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Giangiacomo Feltrinelli precursore del terrorismo internazionale?

Redazione Spazio70

L'infaticabile opera di «networking», capace di mettere in collegamento fra loro movimenti e realtà radicali ed eversive in vari Paesi e aree del mondo, pose Feltrinelli al centro di una fitta ragnatela di relazioni politiche e strutture clandestine di carattere logistico-militare, destinate a fare per anni da spina dorsale al fenomeno del terrorismo socialrivoluzionario

di Gianluca Falanga*

La nuova inchiesta sulla storia di Giangiacomo Feltrinelli intitolata Untold, scritta da Ferruccio Pinotti e appena pubblicata da Round Robin Editrice, ha un grande pregio, quello di avere fatto propria la chiave di lettura internazionale, l’unica che consente di riconoscere davvero la caratura del personaggio, il profilo e le dimensioni del suo agire politico. Spesso presentato come un folle o un rivoluzionario ingenuo, un miliardario che voleva giocare per noia o diletto a fare il Guevara italiano, proiettando il modello della guerriglia di liberazione terzomondista nel cuore dell’Occidente industrializzato, Feltrinelli è stato evidentemente uno dei principali levatori della violenza politica che esplose alle porte degli anni settanta (con prodromi nel precedente decennio) a cavallo fra Europa e Medio Oriente. La sua infaticabile opera di networking che mise in collegamento fra loro movimenti e realtà radicali ed eversive in vari paesi e aree del mondo lo mise al centro di una fitta ragnatela di relazioni politiche e strutture clandestine di carattere logistico-militare, destinate a fare per anni da spina dorsale al fenomeno del terrorismo socialrivoluzionario.

Proprio questo approccio internazionale, anzi transnazionale, è ciò che più mi ha convinto a collaborare al lavoro di Pinotti con un contributo, frutto di lunghe conversazioni con l’autore, su tre aspetti dei quali in passato ho avuto modo di occuparmi: il ruolo dell’editore milanese nella genesi della «lotta armata» rivoluzionaria in Germania, quello avuto nell’imbastitura fra Svizzera e Austria dell’infrastruttura logistica del terrorismo internazionale, e il suo rapporto con i servizi segreti d’oltrecortina. Si tratta, va sottolineato, di tre tasselli fondamentali per ricostruire il mosaico della parabola politica di Feltrinelli.

IL PATTO SEGRETO DUTSCHKE-FELTRINELLI

La nuova inchiesta sulla storia di Giangiacomo Feltrinelli, scritta da Ferruccio Pinotti e appena pubblicata da Round Robin Editrice

Nella storia del movimento studentesco nella Germania occidentale e in particolare a Berlino ovest Feltrinelli è una figura tutt’altro che marginale. Confrontando le numerose testimonianze di chi lo conobbe con la stampa dell’epoca e fonti contemporanee come le carte di Rudi Dutschke (appunti, annotazioni diaristiche) conservate ad Amburgo, si ottiene il seguente quadro. Attraverso l’attività editoriale, Feltrinelli aveva consolidati rapporti con l’intellettualità radicale tedesco-occidentale e s’interessò molto presto ai fermenti che portarono alla contestazione giovanile del 1966-69, finanziando le principali campagne del movimento, per esempio quella contro il magnate della carta stampata Axel Springer. All’indomani dei drammatici fatti del 2 giugno 1967, culminati nell’omicidio dello studente Benno Ohnesorg per mano dell’agente di polizia Karl-Heinz Kurras (nel 2009 si è poi scoperto essere una spia della Stasi), arrivò il salto di qualità: il mecenate della Nuova sinistra rivoluzionaria provò ad agganciare il movimento tedesco, radicalizzato dagli eventi, alla sua rete di rivoluzionari europei, stringendo un sodalizio politico, strategico e operativo con Dutschke. Il «capo degli studenti» tedeschi, nell’estate-autunno 1967, abbandonò la prospettiva «entrista» di progressiva infiltrazione delle organizzazioni della sinistra tradizionale per spingerle su posizioni radicali e abbracciò quella guevarista di una moltiplicazione dei focolai di rivolta e di sistematico innalzamento del livello di scontro col potere costituito. La speranza di Dutschke era quella di riuscire a sfruttare le risorse e i contatti internazionali di Feltrinelli per rafforzare il movimento e prepararlo a reggere l’urto dello scontro frontale col «sistema».

