logo Spazio70

Benvenuto sul nuovo sito di Spazio 70

Qui potrai trovare una vasta rassegna di materiali aventi ad oggetto uno dei periodi più interessanti della recente storia repubblicana, quello compreso tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Ottanta del secolo scorso.
Il sito comprende sei aree tematiche e ben ventidue sottocategorie con centinaia di pezzi su anni di piombo, strategia della tensione, vicende e personaggi più o meno misconosciuti di un’epoca soltanto apparentemente lontana. Per rinfrescare la memoria di chi c’era e far capire a chi era troppo giovane o non era ancora nato.
Buona lettura e non dimenticare di iscriverti sulla «newsletter» posta alla base del sito. Lasciando un tuo recapito mail avrai la possibilità di essere costantemente informato sulle novità di questo sito e i progetti editoriali di Spazio 70.

Buona Navigazione!

La Magliana e i suoi misteri. L’omicidio di Roberto Abbatino

Tommaso Nelli

Per mettere a fuoco l'omicidio del fratello di «Crispino» non si può che cominciare dalla notte tra il 22 e il 23 marzo 1990, quando la moglie Cinzia si reca alla stazione dei Carabinieri di Acilia per denunciarne la scomparsa

Domenica 25 marzo 1990, ore 13:30, argine del Tevere all’altezza di Centro Giano, frazione tra Vitinia e Acilia, sud di Roma. Un gruppo di Carabinieri e sommozzatori dei Vigili del Fuoco sono impegnati nel recupero di un cadavere che affiora dalle acque del fu biondo fiume. È di un uomo. Ma soprattutto presenta numerose ferite di arma da taglio sul corpo, come scriverà l’Arma nel suo fonogramma. La salma viene traslata all’obitorio comunale della Città Eterna, dove più tardi Cinzia, trent’anni ancora da compiere, non avrà dubbi a riconoscerla. È quella di Roberto Abbatino, suo marito, ma soprattutto fratello di Maurizio, detto Crispino, uno dei capi della Banda della Magliana, latitante dal dicembre 1986. La notizia sconvolge tutti: parenti, investigatori e mondo del crimine. Chi è stato? E perché?

«DOVEVA TORNARE DOPO MEZZ’ORA. NON L’HO PIÙ RIVISTO»

Omicidio di Roberto Abbatino

Stazione carabinieri di Vitinia, fonogramma rinvenimento corpo Roberto Abbatino (in data 25 marzo 1990)

Domande ancora senza risposte dopo più di trent’anni per un delitto che, osservato da vicino, racconta altro rispetto alle ipotesi investigative e alle fantasiose congetture di una certa pubblicistica editoriale e televisiva. Per metterlo a fuoco, non si può che cominciare dalla notte tra il 22 e il 23 marzo. Quando Cinzia era andata alla stazione dei Carabinieri di Acilia, dove la coppia risiedeva, per formalizzare la scomparsa: «Verso le ore 11:00 di domenica scorsa, 18-03-1990, mio marito Abbatino Roberto, usciva di casa asserendo che sarebbe ritornato dopo una mezz’oretta. Da quel momento, non l’ho più rivisto. Prima di allontanarsi da casa, l’ho visto salire a bordo di una autovettura di colore grigio del tipo “Uno”, “Y10″o “Peugeot 205” che prima di uscire mi aveva riferito appartenere a un suo amico non meglio precisato».

Poche righe furono più che sufficienti già per chiedersi dove fosse diretto Abbatino quella mattina, di chi fosse quell’auto e perché aspettare quattro giorni prima di fare la denuncia. Una pesante anomalia. La moglie disse di essere andata dalle forze dell’ordine dopo le vane ricerche condotte con i famigliari del marito. Soltanto la sera del ritrovamento, nuovamente sentita dai Carabinieri, fu più precisa: «Mi sono rivolta ad amici e conoscenti». Fece il nome di sei persone, di cui fornì i numeri di telefono, e aggiunse che aveva chiesto anche «nei locali notturni ove solitamente mio marito mi portava qualche volta». Amava la musica, Abbatino. E fra le sue mete preferite di quella Roma all’alba di altre notti magiche (quelle di Italia ’90), c’erano il Kripton ai Parioli, il Notorius dietro piazza Barberini e l’Executive all’Aventino. Posti esclusivi in zone altrettanto chic della Capitale per un giovane uomo con indole da viveur.

