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Osservato speciale: Schröder negli archivi della Stasi

Redazione Spazio70

L'ex cancelliere tedesco viene ricordato per la sua disinvolta disponibilità a collaborare con Mosca e Pechino, ignorando ambizioni imperialistiche e sviluppi autocratici, cosa che all'epoca si accompagnò a un fermo ed esplicito atteggiamento critico verso l'amministrazione americana di George W. Bush

di Gianluca Falanga

A domandare oggi in Europa che cosa provocò la fine dell’Unione sovietica, ricevi risposte diverse: per i polacchi fu Solidarność, per il Vaticano il Papa, per i tedeschi la Ostpolitik. In Germania la connotazione molto positiva di quest’ultima è legata all’autorevole figura di Willy Brandt, personalità di riferimento non solo per i socialdemocratici. I concetti di Wandel durch Annäherung (cambiamento attraverso l’avvicinamento) e Entspannungspolitik (politica della distensione), coniati dal vero architetto della Ostpolitik, il braccio destro di Brandt, Egon Bahr, vengono associati a valori che godono di vastissimo e trasversale consenso nel mondo politico e nella società tedesca contemporanea: l’assunzione di responsabilità per il passato nazista e la salvaguardia della pace in Europa. Se la “rivoluzione copernicana” nei rapporti fra i blocchi nel mondo bipolare avviata dal duo Brandt-Bahr ebbe davvero l’effetto di preparare il superamento della divisione e infine la caduta del Muro di Berlino, è questione aperta, oggetto di studio e vivace dibattito degli storici, ma vi è ragione di dubitare che sia stata determinante nel mettere fine alla storia sovietica. Le cause principali del collasso dell’Urss vanno cercate piuttosto nelle contraddizioni interne, nell’implosione di un sistema politico, economico e sociale incapace di rinnovarsi. Di contraddizioni, però, ce n’erano anche nella Ostpolitik brandtiana, la più evidente, del tutto trascurata e ignorata dai sostenitori della sua efficacia, è questa: nel disegno di un’intesa strategica con il Cremlino non c’era spazio per la lotta della dissidenza e dell’opposizione civile nei paesi dell’est, nei fatti scavalcate e sacrificate sull’altare della conservazione dello status quo nell’interesse del mantenimento della pace nel mondo.

DALLA OSTPOLITIK ALLA PARTNERSHIP STRATEGICA COL CREMLINO

Schröder e Brandt al congresso SPD del giugno 1980

La politica tedesca degli ultimi decenni ha ereditato e portato avanti questo principio dei rapporti internazionali, fino all’invasione russa dell’Ucraina dell’anno scorso: la politica di sicurezza si fa con le potenze dominanti e non contro di loro, bypassando chi sta in mezzo (negli anni Ottanta i dissidenti e le opposizioni civili ai regimi comunisti come oggi i governi dei paesi baltici, Polonia, Romania). Variazioni di questa formula hanno informato la politica estera dei socialdemocratici come quella della Merkel, che ancora nel 2014, all’indomani dell’occupazione della Crimea, ribadiva che l’architettura di sicurezza europea doveva essere favorevole e non ostile alla Russia. Peccato che, specificando come anche la sovranità dell’Ucraina doveva essere garantita da quella stessa architettura, la Cancelliera rendeva palese il vicolo cieco in cui sfociava la politica del rapporto privilegiato col Cremlino, inaugurata dal suo predecessore Gerhard Schröder. Nel cancellierato di quest’ultimo culminò la Ostpolitik socialdemocratica, conservando, attraverso le trasformazioni del 1989-91, il suo nocciolo, quel principio del Wandel durch Handel (“cambiamento attraverso il commercio” ovvero democratizzare i regimi autoritari attraverso l’interdipendenza commerciale ed economica) che ha ispirato la politica europea, non solo tedesca, nei confronti della Russia e della Cina fino all’invasione russa dell’Ucraina.

