logo Spazio70

Benvenuto sul nuovo sito di Spazio 70

Qui potrai trovare una vasta rassegna di materiali aventi ad oggetto uno dei periodi più interessanti della recente storia repubblicana, quello compreso tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Ottanta del secolo scorso.
Il sito comprende sei aree tematiche e ben ventidue sottocategorie con centinaia di pezzi su anni di piombo, strategia della tensione, vicende e personaggi più o meno misconosciuti di un’epoca soltanto apparentemente lontana. Per rinfrescare la memoria di chi c’era e far capire a chi era troppo giovane o non era ancora nato.
Buona lettura e non dimenticare di iscriverti sulla «newsletter» posta alla base del sito. Lasciando un tuo recapito mail avrai la possibilità di essere costantemente informato sulle novità di questo sito e i progetti editoriali di Spazio 70.

Buona Navigazione!

Caso Orlandi: «Federica», «Telepace» e quel numero sul diario di Emanuela tabù anche per «Telecom»

Tommaso Nelli

Dai diari liceali della cittadina vaticana scomparsa il 22 giugno 1983, un sentiero da approfondire

Un nome e un numero di telefono mai identificati per un interrogativo che non può essere trascurato: a chi si riferivano? Dai diari liceali di Emanuela Orlandi spunta un sentiero da approfondire, se si vuol sapere che ne fu di lei. Perché relativo al suo vissuto. Perché vittima di distrazioni e anomalie investigative. Perché rimanda anche al suo ambiente di provenienza, il Vaticano. E perché sbarrato da muri di silenzio che chiamano in causa addirittura “Telecom”, la compagnia telefonica nazionale. Tutto comincia dalla rubrica telefonica in fondo ai diari del 1981/82 e del 1982/83, al termine del quale si persero per sempre le tracce della protagonista di questo dramma. Alla lettera “F” fu annotato un nome femminile, “Federica”, seguito da un numero di telefono, 3455288, e da una frase che da sola, senza volerlo, accende il mistero: “Indovina chi è”.

I MANCATI ACCERTAMENTI SU «FEDERICA»

Come già spiegato in “Atto di Dolore”, la D.I.G.O.S. volle vederci meglio e il 27 luglio 1983 convocò nei suoi uffici la signora Giorgina De Luca, residente nella distinta zona della Balduina. Ma la donna gelò le aspettative: “Non conosco alcuna persona a nome Federica che abiti o abbia abitato presso la mia abitazione. Non ho mai conosciuto, e ritengo neanche altri componenti il mio nucleo famigliare, la giovane Emanuela Orlandi”. Elementare la sua estraneità. Gli inquirenti avevano letto male la penultima cifra, scambiando l’8 per un 3, e di conseguenza avevano chiamato la persona sbagliata.

Dalle distrazioni alle anomalie. Già perché gli accertamenti su “Federica” e su quel numero da quel momento si interrompono. Per sempre. Nonostante lei non sia stata identificata. E nonostante un appunto dell’allora SISDe (il servizio segreto civile oggi AISI) del 7 luglio 1983, cioè venti giorni prima, lo riportasse correttamente. Possibile che a nessuno venne lo scrupolo di ricontrollarlo? Possibile non averne voluto sapere di più? Sia all’epoca che ai giorni nostri. Quando nella seconda inchiesta giudiziaria è stato nuovamente lasciato lettera morta per concentrarsi su tutta una serie di piste, lontane da Emanuela, e rivelatesi binari morti.

BUSSATE E VI SARÀ APERTO? NON PROPRIO

Dal lavoro delle forze dell’ordine a quello del sottoscritto. Nel mio acquisire informazioni scoprivo, non senza un pizzico di stupore, come quel numero, gettato dalla finestra dell’enigma vaticano più tristemente noto, vi rientrasse dalla porta. Perché da “Italiaonline” – la società che gestisce anche il servizio delle “Pagine bianche” – apprendevo che nel 1992 era il recapito telefonico della sede romana di “Telepace”. Ovvero dell’emittente televisiva, benvoluta da Giovanni Paolo II, fondata a Verona nel 1977 e presente anche nella Capitale. Però soltanto dal 1990.

Ma dunque? Dal 1983 fino a quel momento a chi era appartenuta quell’utenza? “Italiaonline” non poteva rispondere, perché col materiale a sua disposizione era impossibilitata a retrodatare la ricerca. Davanti a me a quel punto due strade. La prima era che “Telepace” avesse ereditato quel numero dai precedenti inquilini dello stabile nel quale si insediò. Ma questo, situato in viale del Parco Mellini (arteria d’asfalto che collega viale Trionfale con la terrazza dello “Zodiaco” attraversando la Riserva di Monte Mario), secondo visure catastali è stato edificato soltanto a partire dal 1985. Quindi nel 1983 “Federica” non poteva abitarvi. E da ciò si ipotizza che “Telepace” ricevette quella linea perché libera. Per sciogliere il dubbio, tra luglio 2017 e gennaio 2018 scrissi otto e-mail all’emittente, chiedendo informazioni in merito, tra gli altri, al suo fondatore e al suo direttore. Ma la risposta è stata sempre la stessa: il silenzio. Come mai? Mistero della fede. Certo invece che da quelle parti l’evangelista Luca “Bussate e vi sarà aperto” – non sembra essere tra le letture preferite.