Dutschke al Vietnamkongress

Il patto segreto DutschkeFeltrinelli fu stipulato a Milano nel settembre 1967. La prima tappa dell’Eskalationsstrategie concordata dai due fu l’organizzazione del grande raduno internazionale dei movimenti rivoluzionari in solidarietà alla lotta antiamericana in Vietnam, che si tenne a Berlino ovest il 17-18 febbraio 1968. L’evento, finanziato e aperto personalmente da Feltrinelli, sembrò dare corpo, con la convergenza di tre componenti partecipanti al convegno (organizzazioni della sinistra extraparlamentare europea, movimenti di guerriglia decoloniale e delegazioni delle organizzazioni giovanili dei partiti al potere nei paesi socialisti), a quel fronte unico globale antimperialista auspicato dall’editore milanese. L’attività agitatoria, articolata in interventi che auspicavano apertamente un celere passaggio «dalle armi della critica alla critica delle armi», fu accompagnata a livello clandestino dalla preparazione di una serie di attentati (non realizzati) ai porti tedeschi di Amburgo e Brema contro le navi americane che trasportavano materiale bellico in Vietnam. Svariati testimoni oculari hanno confermato che la notte del 16 febbraio 1968, cioè alla vigilia del Vietnamkongress, Feltrinelli si presentò a casa di Dutschke a Berlino ovest con il bagagliaio della sua Due cavalli imbottito di candelotti di dinamite. L’esplosivo fu stipato da Dutschke nel passeggino del figlio e trasferito nell’appartamento del cantautore Franz Josef Degenhardt. La vivace discussione notturna su come e quando procedere con l’attentato al porto di Amburgo si concluse con la decisione di abbandonare il proposito, dal momento che – così i testimoni presenti – non sarebbe stato possibile escludere vittime umane. Cosa ne fu della dinamite, non è dato sapere.

IL PROSELITISMO RIVOLUZIONARIO INTRAPRESO NELLA REPUBBLICA FEDERALE

Andreas Baader, Ulrike Meinhof e Gudrun Ensslin, capi della «prima generazione»  (nucleo storico) della RAF

L’improvvisa uscita di scena di Dutschke, messo fuori gioco dal brutale agguato subito l’11 aprile 1968, decapitò la Nuova sinistra radicale tedesca alla vigilia del momento culminante della rivolta generazionale, il maggio francese. Ma ciò che Dutschke e Feltrinelli avevano predicato non mancò di dare frutti nella fase di frammentazione dell’area extraparlamentare nel 1969-70: non è un caso che la lotta armata si sviluppò in Germania nelle città dove la frazione antiautoritaria della Lega studentesca capitanata da Dutschke era stata più forte, a Berlino, Monaco e Francoforte. Inoltre, l’opera di proselitismo rivoluzionario intrapresa da Feltrinelli nella Repubblica federale tedesca aveva abbracciato tutte le anime della protesta giovanile con l’intenzione di incoraggiarle e aggregarle. Oltre a Dutschke, anche Horst Mahler, Andreas Baader e Gudrun Ensslin approfittarono dell’assistenza del miliardario milanese per dare vita alla Rote Armee Fraktion nell’estate 1970 e Feltrinelli esercitò un’influenza determinante sulla scelta dell’amica Ulrike Meinhof di entrare in clandestinità.

Monika Ertl

Anche l’ala più radicale del movimento anarchico-comunardo, dal quale si generò nel 1971-72 la seconda sigla del terrorismo tedesco-occidentale, il Movimento 2 Giugno, si avvalse di finanziamenti ricevuti da Feltrinelli. Dagli atti giudiziari Pinotti ha ricostruito molto bene il profilo dell’ingegnere Wolfgang Mayer, esperto di radiotrasmissioni e ufficiale pagatore dei gruppi tedeschi tramite i conti svizzeri di Feltrinelli, «una sorta di James Bond anarchico che per quattro anni tenne in scacco le polizie ed i servizi segreti di mezza Europa: era infatti ai primi posti tra i ricercati del controspionaggio federale svizzero e italiano.» E fu ancora il miliardario rivoluzionario, già latitante dopo gli attentati a Milano e Roma del dicembre 1969, a fornire alla guerrigliera tedesco-boliviana Monika Ertl la pistola per uccidere ad Amburgo, nella primavera 1971, il console Quintanilla, considerato responsabile della morte di Che Guevara.

L’IPOTESI DI UNA POSSIBILE RESPONSABILITÀ DEI SERVIZI SEGRETI ISRAELIANI NELLA TRAGICA FINE DELL’EDITORE

Feltrinelli con Fidel Castro a Cuba

Italia e Germania furono due dei principali teatri dell’azione di Feltrinelli, ma non gli unici. Dopo la Conferenza tricontinentale a L’Avana nel 1966, l’editore operò come fiduciario della rivoluzione castrista a Cuba e allacciò rapporti con le compagini della galassia palestinese, sicuramente con George Habbash e il suo Fronte popolare per la liberazione della Palestina, recandosi ripetutamente a Beirut, Algeri e Amman. È assai probabile che Feltrinelli abbia così giocato un ruolo importante nella cosiddetta «strategia di internazionalizzazione» della lotta contro Israele adottata dalle organizzazioni palestinesi nel 1970-73, vale a dire nell’ondata di terrore che si abbatté sull’Europa occidentale, costringendo i governi a sviluppare contromisure per contenere la violenza, fra queste i famigerati patti di non belligeranza come il Lodo Moro per l’Italia. L’infrastruttura logistica impiantata in Europa per realizzare stragi e dirottamenti fu messa in piedi appoggiandosi a strutture precedenti come la rete francese e soprattutto quella svizzera, cruciale per lo spostamento di armi e denaro, che ritroviamo ereditata dall’organizzazione terroristica internazionale del venezuelano Carlos e ancora operativa oltre la metà degli anni ottanta. E a Feltrinelli si devono probabilmente anche l’inserimento dei gruppi terroristici europei, specie di quelli tedeschi, nel network terroristico arabo-palestinese e il modello operativo degli attentati con nuclei misti composti da terroristi arabi ed europei, utilizzato dal padrino del terrorismo internazionale Wadie Haddad.