Schröder e Putin (Mar Nero, estate del 2004)

Il carattere originale che Schröder impresse alla partnership strategica tedesca con il Cremlino fu quello di una relazione privilegiata basata sul suo rapporto di amicizia personale, anche privata, con Putin, divenuto presidente solo pochi mesi dopo la sua nomina a cancelliere. Schröder si ricorda per la sua disinvolta disponibilità a collaborare e intendersi con le élite comuniste e postcomuniste fra Mosca e Pechino, ignorando ambizioni imperialistiche e sviluppi autocratici o nazionalistici, cosa che all’epoca si accompagnò a un fermo ed esplicito atteggiamento critico verso l’amministrazione americana di George W. Bush. Ancora più caratteristica fu la sua tendenza ad anteporre gli interessi economici a quelli politici (coltivò ottimi rapporti anche con tutti i regimi del Golfo persico, alla faccia dei diritti umani), tratto che, subito all’indomani del suo ritiro dalla scena politica, svelò il carattere imbarazzante di un gigantesco conflitto d’interessi, quando, nemmeno otto mesi dopo avere inaugurato da Cancelliere insieme a Putin la costruzione del primo gasdotto Nordstream e a neanche 30 giorni dallo scadere del suo mandato di  capo del governo della Germania, fu annunciato che aveva accettato la presidenza del consiglio di vigilanza della Nordstream AG, controllata per il 51% dalla Gazprom, quindi dal governo russo.

“GAS-GERD” NEGLI ARCHIVI DELLA STASI

Schröder e Putin a Mosca (2018)

Schröder non democratizzò la Russia, in compenso Putin fece di lui il primo lobbista del suo regime (nel settembre 2017 assunse anche la presidenza del colosso del petrolio russo Rosneft), coerente nella difesa degli interessi del Cremlino fino a sconfessare se stesso e la sua opera politica, essendo stato da Cancelliere convinto promotore dei due allargamenti a est dell’Alleanza atlantica nel 1999 e nel 2004 (al vertice NATO di Bucarest del 2008 addirittura si era detto contrario alla decisione della Merkel di bloccare l’adesione di Ucraina e Georgia). Alla ricerca di argomenti convincenti per spiegare la speciale amicizia politica e privata che lo lega a Putin (da lui definito «un democratico impeccabile»), si è andati anche a cercare negli archivi della Stasi, sperando di individuarvi qualche indizio di un precoce faible per la nomenclatura comunista o altri spunti interessanti sulla passata carriera di funzionario giovanile socialdemocratico, avvocato, deputato nazionale e dirigente politico nel Land della Bassa Sassonia.

Schröder segretario Juso, 1979

Il fascicolo riguardante Gerhard Schröder, nome in codice “Jung” ossia “giovane” (precisazione: anche le persone attenzionate dalla Stasi, non solo le spie, ricevevano un nome in codice), fu reso ostensibile nel 2015, dieci anni dopo il termine del suo cancellierato, ed è piuttosto avaro di contenuti. A differenza di Olaf Scholz, il giovane Schröder non militò neanche nella corrente Stamokap della Gioventù socialista, orientata a una collaborazione politica con i comunisti e l’organizzazione giovanile della Sed, il partito-Stato che governava la Germania orientale. Schröder fece carriera nella SPD partendo dalla corrente minoritaria (ma che aveva la sua roccaforte nell’area fra Hannover e Göttingen, regione dove sul finire degli anni Settanta cominciò a costruire il suo personale bacino di consenso) dei cosiddetti “Antirevisionisti”, caratterizzati da vaghe simpatie per il modello della democrazia consiliare e interessati alla convergenza con i Verdi. Per la verità, il carattere distintivo di Schröder quale personalità politica fin dai primi anni del suo impegno non fu, come confermano molti dei suoi compagni di partito, la linearità ideologica o la visione politica bensì una prepotente ambizione ad arrivare in alto, al governo, insomma al centro del potere, costi quel che costi.