«GENTILE AVVOCATO, NON È POSSIBILE FORNIRE QUESTO TIPO DI INFORMAZIONE»

La seconda strada era risalire direttamente all’intestatario di quel numero nel 1983. Mi sono rivolto a personalità con trascorsi professionali nel settore dell’informatica e delle telecomunicazioni, alcune delle quali hanno indagato anche su stragi di mafia. Ma neanche loro sono riusciti a scoprirlo. A quel punto sono andato alla fonte principale: “Telecom”, “SIP” nel 1983. Tra l’ottobre 2020 e il febbraio 2021 ho inviato cinque e-mail al suo ufficio stampa senza però alcun successo. Così nello scorso aprile, grazie alla disponibilità di un avvocato, tramite PEC rinnovavo la “necessità di conoscere un’utenza attiva nel 1983 nella città di Roma ovvero il numero 06/3455288”. Il 7 maggio arrivava una risposta – “Comunichiamo che la linea 063455288 non risulta attiva con TIM” – poco pertinente con la mia istanza, rivolta al passato e non al presente. Pochi giorni dopo, sempre per posta certificata, sollecitavo nuovamente la mia richiesta. Sennonché alle 21:25 del 10 luglio 2021 (sabato sera e vigilia della finale del Campionato Europeo, Italia-Inghilterra) giungeva un’affermazione lapidaria e spiazzante: “Gentile Avvocato, non è possibile fornire questo tipo di informazione”.

Ma perché? Perché anche per “Telecom” il telefono di “Federica” è tabù? Pure qui non è dato sapere. Sgombriamo comunque il campo dalle solite storie di privacy. Perché in nome del diritto all’informazione la legge autorizza i giornalisti ad accedere alle banche dati, facendone ovviamente un uso rispettoso dei titolari. E perché si tratta di un’utenza dismessa da circa vent’anni. Allora perché non si può sapere a chi appartenesse nel 1983? E poi: chi era “Federica”? Quando, dove e come Emanuela Orlandi la conobbe?

«FEDERICA» SEMPRE PIÙ AVVOLTA NELLA NEBBIA

Una volta appresa l’esistenza di questo nome, avevo iniziato una serie di verifiche negli universi sociali della giovane cittadina vaticana. Ma nessun riscontro sia nel cosiddetto “gruppo del Vaticano” che nella classe del liceo (II^B “Convitto Nazionale Vittorio Emanuele II”). Estesi gli approfondimenti anche tra altre studentesse dell’istituto nell’anno scolastico 1982/83, ma quelle a nome “Federica” non avevano quel recapito telefonico. Rimaneva la scuola di musica. La “Federica” del diario poteva essere la studentessa, di cui vi abbiamo scritto qualche settimana fa, che il giorno della scomparsa di Emanuela sarebbe stata con lei all’ormai bermudiana fermata dell’autobus di fronte al Senato? Non conoscendone il cognome, anche questa domanda è rimasta inevasa (per ora). Ma se così fosse, individuarla per gli organi competenti non avrebbe dovuto essere molto complicato, perché i suoi dati erano acquisibili dalla segreteria della “Da Victoria”. Di questo nome ho chiesto anche a Cristina Orlandi, sorella minore di Emanuela. Le due trascorrevano insieme molto tempo libero per la vicinanza di età (due anni). Ma lei, via Messenger, il 21 novembre 2017 mi scrisse: “Questa Federica non mi dice nulla. Purtroppo se era una compagna di scuola io non le conoscevo”.

Federica” quindi sempre più avvolta dalla nebbia. Di certo è un nome entrato nell’orbita umana di Emanuela Orlandi a partire dalla seconda metà del 1981, perché apparve nel diario della prima superiore mentre era assente in quello della terza media (1980/81). Insieme a due particolari che attirano ancora di più l’attenzione.

GLI INQUIRENTI INDIVIDUARONO PERÒ «UMBERTO»

Il primo è la scritta “Indovina chi è”, accanto al nome già nel 1981/82. Che cos’aveva di particolare “Federica” da suscitare tanta curiosità? E chi doveva indovinarne l’identità? Il secondo è l’assenza del cognome. Sia al primo che al secondo anno. Un dettaglio tutt’altro che superfluo. Perché si ripete soltanto per un altro dei trentasette nominativi presenti, tale Umberto, presente però soltanto nel diario del 1982/83. Era un allievo della classe di flauto della “Da Victoria”, di Emanuela aveva una conoscenza limitata alla scuola di musica e insieme si erano esibiti come solisti in un paio di saggi di fine anno. Il suo cognome iniziava per “C” e non era il “Balsamo” che rimandava al noto cantautore e che era stato scritto tra parentesi, a mo’ di battuta, da una calligrafia analoga – per la forma della “m” e per la scrittura in stampatello – a quella di un compagno del liceo di Emanuela, presente anch’esso nella rubrica e, da quanto mi è stato detto da chi lo ha conosciuto per ragioni di studio, amante degli scherzi.

Però proprio la definizione di “Umberto” infittisce il mistero su “Federica”. Se gli inquirenti individuarono lui, sentito il 12 luglio 1983, perché non arrivarono anche a lei? E poi: se tutti gli altri contatti, in primis le amiche più strette di Emanuela, erano riportati per esteso, perché “Federica” aveva beneficiato di un’eccezione? E perché per due anni consecutivi?

Il 14 gennaio ricorreva la nascita di Emanuela Orlandi. Di lei non abbiamo più saputo nulla dal 22 giugno 1983 ed è inammissibile che dopo tutto questo tempo la sua scomparsa sia ancora sommersa da questa marea di domande. Esse sono comunque un valido motivo per presentare alla magistratura italiana un’istanza di riapertura delle indagini. Perché quelle risposte sono ancora possibili. E perché fino a quando non si illumineranno in toto i microcosmi sociali di questa sfortunata quindicenne, la verità sulla sua fine rimarrà, purtroppo, un’illusione.