UNA PEUGEOT 205 APPARTENENTE A UNA CERTA KATIA DI OSTIA

Proprio la debolezza verso il gentil sesso, la stessa che nel 1983 consentì l’arresto del fratello Maurizio latitante, permise di sapere qualcosa in più sull’auto a bordo della quale si persero le sue tracce. Era una «”Peugeot 205″ grigio scuro quasi nero, targata Roma con l’ultima lettera “W”» mise a verbale la madre, che nella sua abitazione alla Magliana aveva visto il figlio il giorno della sparizione, in «un orario dalle 10:30 alle 11:30», ignorando però se avesse un appuntamento con qualcuno. La vettura apparteneva a una certa Katia, abitante a Ostia. Ma come l’aveva scoperto? Leggendo il libretto di circolazione custodito nel cruscotto anteriore della vettura, nella quale era entrata su richiesta di Roberto per recuperargli le sigarette. Presto spiegata tanta curiosità: «Siccome a mio figlio gli piacciono le ragazze, ho voluto accertarmi a chi la predetta vettura apparteneva», specificò la signora Elsa. L’intuito femminile delineò un lato del carattere di Roberto Abbatino e una relazione matrimoniale non proprio idilliaca. Frequenti i litigi, «non ci trovavamo come mentalità», disse Cinzia, che la inducevano ad andarsene ogni tanto dai genitori mentre il marito continuava a vivere nella loro abitazione. Una delle ultime volte, nell’estate precedente. Quando erano rimasti senza corrente. «Economicamente non ce la passavamo bene», spiegò la donna.

Lei era segretaria in una società di automazioni per cancelli (e non infermiera, come scritto dalla stampa dell’epoca), lui commerciante di articoli religiosi nei pressi della Scala Santa a piazza S. Giovanni in Laterano in società con lo zio paterno, Riccardo. Almeno fino a tre anni prima, quando sciolsero l’attività. Roberto fu liquidato con tre milioni e mezzo di lire per poi aiutare giornalmente lo zio, che aveva continuato in proprio e gli corrispondeva uno stipendio proporzionato al suo effettivo impegno. Perché il nipote, a causa delle sue serate danzanti, spesso arrivava tardi al lavoro. Oppure non si faceva proprio vedere. Soprattutto nel periodo antecedente la scomparsa. «Da circa un anno veniva saltuariamente, si fermava un paio d’ore e andava via. Negli ultimi due mesi è passato per salutarmi, tre o quattro volte», raccontò ai Carabinieri sempre la sera del ritrovamento del corpo. Informazioni però sconosciute a Cinzia. Almeno a parole: «Non ero a conoscenza del fatto che mio marito usava andare a lavorare saltuariamente da suo zio. Né sapevo che non aveva più diritto al 50 per cento del guadagno e del ricavato della vendita. Nulla so dei 3.500.000 che voi mi dite che mio marito ha riscosso dallo zio quando hanno sciolto la società». La donna non aveva nemmeno idea di chi potesse essere la Katia della Peugeot, che non sappiamo se fu poi mai rintracciata, o delle frequentazioni del coniuge. Tipo l’amicizia col ballerino Truciolo —salito alla ribalta col programma tv Fantastico a fine anni Settanta e poi arrestato per detenzione di cocaina (aprile 1988)— che Roberto avrebbe incontrato il 15 marzo 1990 (tre giorni prima di sparire) dopo la cena a casa dallo zio. Dove fece un paio di telefonate, ignoti i destinatari, per poi uscire alle 22:30: «Senza dirmi se andava via a piedi o c’era qualcuno sotto ad aspettarlo» precisò Riccardo Abbatino, che gli prestò anche 50.000 lire.

UN OMICIDIO ESEGUITO CON ATROCITÀ

Era a corto di liquidi quella sera, il fratello di Crispino. Eppure, indossava un abito tipo Principe di Galles —«Lo ha portato a casa una settimana prima che scomparisse, mi disse che lo aveva avuto in dono da un amico», riferì la moglie— e non sembrava passarsela poi tanto male, visto che indossava bracciali pregiati ai polsi ed era stato visto girare su auto di lusso. Non sappiamo se lo fosse anche quella lasciata senza benzina a piazza Fiume e recuperata dalla moglie nei giorni tra la sparizione e la denuncia. Come si ignora dove andò Abbatino la mattina della scomparsa, vero epicentro del mistero. Come misteriosa era la sua vita: «Non so le amicizie maschili e femminili che avesse», dichiarò il padre Antonio: «Con lui non avevamo tanto dialogo in quanto da che si era sposato a parte qualche sporadica visita, ci vedevamo ben poco».

Un matrimonio già in crisi, una quotidianità ignota ai più, nessuna occupazione stabile e però un tenore di vita superiore alle proprie possibilità. Ma chi era davvero Roberto Abbatino? E soprattutto: chi poteva avere interesse a eliminarlo? E perché con tanta atrocità? «Ferite multiple da taglio in regione collo sotto angolo mandibolare sinistro e un taglio in regione ipocondrio destro», si legge nel referto medico. Una vera e propria tortura mortale per un totale, secondo le cronache, di trentacinque colpi, compresi quelle fatali a cuore e polmoni. Ma dove avvenne, visto che il corpo fu ritrovato a pochi chilometri da casa? E chi furono i carnefici?