Schröder dietro Brandt, fine anni Settanta

Schröder veniva da una famiglia molto povera e in difficoltà, aveva perso il padre in guerra, caduto sul fronte orientale, e alcuni sostengono che sia stata questa esperienza comune della perdita, della sofferenza nell’infanzia e delle umili origini da riscattare a sostanziare la sua intesa, umana prima ancora che politica, con Vladimir Putin, cresciuto in una kommunalka di 20 metri quadri a Leningrado, la cui famiglia conobbe l’orrore dell’assedio nazista del 1941-43, durante il quale perse un fratello. Di Schröder si ricorda spesso un aneddoto, risalente agli anni Ottanta, quando una notte, uscito con amici da una birreria, passando davanti alla sede del governo a Bonn si aggrappò alla cancellata e scuotendola gridò a squarciagola: «Ich will da rein!» («Lasciatemi entrare», nel senso: è qui che voglio arrivare, voglio governare). Che sia davvero accaduto o meno, non importa: la fame di successo unita a un’attitudine da Macher (“uomo del fare”), improntata al pragmatismo, e da figlio del popolo che si è sudato il posto facendo la gavetta, quale effettivamente era, capace di accorciare, nel sentire pubblico, la distanza fra governanti e governati (leggendari i suoi comizi in maniche di camicia, anche da Cancelliere), saranno il suo marchio di fabbrica negli anni del cancellierato, ma lo erano già nel periodo in cui si faceva largo nell’apparato del partito socialdemocratico, sbaragliando la concorrenza interna e attirandosi così anche l’attenzione della Stasi.

SPIATO DAL 1973: «… BEVE MOLTO, BIRRA, GRANDI BICCHIERI…»

Schröder e Krenz, Bonn 1980

Dai documenti conservati a Berlino risulta che Schröder fu sotto osservazione dello spionaggio tedesco-orientale fin dal 1973, quando era ancora tirocinante e si preparava al secondo esame di Stato per esercitare la professione di avvocato. Iscritto alla SPD dal 1963, dieci anni dopo era segretario giovanile di federazione nel distretto di Hannover. Dal 1978 al 1980 Schröder fu capo della segreteria nazionale dei Juso (Jungsozialisten) e in quella funzione ricevette il 22 marzo 1980 a Bonn il segretario nazionale della Freie Deutsche Jugend, vivaio della nomenclatura comunista della DDR, Egon Krenz. L’incontro preparò il terreno alla collaborazione dei giovani socialisti e comunisti tedeschi a cavallo della Cortina di ferro nella protesta contro lo schieramento degli euromissili americani e la NATO, decisa nel dicembre dell’anno precedente 1979, protesta alla quale contribuì anche il giovane Olaf Scholz. A tre mesi dall’invasione sovietica dell’Afghanistan, Schröder si fece portavoce delle istanze del movimento antinuclearista, che chiedeva la distruzione degli arsenali nucleari e la riduzione della spesa militare. Krenz e Schröder si rividero ancora l’anno successivo, aprile 1981, questa volta a Berlino est. Come da prassi, Schröder fu seguito dalle squadre della Divisione VIII (osservazione e sorveglianza) della Stasi, senza mai essere perso di vista un momento, da quando varcò il Muro alla stazione di Friedrichstraße a quando lo ripassò nella direzione inversa per rientrare all’Ovest.

All’epoca, fresco di candidatura alle elezioni generali del 5 ottobre 1980, che gli consentirono di entrare al Bundestag, dove rimase deputato per due legislature fino al 1986, Schröder non poteva immaginare che la Stasi avesse già stilato un identikit assai dettagliato della sua persona. In una scheda compilata in 27 luglio 1978 era tratteggiato il seguente ritratto:

 

Corporatura: robusta

Andatura: sciolta

Dialetto/particolarità linguistiche: parla un tedesco curato e impeccabile

Modi: corretti, personalità dominante

Modo di presentarsi: molto sicuro di sé

Capacità intellettuali: ragiona in modo logico

Dinamicità di spirito e linguistica: molto sviluppata

Capacità di adattamento: profilo carismatico

Indipendenza di pensiero e azione: molto spiccata

Capacità di apprendimento: molto spiccata, lavora con grande intensità

Capacità di entrare in contatto con gli altri e disponibilità: si considera una persona speciale

Condotta in gruppo: fa valere i propri interessi

Peculiarità caratteriali: molto convinto di sé, tipo tosto e di grande stabilità emotiva.

