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Westarbeit : lo spionaggio della DDR fra storia e leggenda

Redazione Spazio70

La contrapposizione ideologica con l’Ovest fa comprendere come le attività condotte nella RFT venissero considerate nell'ottica del consolidamento del socialismo. A questa concezione corrispondeva un'impostazione offensiva dell'attività operativa, non tutta di esclusiva competenza dell'HV A, cioè della divisione d’intelligence esterna, che pure aveva in quell’ambito il suo «core business»

di Gianluca Falanga

Cominciamo con una precisazione: lo spionaggio della Germania orientale di là dalla Cortina di ferro non era concepito come un mezzo per la mera ricerca informativa in altri paesi per conto di un governo, come generalmente intendiamo lo spionaggio all’estero di un qualsiasi Stato, bensì, in coerenza coi presupposti ideologici del regime della DDR, come articolazione e proiezione dell’azione del partito SED al di fuori dei confini dello Stato tedesco-orientale. Nelle particolari condizioni geopolitiche che determinarono e fecero da cornice alla quarantennale esistenza della DDR, il campo di questa proiezione ovvero il terreno di dispiegamento delle operazioni, il fulcro dell’interesse info-operativo, furono in primo luogo i territori di Berlino Ovest e della Repubblica federale tedesca, in secondo quelli degli Stati dell’Europa occidentale membri della Cee e della Nato. Nei manuali a uso interno la definizione utilizzata era quella di operative Arbeit im und nach dem Operationsgebiet («lavoro operativo in e verso il teatro delle operazioni»), espressione pletorica e un poco involuta, ma non imprecisa, alla quale gli storici tedeschi preferiscono comunque il termine, più esplicito, di Westarbeit («lavoro a Ovest») della SED e del suo organo di sicurezza, l’apparato čekista. Questo lavoro era concepito in termini difensivi, quasi come un’estensione delle funzioni di polizia segreta esercitate sul territorio nazionale: in fondo, la stessa «diversione», vale a dire il dissenso interno e qualsiasi altra manifestazione di orientamento o comportamento deviato, difforme dalla norma di vita e di pensiero socialista, della propria popolazione, era ricondotta all’azione sovversiva del nemico occidentale, l’effetto di cedimenti all’influenza ideologica ostile esercitata dalle cosiddette «centrali» o agenzie dell’imperialismo (servizi segreti, istituzioni, istituti di ricerca, associazioni politiche, comunità religiose, mass media, in primis della Germania Ovest).

Occorre tenere presente lo stato di permanente minaccia del socialismo nel contesto di implacabile contrapposizione ideologica con l’Occidente postulato dagli ideologi e dai massimi dirigenti della SED per comprendere come al complesso delle attività info-operative condotte nell’altra Germania venisse attribuito il valore di un contributo indispensabile prestato alla stabilizzazione e al consolidamento del sistema socialista. A questa concezione difensiva in termini ideologici corrispondeva tuttavia un’impostazione offensiva dell’attività operativa, che non era affatto di esclusiva competenza dell’Hauptverwaltung Aufklärung (HV A) cioè della divisione d’intelligence esterna, che pure aveva in quell’ambito il suo core business, ma coinvolgeva tutte le strutture operative della sicurezza interna e del controspionaggio (dal 1975 anche dell’antiterrorismo) senza una netta distinzione fra ricerca (Aufklärung) e controingerenza (Abwehr). L’orientamento del Westarbeit della Stasi rispondeva agli obiettivi politici dettati dal partito, i quali erano inizialmente determinati dall’idea di potere portare il socialismo nella Germania Ovest, in seguito furono ricalibrati attorno alla necessità di creare condizioni politiche generali più favorevoli agli interessi vitali della DDR. Negli anni Sessanta, con gli sforzi del regime per aggirare l’embargo diplomatico impostole da Bonn con la dottrina Hallstein istaurando, nell’alveo della politica estera sovietica, relazioni di cooperazione politica, economica e militare con i movimenti decoloniali e i governi degli Stati di nuova indipendenza nel cosiddetto Terzo Mondo (Asia, Africa e America latina), gli orizzonti della proiezione internazionale cominciarono a estendersi. Ottenuto il riconoscimento internazionale come stato sovrano nel 1973, la disposizione di residenture legali incardinate presso le rappresentanze diplomatiche, aperte in quasi tutti gli Stati del mondo, allargò ulteriormente il raggio d’azione dell’HV A a tutti i continenti. Non mutò però il baricentro del lavoro operativo, che rimase sempre sostanzialmente europeo e imperniato attorno all’azione contro la Germania Ovest.

