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Margot Honecker, la «lady di ferro» della DDR

Redazione Spazio70

Il «drago viola», com’era chiamata per l’improbabile tinta della chioma e l'ostinazione ideologica, si consegnerà alla storia come la pasionaria irriducibile, muso duro alla controrivoluzione e nulla da rimproverarsi, fino all’ultimo dei suoi giorni

di Gianluca Falanga*

Fatta eccezione per Günter Schabowski, il funzionario della Sed che per un malinteso fece cadere il Muro con le sue incaute dichiarazioni nella fatidica conferenza stampa del 9 novembre 1989, i dirigenti politici della Germania orientale non diedero mai dimostrazione di empatia per chi subì, nelle forme e intensità più disparate, le misure repressive e persecutorie della loro dittatura. Una sola, fra i massimi rappresentanti del regime, andò oltre, infierendo sulle vittime con sprezzanti parole di scherno. In una delle ultime interviste concesse dal suo esilio cileno, nel 2012, Margot Honecker fece sapere ai familiari delle centinaia di persone, gran parte delle quali giovanissime, freddate alle frontiere nel disperato tentativo di uscire dal paese, che non ci sarebbe stato bisogno di ammazzare nessuno se i loro cari non fossero stati tanto stupidi (sic!) da rischiare la vita per andare via a tutti i costi. Quanto alla Stasi, il regime di stretta sorveglianza dei cittadini sarebbe stato una «legittima necessità» per preservare la società socialista dai suoi nemici.

E gli oltre 200.000 detenuti politici? E le migliaia di traumatizzati, rinchiusi minorenni nei riformatori di Stato sotto la sua diretta supervisione? «Criminali comuni», «banditi».

IL «DRAGO VIOLA»

La giovane Margot Honecker nel 1950 in uniforme della Freie deutsche Jugend

Margot Feist in Honecker volle consegnarsi alla storia come la pasionaria irriducibile, muso duro alla controrivoluzione e nulla da rimproverarsi, fino all’ultimo dei suoi giorni. Poteva essere altrimenti? Il «drago viola», com’era chiamata per l’improbabile tinta della chioma e la proverbiale ostinazione ideologica che sempre la contraddistinse, aveva beneficiato di una posizione più unica che rara nel Paese del Muro: unica donna ministro, moglie del segretario generale del partito e titolare per ben 26 anni dell’unico dicastero che contasse davvero qualcosa, in un sistema nel quale erano i segretari del Comitato centrale e non i ministri a governare. L’incondizionata identificazione con la sua DDR non le concedeva alcun margine per esercizi di autocritica che non le apparissero un tradimento dei suoi inossidabili principi, dell’impegno di una vita e della sua storia personale. L’umile famiglia comunista che le aveva dato i natali nel 1927, in un quartiere operaio di Halle, era stata un punto di riferimento per le reti della militanza clandestina nella Germania dominata dai nazisti, anche dopo che le SA erano venute a prendersi il padre per rinchiuderlo in un lager.

Scolari in uniforme dei Giovani Pionieri Thälmann

La morte improvvisa della madre nel 1940, per le complicazioni di un aborto illegale, la costrinsero a diventare adulta molto presto. Tanto sacrificio e poco amore, rispose una volta a una giornalista che le domandava della sua infanzia. Ai valori, cui si aggrappò per attraversare i tempi bui della guerra – ordine, pulizia, ambizione e disciplina – volle più avanti educare le nuove generazioni di cittadini della DDR. La carriera di funzionaria comunista precocemente intrapresa nell’immediato dopoguerra non fu solo merito della sua personalità tenace e capace, la Margot ventenne cui Ulbricht affidò la direzione dell’organizzazione nazionale dei pionieri «Ernst Thälmann» incarnava perfettamente l’ideale comunista di una gioventù vitale e intraprendente, fanaticamente votata alla missione rivoluzionaria e «riserva» della nomenclatura di domani. Il colpo di fulmine per Erich Honecker fu l’unico atto di disobbedienza al partito che si concesse, l’allora capo della Freie deutsche Jugend era già sposato, anzi fresco di nozze con la funzionaria Edith Baumann, la quale pretese l’intervento di Ulbricht per richiamare all’ordine il marito. La situazione si complicò ulteriormente quando nacque Sonja, figlia di Erich e Margot. Per liquidare il rapporto, giudicato inopportuno, il partito la mandò a studiare a Mosca, alla scuola del Komsomol, costringendola a separarsi dalla bambina di pochi mesi e da Honecker per quasi un anno. Infine, la spuntò lei, il partito cedette, Honecker si divorziò, regolarizzò l’unione con Margot e avanzò persino a delfino di Ulbricht, di cui prese infine il posto, nel 1971, dopo essere riuscito a spodestarlo.