«MIO FRATELLO? ERA MOLTO NERVOSO»

Per scoprirli, le indagini partirono dal suo cognome. Non poteva essere diversamente. Il suo tristemente più noto fratello, Maurizio, era introvabile. Per gli investigatori e pure per gli ex sodali della Banda. A fine 1986, Roberto lo aveva aiutato a fuggire da Villa Gina, clinica privata dell’EUR dove era ricoverato simulando un’ipertrofia muscolare alle gambe, procurandogli un primo nascondiglio e documenti falsi per l’espatrio in Svizzera. Da dove Crispino raggiunse il Brasile e poi il Venezuela. Solo Roberto sapeva del suo nascondiglio a Caracas. Tanto da andare a trovarlo pochi mesi prima della morte. «Avevo appreso da mia madre che negli ultimi tempi mio fratello era praticamente nervoso e si scaricava in famiglia, ma nessuno era riuscito a capire che problemi avesse» raccontò Maurizio agli inquirenti il 12 dicembre 1992, soffermandosi come il fratello fosse finito in giri sbagliati: «In occasione del nostro incontro appresi da lui stesso che aveva allacciato contatti con Libero Mancone e Roberto Frabetti, dai quali aveva ricevuto una partita di eroina che però non era riuscito a smerciare perché, oltre a non essere pratico dell’ambiente, si trattava di merce di pessima qualità. Mio fratello mi aveva anche fatto notare che quelli della Banda non erano più miei amici e che avevano fatto pressioni su di lui, sia per ottenere il pagamento della partita di droga fasulla, sia per sapere dove io mi trovassi».

Sennonché la presunta poca praticità dell’ambiente di Abbatino jr. è smentita dai fatti. Perché anni prima era stato fermato con in tasca una dose di eroina; perché si era preso una denuncia per tentata estorsione; e perché procacciò armi per il fratello, acquistando un revolver 357 Magnum (matr. 94K3293) e un fucile calibro 12 (matr. 131713) presso un’armeria a viale Baldo degli Ubaldi. Anche il teorema inquisitorio che fosse stato ucciso dagli ex complici di Maurizio per ritorsione e come punizione per un affare finito male, non ha mai trovato riscontri ed è stato ottimo giusto per la cinematografia, talvolta anche giornalistica, sulla Banda. Perché dalla realtà, per esempio il processo concluso nel 1996 e nato proprio dalle rivelazioni di Crispino (la cosiddetta Operazione Colosseo), i nomi degli assassini non emersero. Come non uscirono dall’altra tesi, formulata per altro nell’immediatezza del fatto, che avrebbe voluto Roberto vittima della guerra tra i superstiti delle due anime della Banda: Testaccio e Magliana. Siccome poche settimane prima, il 2 febbraio 1990, era stato ucciso Enrico De Pedis, per vendetta i Testaccini avrebbero colpito l’altra fazione eliminando il fratello di uno dei suoi capi. I Carabinieri già la sera del 25 marzo ascoltarono uno dei fedelissimi di Renatino, Paolo Frau detto Paoletto, che però proclamò la sua estraneità: «Non conosco Roberto Abbatino e con lui non ho mai avuto affari da trattare […] Non ho niente da temere […] Non ho nemici e non ho fatto niente a nessuno». Per la cronaca, Frau fu ucciso a Ostia il 18 ottobre 2002. Un delitto irrisolto al pari di quello di Roberto Abbatino. Anche le notizie comparse nel 1999 che indicarono l’omicida in Angelo Angelotti, il Giuda di Campo de’ Fiori, furono infatti altre voci senza conferma.

UNA PISTA MAI SEGUITA DAGLI INQUIRENTI. «MA DI QUESTO NON PARLO»

Un epilogo sorprendente solo a prima vista. Perché la Banda della Magliana uccideva in altro modo. E ben più sbrigativo. Nessuna tortura o armi da taglio. Bensì piombo ed esecuzioni implacabili. Come quelle di Giuseppe Magliolo, Nicolino Selis, dello stesso De Pedis o dell’agguato di via Donna Olimpia, tanto per fare alcuni esempi. Quindi perché avrebbe dovuto cambiare abitudini proprio in questa circostanza? E poi: visto che c’è stato un processo e diversi esponenti del sodalizio riconobbero i loro crimini, perché non dichiarare anche questo e beneficiare di ulteriori sconti di pena? Oltretutto, Roberto Abbatino non era un pezzo grosso e il fratello era stato arrestato al pari loro, che quindi non avrebbero dovuto temere eventuali rivalse in caso di ammissione. Ci si chiede quindi: si indagò a fondo nella sua vita? Si ricostruì la sua rete di frequentazioni? Che cosa facesse durante le giornate? E quale fosse la sua fonte di guadagno?

Anche perché a spalancare la porta di un altro movente, è stato proprio il fratello Maurizio. Che in un’intervista a la Repubblica, nel 2017, ha dichiarato: «C’è altro dietro la sua morte». Che cosa, però, non l’ha voluto dire: «C’è un’altra possibilità che gli investigatori non hanno mai preso in considerazione, comunque preferisco non parlarne». E così le nebbie continuano a imprigionare anche questo mistero. Insieme alla stessa domanda di trentaquattro anni fa: perché Roberto Abbatino?

tommaso.nelli@spazio70.com