SIRA E DOSSIER ROSENHOLZ: LE FONTI SCAMPATE AL DILUVIO 

HAUS 15 dal 1978 sede HV A presso centrale STASI a Berlino-Lichtenberg

HAUS 15 dal 1978 sede HV A presso centrale STASI a Berlino-Lichtenberg

La propensione offensiva di questa che si concepiva come una versione ideologizzata dello spionaggio tradizionale si manifestava nella volontà di condizionare e destabilizzare la Repubblica federale, come era espressa nella definizione di «misure attive» al punto 1.4. della Direttiva 2/79 dell’HV A: «Le misure attive mirano, facendo ricorso a forze, mezzi e metodi operativi, 1) a svelare le intenzioni del nemico o di singole forze e istituzioni ostili, a comprometterle, disorganizzarle e sovvertirle, 2) a diffondere idee e posizioni progressiste [leggi: filosovietiche], promuovendo gruppi e correnti a noi favorevoli nel teatro delle operazioni». La manipolazione attraverso il sostegno prestato occultamente, in forma coperta o indiretta, a partiti e movimenti politici, mass media e singole persone d’interesse che, pur non propagando apertamente idee comuniste, potevano in qualche modo favorire gli obiettivi politici del regime della DDR, fu sicuramente una delle articolazioni principali dell’azione oltrecortina, ma anche una delle più difficili da studiare per valutarne i suoi concreti effetti.

Nel concerto delle strutture operanti a Berlino Ovest e nella Repubblica federale la sezione HV A/X, deputata all’elaborazione e conduzione delle cosiddette «misure attive», era senza dubbio la punta di lancia. Purtroppo, proprio questa struttura è una di quelle che alla caduta del Muro riuscì a incenerire in misura quasi totale la propria documentazione archiviata. La grave penuria di fonti riguarda tutto il comparto della divisione d’intelligence HV A, alla quale riuscì nei convulsi mesi a cavallo fra l’autunno 1989 e il giugno 1990 (e del tutto illegalmente anche oltre la riunificazione del 3 ottobre) di eliminare oltre il 90 per cento dei materiali conservati nei loro archivi sottraendosi alla vigilanza dei comitati civici che sorvegliavano lo smantellamento delle strutture della Stasi. Ma ai liquidatori del servizio segreto, a lungo diretto dalla leggendaria figura di Markus Wolf e con la fama di essere stato secondo solo al Mossad, commisero due fatali errori.

Terminali ESER con le banche dati del sistema SIRA presso la centrale informatica HV A a Berlino-Hohenschönhausen

Terminali ESER con le banche dati del sistema SIRA presso la centrale informatica HV A a Berlino-Hohenschönhausen

Il primo: si dimenticarono di una copia di backup, generata nel 1987, delle banche dati del «cervellone elettronico» SIRA, nel quale dal 1969 i funzionari dell’HV A inserivano i principali dati di catalogazione e gestione delle informazioni in entrata e in uscita: fonte (nome in codice, numero di registrazione), unità o struttura di servizio ricevente, data e provenienza geografica dell’informazione in entrata, indicazioni sommarie sul contenuto, formato e dimensioni del documento, valutazione della qualità delle informazioni ricevute (in una scala da I eccellente a V inattendibile), indicazione circa l’inoltro del materiale agli organi apicali del partito e dello Stato, parole chiave (nomi, paesi, aree di competenza, indirizzi tematici) per favorire ricerca, consultazione e analisi statistica.