L’INFERNO DI TORGAU E LA RIEDUCAZIONE DEI MINORENNI «ASOCIALI»

Consiglio dei ministri della DDR: Margot unica donna al centro (seconda fila, accanto a Mielke)

L’eccellente carriera del marito spianò la strada anche a lei. Rientrata da Mosca, nel 1954 le fu assegnata l’organizzazione della formazione degli insegnanti presso il Ministero dell’Istruzione popolare, carica che le permise di mettersi in mostra soffocando le spinte riformiste e liberaleggianti generatesi dopo la morte di Stalin e favorendo invece l’ideologizzazione della pedagogia e delle scienze educative nella DDR. Fu il preludio al suo operato di ministro. A partire dal 1963 rivoluzionò il sistema di istruzione scolastica introducendo il modello d’ispirazione sovietica dell’istruzione politecnica. Taluni aspetti di pregio del sistema come la centralità delle materie scientifiche e l’orientamento pratico dell’apprendimento, proteso all’avviamento al lavoro, erano inscindibilmente legati al carattere dogmatico e ideologico degli orizzonti formativi generali, alla totale subordinazione dell’apprendimento all’azione di disciplinamento intellettuale e comportamentale del singolo per costringerlo nelle strutture collettivistiche del sistema produttivo e politico-sociale. In altre parole, invece di formare alla libera cittadinanza attrezzando culturalmente le persone per l’esercizio del pensiero critico, la scuola nella DDR serviva a plasmare con ogni mezzo donne e uomini addomesticati al canone di vita e di pensiero voluto dal regime. Inoltre, gestendo l’intera filiera formativa dagli asili nido alle università, Margot controllava le leve di regolamentazione dell’accesso all’istruzione e alla formazione professionale e quindi delle carriere, premiando gli elementi conformi e discriminando (in stretta collaborazione con la Stasi) i meno conformi all’ideologia di Stato.

Margot accanto a Erich Honecker e Egon Krenz a una parata a Berlino est (1980)

Nella responsabilità del suo ministero ricadeva anche la tutela dei minori, quindi la verifica delle cure genitoriali e la rete dei riformatori speciali, cosiddetti Jugendwerkhöfe, deputati alla rieducazione dei minorenni «asociali». Nel peggiore di questi, soprannominato l’Inferno di Torgau, il cui direttore rispondeva direttamente a Margot Honecker, fra il 1965 e il 1989 oltre 4000 adolescenti furono sottoposti a un durissimo e umiliante regime penale e di lavoro forzato, a causa delle violenze, degli abusi e delle condizioni di vita insopportabili si verificarono numerosi suicidi e i casi di automutilazione. Margot fu anche responsabile per un numero non ancora accertato di casi di adozione forzata di bambini, figli di detenuti politici, operata dagli uffici di assistenza sociale. Le condizioni nei riformatori e l’introduzione, nel 1978, dell’educazione militare obbligatoria nelle scuole, con ritorsioni contro gli obiettori, le attirarono veementi proteste da parte della Chiesa e delle famiglie. Ma anche dal comitato centrale della Sed le giunsero rimproveri per la sua autocratica amministrazione del ministero. Forte del suo privilegiato status di first lady, Margot ignorò qualsiasi contestazione. Sotto di lei il dicastero dell’Istruzione popolare mutò in un bastione inattaccabile di tardostalinismo, impermeabile a ogni genere di influenza proveniente dall’Occidente e ostile a qualsiasi proposta di riforma.

