigi Magnesio aveva una casa. Ma lui ha detto di esservi stato «il sabato e la domenica successivi» alla scomparsa di Emanuela. Cioè il 25 e 26 giugno 1983 nei quali a casa Orlandi arrivarono le telefonate del famigerato omonimo Pierluigi, che nell’ultima chiamata disse di trovarsi con i genitori a cena in un ristorante sul mare. Sul punto, chi scrive coglie l’occasione per rettificare un’inesattezza detta nella diretta: la famiglia Magnesio quella sera non era a cena al ristorante come il Pierluigi telefonista. Ciò comunque non spiega come l’ignoto telefonista fosse al corrente dei movimenti delle persone intorno a Emanuela. Della quale Magnesio ignora le ragioni delle assenze scolastiche e del calo del profitto: «Qualche volta mi disse che aveva marinato la scuola e che la voglia di studiare al liceo scientifico era scemata. Ma non specificò il motivo, né lo chiesi. Perché anch’io, che frequentavo l’istituto tecnico-aeronautico, ne avevo poca».

Su chi possa essere stato l’artefice della sparizione, Magnesio ricorre a una metafora forte e chiara: «Un lupo travestito da agnello». E si ritorna di nuovo ai mondi di Emanuela, a qualcuno che vi faceva già parte o vi era entrato da poco. Vista la sua maturità, qualcuno di potente mise gli occhi su di lei? Altrimenti sarebbe difficile spiegare quarant’anni di depistaggi. «No, che io ricordi no», dice Magnesio che però rammenta l’opprimente clima dietro le Mura Leonine. «Non erano tutte “rose e fiori”, si sentiva la presenza del prelato. L’aria era pesante anche in casa. Vivevamo in famiglie patriarcali, noi secondogeniti sentivamo molto questo e creavamo una maschera con le nostre famiglie rispetto all’esterno».

«SPERO ALTRI TROVINO IL CORAGGIO DI PARLARE»

Non giunsero minacce, ma ci furono paura – «i genitori ci blindarono in casa. Soltanto io e pochi altri andammo a cercarla per Roma nei primi giorni» – e maldicenza: «In Vaticano, i prelati dicevano che fosse una scappatella amorosa». In pratica, l’ambiente di provenienza di Emanuela, che mai collaborò con i nostri inquirenti, cloroformizzò l’accaduto e, anzi, adombrò una responsabilità della vittima. Tutto a dir poco singolare. Come il motivo per il quale lo stesso Vaticano avrebbe dovuto mettere a tacere Magnesio – «parlo oggi perché i tempi sono maturi» – se fosse stata davvero una fuga sentimentale. Qualcosa (eufemismo voluto) non va, in quel piccolo mondo da sempre ermetico verso sé e fuori da sé.

«Spero che altri trovino il coraggio di parlare» è stato l’augurio di Pierluigi prima della conclusione tra le lacrime. Un messaggio diretto in particolar modo alle amiche di Emanuela, «le sue maggiori confidenti». Come normale che sia per una quindicenne, soprattutto di quell’epoca.

Dopo oltre quarant’anni di sostanziale omertà, noi ci auguriamo che questo appello venga finalmente accolto. 

tommaso.nelli@spazio70.com