Rete logistica svizzera del terrorismo internazionale ricostruita dalla polizia cantonale di Zurigo nel 1974

Alla luce di questo quadro che ci consegna l’immagine di un Feltrinelli precursore del terrorismo internazionale, la tesi proposta dal libro di Pinotti circa una possibile responsabilità dei servizi segreti israeliani nella tragica fine dell’editore appare tutt’altro che infondata: può davvero sorprendere l’eventualità che il Mossad potesse volere la morte di un soggetto che frequentava i capi palestinesi, che portava in dotazione reti immense favorendo il coagulo di forze palestinesi ed europee, mentre il governo italiano stipulava il cosiddetto Lodo Moro, comprensibilmente accolto da Israele come cedimento al terrore di una pavida Europa?

UN AGENTE DI INFLUENZA?

Sede centrale del servizio segreto cecoslovacco StB a Praga

La meta più frequente dei viaggi di Feltrinelli fu però Praga. Evidentemente protetto dalla polizia segreta cecoslovacca StB, Feltrinelli era libero di muoversi attraverso un lungo corridoio che andava dal nordest italiano alla Germania orientale passando per l’Austria, dov’era proprietario di un castello e una grande tenuta a Oberhof. Senza la benevolenza delle autorità di confine della DDR, Feltrinelli non avrebbe potuto trasportare dinamite a Berlino ovest, fino a casa di Dutschke, come fece nel 1968. Ma allora Feltrinelli era una spia della Stasi o del StB o addirittura del Kgb sovietico? Oppure godeva di un lasciapassare oltrecortina come agente del regime cubano? Chi può dirlo con certezza? La levatura del personaggio, la sua esposizione mediatica, inducono a ritenere improbabili queste semplificazioni. Feltrinelli fu, più o meno consapevolmente e in un rapporto probabilmente non formalizzato, molto di più: un agente di influenza, intendendo con questo termine che agì (anche senza venire reclutato o istruito) in sintonia con una certa linea politica che seguirono i sovietici e i servizi segreti dei regimi «satelliti» a loro collegati, linea che non è detto che lui conoscesse nei dettagli.

Feltrinelli sul podio del Primo maggio rivoluzionario a Berlino Ovest (1968)

Nel piano eversivo di Feltrinelli ritroviamo tutte e tre le componenti delle pianificazioni strategiche politico-militari del Patto di Varsavia elaborate nella seconda metà degli anni sessanta: primo, la costruzione della cosiddetta egemonia «progressista» per disarmare politicamente e moralmente l’Occidente attraverso l’aggregazione di una vasta piattaforma politica di massa che unisse in un unico fronte globale tutte le anime della lotta antimperialista, sinistre ortodosse e regimi socialisti filosovietici, movimenti extraparlamentari occidentali e di liberazione nazionale d’Asia, Africa e America latina; secondo, l’organizzazione clandestina di strutture paramilitari impiegabili a sostegno di «avanguardie» armate e «forze patriottiche» in contesti di guerra civile o di crisi «prerivoluzionaria»; e, infine, «attivazione delle forze neofasciste» ossia estensione del fronte di destabilizzazione delle democrazie occidentali al radicalismo nazionalista e neofascista. Ricordiamo che in uno scritto programmatico poco conosciuto intitolato Guerriglia politica. Tesi e proposte per un’avanguardia politica (1968), Feltrinelli incitava la sinistra rivoluzionaria a mettere da parte le riserve «che, in quanto militanti comunisti, possiamo e dobbiamo esprimere sulle forze, a volte di destra, che rappresentano l’avanguardia di queste aspirazioni [rivoluzionarie] (e sui mezzi che usano e che rischiano di colpire indiscriminatamente viaggiatori di un treno)». Anche su questo fronte – i movimenti e certe enigmatiche frequentazioni dell’editore in ambienti neofascisti – l’inchiesta di Pinotti riserva al lettore alcune interessanti spunti e novità.

 

* Storico e ricercatore, Falanga ha pubblicato numerosi lavori sulla Stasi e la DDR. Il suo ultimo libro – Non si parla mai dei crimini del comunismo – è uscito poche settimane fa per Laterza.