«NON CE L’ABBIAMO FATTA, MA SIAMO COMUNQUE ESISTITI PER 40 ANNI»

Margot Honecker al IX Congresso nazionale di Pedagogia a Berlino est, giugno 1989

Ciò nonostante, Margot Honecker colse con lucidità la portata della crisi dei regimi del blocco sovietico negli anni ottanta, il potenziale dei fermenti democratici in Polonia, Ungheria, Cecoslovacchia e nella stessa DDR motivarono la sua intransigente resistenza alla Perestrojka sovietica, interpretata come inaccettabile cedimento al nemico imperialista. Nel giugno 1989 dimostrò la sua testarda chiusura al dialogo con l’opposizione e le masse di dimostranti che scendevano in piazza difendendo la sua opera politica con un discorso di cinque ore al IX congresso nazionale di pedagogia: il paese – ribadì in un memorabile passaggio – non aveva bisogno di riforme bensì di «una gioventù combattiva, pronta a difendere il socialismo con le parole e coi fatti e, se necessario, armi in pugno». Solo quattro mesi dopo, il 20 ottobre 1989, fu costretta alle dimissioni. Mentre il regime implodeva e si sgretolava rapidamente come un castello di sabbia, una commissione d’inchiesta parlamentare l’accusò di avere «per anni costretto i circa 300.000 insegnanti della DDR ad abdicare all’onestà intellettuale e alla responsabilità pedagogica nonché soppresso nei discenti ogni impulso creativo». Ai primi di febbraio del 1990 Margot abbandonò anche il partito nel quale aveva militato dal 1945. Il Partito del socialismo democratico, come si era ribattezzata intanto la Sed, non era più la sua casa.

Erich e Margot Honecker nel cortile dell’ambasciata cilena a Mosca

Simbolo del deposto regime, per sottrarsi ai tentativi di linciaggio, ai giornalisti che davano loro la caccia e alle indagini della magistratura, gli Honecker furono costretti a riparare prima a Mosca e poi in Cile, presso la figlia Sonja, che aveva sposato Leonardo Betancourt, uno dei circa duemila profughi cileni accolti nella DDR dopo il golpe di Pinochet del settembre 1973. Margot rimase accanto al marito, gravemente malato di cancro, fino al suo decesso nel maggio 1994, nonostante il matrimonio fosse ormai da tempo soltanto di facciata. Margot aveva mal sopportato la vita protetta e isolata dell’alta nomenclatura di partito, per sfuggirvi si era fatta mettere a disposizione una Wartburg, con la quale abbandonava di nascosto, senza scorta, la colonia residenziale di Wandlitz, dove abitavano i dirigenti del Politburo. I tradimenti erano stati frequenti, anche se la Stasi, che la teneva sotto controllo e ne seguiva i movimenti, non era riuscita a identificare i suoi amanti. Negli ultimi anni della loro vita insieme, Erich e Margot sembrarono riavvicinarsi, prendendosi cura del nipote Roberto, insieme al quale Margot abitò fino alla morte, a 89 anni, il 6 maggio 2016.

Ai funerali al Parque del Recuerdo, alla periferia di Santiago, la bara fu avvolta in una bandiera della DDR. Il suo testamento politico, pronunciato il 7 ottobre 2009, mentre la Germania si apprestava a festeggiare il ventennale della caduta del Muro (ma per Margot era il sessantesimo della nascita della DDR), così recitava: «È vero, non ce l’abbiamo fatta, ma siamo comunque esistiti per 40 anni e in questi 40 anni abbiamo lasciato una traccia. Tutto quanto siamo riusciti a fare non si può negare, e non resterà solo nella memoria». Su un punto aveva ragione, Margot: della DDR si può dire ciò che si vuole, ma è un’esperienza che non si può liquidare come un incidente della storia. Al contrario, deve essere studiata a fondo, perché ha molto da dirci.

 

* Storico e ricercatore, Falanga ha pubblicato numerosi lavori sulla Stasi e la DDR. Il suo ultimo libro – Non si parla mai dei crimini del comunismo – è uscito poche settimane fa per Laterza.