A quasi un decennio dalla caduta del Muro, nel 1998, Stephan Konopatzky, collaboratore tecnico dell’agenzia federale BStU (che dal 1991 aveva in custodia gli archivi della Stasi, dal 2020 confluiti nei fondi del Bundesarchiv) riuscì a individuare la chiave di decifrazione necessaria ad aprire l’accesso ai database, contenenti nel complesso più di 600.000 files, che ci consentono oggi di ricostruire e analizzare con precisione i flussi informativi, di tracciare i movimenti dello spionaggio tedesco-orientale. Dal 2004, incrociando questi dati con le schede del cosiddetto Dossier Rosenholz, è possibile rimediare parzialmente alla distruzione dei fascicoli personali delle spie, assegnando le informazioni in entrata alla fonte informativa che le forniva e, in una serie di casi, conoscere l’identità delle spie dell’HV A operanti a Berlino Ovest, in Germania Ovest e nel resto dell’Europa occidentale.

Il ministro della sicurezza di Stato della DDR, Erich Mielke, nel 1976

Il ministro della sicurezza di Stato della DDR, Erich Mielke, in una foto del 1976 (fonte: Archivio federale tedesco)

Il secondo errore commesso fu, infatti, la mancata distruzione di una copia microfilmata dello schedario delle fonti operative all’estero. Stando alle indicazioni fornite dal colonnello dell’HV A Heinz Busch, nel 1988, dando seguito (pare) a un ordine del 1984 impartito dal ministro Erich Mielke, si era approntata una copia di sicurezza trasportabile per assicurarne la disponibilità anche in caso di mobilitazione per lo scoppio di una guerra. I dirigenti dell’HV A avrebbero ubbidito con riluttanza, perché intuivano i rischi dell’iniziativa. E infatti, nella confusione del collasso dello Stato tedesco-orientale, si provvide a cassare lo schedario cartaceo originale, ma quella copia finì, come esattamente non si è mai potuto accertare, nella disponibilità della CIA, la quale nel 1993 fece pervenire al servizio di sicurezza interno della Repubblica federale, il Bundesamt für Verfassungsschutz (BfV), con estrema parsimonia selezionatissimi ragguagli che permisero di identificare e arrestare un piccolo numero delle molte migliaia di spie dell’HV A in Germania Ovest, circa 1500 delle quali ancora attive nel 1989. Fu inoltre concesso a una delegazione di funzionari del BfV di volare a Washington per visionare le schede e annotare i nominativi delle spie, ma solo di quelle operanti in Germania. I dati e i nominativi acquisiti furono immediatamente utilizzati per istruire 1553 processi per spionaggio e divulgazione di documenti riservati.

Soltanto nel 2000, dopo un lungo e difficile negoziato, gli americani accettarono di procedere a una progressiva e parziale restituzione delle schede microfilmate facendo pervenire alla BStU 381 CD-Rom contenenti un totale di 350.000 files, divenuti poi consultabili dalla primavera del 2004 sotto il nome di fondo o dossier Rosenholz (dalla traduzione tedesca di ROSEWOOD, nome in codice dell’operazione americana di recupero degli schedari a Berlino). Le ragioni della forte riluttanza americana non ci sono note, gli esperti tedeschi l’imputarono non solo al prioritario interesse di individuare tutte le spie tedesco-orientali nelle proprie istituzioni e negli organismi militari e d’intelligence negli Stati uniti e in Europa, ma anche a quello di rilevare una parte degli agenti e informatori della DDR, specialmente quelli attivi nei paesi del cosiddetto Terzo mondo, studenti africani e mediorientali reclutati dall’HV A a Lipsia e in altre università della DDR o il personale specializzato nell’addestramento delle forze paramilitari e dei servizi di sicurezza inviati dalla Stasi in Siria, Nicaragua, Libia, Yemen, Iraq e Libano, nei campi dell’OLP.