 

Schröder, fine anni Settanta

A queste informazioni si aggiungevano alcuni ragguagli d’interesse su vizi e abitudini (potenziali kompromata, termine sovietico utilizzato per indicare aspetti della personalità o della vita privata di una persona strumentalizzabili per ricattarla o condizionarne il comportamento), nel caso di Schröder: «… beve volentieri e molto, birra (sempre in bicchieri molto grandi) …», ciò nonostante l’estensore della scheda concludeva lapidario: «elemento molto difficile da influenzare.» Evidentemente, si trattava di annotazioni miranti a formulare una valutazione su un soggetto considerato potenzialmente interessante per le promettenti prospettive di carriera, prevedibilmente non difficile da avvicinare, ma sotto l’aspetto caratteriale poco “malleabile”, per così dire: un osso duro. La principale fonte di queste informazioni, oltre all’osservazione, era una coppia di compagni di partito, i coniugi Gerhard e Ruth Grunwald, rispettivamente dal 1959 e 1962 spie dell’HV A di Markus Wolf (nome in codice “Mai”) nella federazione regionale SPD della Bassa Sassonia. Dal 1973 i due rifornivano Berlino est di documenti e indiscrezioni sullo stato dell’organizzazione e la linea politica della federazione, ma soprattutto indicavano quali fra le giovani leve avevano prospettive di scalare le posizioni nella gerarchia di partito e fare carriera anche a livello nazionale. Nel dossier “Junge” di Schröder è conservata parte della sua corrispondenza con Egon Franke, antifascista perseguitato sotto il nazismo e cofondatore della SPD ad Hannover, ma soprattutto (e per questo personalità di particolare interesse per lo spionaggio della DDR) per ben tredici anni, dal 1969 al 1982, Ministro per le Relazioni fra le due Germanie nei governi social-liberali guidati da Brandt e Schmidt.    

I RAPPORTI SPD-SED ERANO OTTIMI

In materia di rapporti con la Germania orientale, Schröder era, come tanti altri socialdemocratici della sua generazione, molto freddo verso qualsiasi prospettiva di riunificazione. Ancora il 12 giugno 1989, cinque mesi prima della caduta del Muro di Berlino, durante una seduta del parlamento regionale della Bassa Sassonia si espresse in proposito in questi termini: «Dopo 40 anni di Repubblica federale si ha il dovere di non mentire le nuove generazioni in Germania circa le opportunità di una riunificazione tedesca: queste non esistono. E ci sono questioni ben più importanti che dovrebbero occupare la politica tedesca in Europa». E ancora il 27 settembre 1989, a poco più di un mese dal fatidico 9 novembre, qualificò una politica orientata alla riunificazione come «reazionaria e altamente pericolosa». Schröder rimase in contatto con Krenz, intanto avanzato a numero due del regime comunista tedesco-orientale, anche dopo aver lasciato la segreteria dei Juso e aver conquistato quella regionale del SPD ad Hannover. I due si piacquero, si stimavano, come testimonia un messaggio inviato nel 1986 a Krenz da Schröder capo dell’opposizione socialdemocratica nella Bassa Sassonia governata dai cristiano-democratici, che così recitava: «Caro Egon, della perseveranza che mi auguri di avere ne ho assolutamente bisogno in questo intenso anno di campagna elettorale, ma anche tu avrai sicuramente bisogno di tanta forza e salute per il vostro congresso del partito e le elezioni della Camera del Popolo».

I due si sono infine rivisti ed abbracciati calorosamente ai funerali di Hans Modrow, storico capo della Sed nel distretto di Dresda e ultimo primo ministro comunista della DDR, scomparso lo scorso 10 febbraio 2023. A Schröder non dispiacque neanche Honecker («è un uomo onesto»), che accorse a incontrare a Saarbrücken, città natale del segretario generale della Sed, durante la sua prima e unica visita ufficiale nella Repubblica federale nel settembre 1987. Nell’inquieta DDR degli anni Ottanta Schröder si recò altre dieci volte, continuando a ricevere le discrete attenzioni dei pedinatori e fotografi della Stasi, come documentato da un mazzetto di documenti registrati sotto il nome in codice “Sonne” (“Sole”). Seppure convinto dell’improbabilità di una riunificazione, una volta avvenuto l’improbabile non ebbe difficoltà a farci i conti. Nella Germania riunita la sua carriera decollò, governando prima ad Hannover e poi lì dove aveva sempre voluto arrivare, a Berlino, alla cancelleria. In una coalizione con i Verdi, da sempre considerati il partner naturale della sua SPD. La Stasi, intanto scomparsa, aveva avuto ragione. Capacità di apprendimento: molto spiccata. Capacità di adattamento: profilo carismatico.