Qui potrai trovare una vasta rassegna di materiali aventi ad oggetto uno dei periodi più interessanti della recente storia repubblicana, quello compreso tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Ottanta del secolo scorso.
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Lager di Foggia, 3 gennaio 1980. Siamo dei compagni detenuti del carcere di Foggia e a nome di tutti scriviamo questa lettera a Lotta Continua. Citiamo innanzitutto l’articolo 1 della legge 354/75 che dice: «Il trattamento dei detenuti deve essere conforme a umanità e deve assicurare il rispetto della dignità della persona». Poi: «Il detenuto deve essere chiamato o indicato con il proprio nome». Orbene: non solo qui il trattamento è disumano, repressivo, autoritario, ingiusto, e la nostra dignità non è affatto rispettata, ma addirittura qua ci chiamano «guagliò» oppure «giovani» o roba del genere.
C’è poi l’art. 35 che dice: «I detenuti e gli internati possono rivolgere istanze, reclami orali o scritti, anche in busta chiusa, al Direttore dell’istituto, agli Ispettori, al Direttore generale per gli istituti di P. P., al Ministero di Grazia e Giustizia, al Capo dello Stato», eccetera. Ebbene anche questo articolo, per questo carcere, non esiste: infatti un compagno ha scritto una lettera di protesta al direttore e ora si trova in cella di punizione, sottoposto, come di consueto, a lavaggio del cervello, pestaggio, eccetera. Eppure questo detenuto non ha fatto altro che esercitare i propri diritti democraticamente. La risposta che ha avuto è stata la solita, brutale, ingiusta e violenta tanto che ora ognuno tiene la bocca chiusa per paura.
L’art. 12 del regolamento dice: «I rappresentanti dei detenuti e degli internati assistono al prelievo dei generi vittuari, ne controllano la qualità e la quantità, verificano che i generi prelevati siano interamente usati per la confezione del vitto», eccetera. Dunque: la rappresentanza dei detenuti per il controllo del vitto c’è, ma i detenuti sono messi in condizione di non poter agire per paura. Il signor direttore, scordando le norme della legge, ha chiaramente detto che sulla qualità del vitto i detenuti non devono mettere lingua e così, praticamente, non c’è nessun controllo sulla qualità del vitto: la frutta viene pesata con tutte le cassette, la carne spesso puzza, il formaggio è sempre il solito, cioè quello più scarso che costa di meno, la mozzarella è fatta apposta per noi ed è immangiabile; del pane si può mangiare solo la crosta, il caffè è acqua, eccetera. Inoltre il vitto, secondo il regolamento, dovrebbe essere distribuito a intervalli regolari di tempo non inferiori a cinque ore: qua si mangia alle 12 e alle 16 già portano il brodo. Il vitto ci viene distribuito, per mancanza di lavoranti, dagli scopini che di certo non pensano a lavarsi le mani o a cambiarsi.
Ci spettano quattro ore di aria al giorno, ma – dato che ci aprono sempre dieci minuti dopo l’orario e ci chiudono dieci minuti prima e dato che la palestra, biblioteca, cinema, messa, eccetera, sono tutte comprese in queste quattro ore – di aria ne prendiamo sì e no un’ora. Il resto della giornata siamo chiusi in cella al freddo, con l’acqua che entra dentro dalle finestre, i muri che sporcano di calce, la radio accesa ad alto volume sintonizzata sui programmi più stupidi. Insomma, un vero e proprio lavaggio del cervello. Se poi piove o fa un po’ di freddo, la guardia si stufa di aprire il cortile e così dobbiamo restare chiusi in palestra e guai a richiamare i propri diritti: arriva la squadretta e si dà il via alle botte e alle celle.
Il cinema spetta ogni quindici giorni, ma se va bene lo fanno una volta al mese. La televisione è comandata dalla regia e i programmi ce li fanno vedere solo a metà. Insomma, questo carcere è fatto per distruggere la persona psichicamente e fisicamente, tanto che i detenuti esasperati hanno tentato il suicidio e qualcuno si è tagliato con la lametta. L’aria che si respira è di paura, tensione e provocazione. Precisiamo che noi non chiediamo di star qui come in un albergo: anzi è giusto che chi ha sbagliato paghi, però vorremmo essere trattati con un po’ di umanità secondo gli articoli delle leggi vigenti.
Questa non è solo una lettera di protesta, ma è più che altro un appello rivolto alle autorità competenti affinché vengano in questo lager. Chiediamo che non si limitino solo a guardare l’entrata, ma visitino il complesso e si prestino a un colloquio con noi detenuti.
Ci sarebbero ancora tante cose da dire, ma potrebbe sembrare che chiediamo troppo e quindi ci limitiamo a citare le cose più gravi ed evidenti. Naturalmente ci assumiamo la responsabilità di quanto scritto. A nome di tutti i detenuti del carcere di Foggia.