NON SPIE, MA «ESPLORATORI DI PACE» AL «FRONTE INVISIBILE»

Il direttore dell'Hauptverwaltung Aufklärung (HV A), Markus Wolf, fotografato alla fine degli anni Ottanta

Il direttore dell’Hauptverwaltung Aufklärung (HV A), Markus Wolf, fotografato alla fine degli anni Ottanta (fonte: Archivio federale tedesco)

I dati SIRA, il dossier Rosenholz e il resto della documentazione messa in sicurezza nel 1990 non sono sufficienti a fare luce su ogni aspetto dell’ingerenza spionistica della DDR oltrecortina, non ci vengono in aiuto le istituzioni, coi servizi segreti BfV e Bundesnachrichtendienst (BND), che continuano a tenere chiusi i loro archivi, e il segreto di Stato posto sui fascicoli delle indagini dei procedimenti per spionaggio archiviati dalla magistratura tedesca nel corso degli anni Novanta. Ciò nonostante, quanto sappiamo non è affatto poco, insufficiente per fare un bilancio esaustivo dell’infiltrazione della Repubblica federale da parte della DDR, per esprimersi in maniera definitiva sulla sua effettiva incisività ed efficacia, ma abbastanza per farsi un’idea piuttosto precisa del modus operandi e delle strategie sviluppate a Berlino Est.

Le stime del numero dei tedeschi occidentali che spiarono per la DDR, collaborando con diverse strutture della Stasi, oscillano fra 12.000 e 30.000, nel 1989, alla viglia della caduta del Muro, erano non meno di 3000. La stragrande maggioranza di queste persone non sono mai state identificate. Negli anni Settanta, la sola HV A di Markus Wolf poteva contare su di una consolidata rete di circa 500 spie e infiltrati, piazzati praticamente ovunque nelle istituzioni della Repubblica federale tedesca, in tutti i partiti e ministeri, nei servizi segreti e nelle forze armate, nell’economia come negli atenei e nelle organizzazioni della società civile, praticamente in tutti i punti nevralgici della società tedesco-occidentale. Sono numeri e fatti che ci dicono, senza ombra di dubbio, come la DDR, in questo specifico campo, fu capace di sfruttare al massimo delle possibilità le condizioni particolarmente favorevoli offerte dalla doppia statualità: stessa lingua, storia, mentalità e radici culturali offrivano enormi opportunità per un’agevole penetrazione spionistica. I primi a beneficiarne furono i sovietici, che colsero subito le straordinarie potenzialità della divisione tedesca e della solerte assistenza sul terreno della guerra segreta dei loro ambiziosi alleati tedeschi, sottovalutati invece dagli americani, specie negli anni Settanta e Ottanta.

HVA_Statua rimossa da piazzale scuola Gosen_simboleggia la comunità segreta delle spie unite dalla fede nella causa

Una statua, poi rimossa dal piazzale della scuola HV A a Gosen, simboleggiante la comunità segreta delle spie unite dalla fede nella causa

Il mito dell’efficientissima HV A, che ancora oggi resiste, non è infondato: rigida compartimentazione e disciplina prussiana insieme a una maniacale precisione nella preparazione del lavoro operativo erano componenti che contraddistinsero gran parte del personale dell’HV A, comunità coesa dal ferreo vincolo ideologico, élite nella comunità di fede dei čekisti tedeschi. A differenza dei loro cugini e avversari occidentali, non pochi dei quali avevano appreso il mestiere nei ranghi degli organi di sicurezza del Reich nazista, il personale della Stasi era espressione del ricambio di classe dirigente operato dai comunisti nella DDR, membri di quella nomenclatura «nuova classe» che faceva funzionare lo Stato socialista. Quanto alle donne e agli uomini acquisiti per operare sul terreno, coerentemente alla concezione ideologica del Westarbeit, le spie non potevano essere semplici agenti, termine che evocava l’avventurismo decadente dello spionaggio imperialista, per loro c’era il mito eroico, forgiato nell’Urss nei primi anni Sessanta, del Kundschafter des Friedens, l’esploratore al servizio della Pace e del progresso dell’umanità, non al soldo dell’Occidente guerrafondaio e sovvertitore, patrioti del socialismo che sacrificavano la loro vita nella lotta al fronte invisibile.

KUNDSCHAFTERLIED (CANTO DEL KUNDSCHAFTER)

Compositore: ignoto sovietico

Testo in tedesco di Markus Wolf

Euer Dienst ist die Aufklärung, (Il vostro servizio è informarci)

Namen bleiben geheim (i vostri nomi restano segreti)

Unauffällig die Leistungen, (le vostre gesta non si fanno notare)

Stets im Blickfeld der Feind (senza perdere mai di vista il nemico)

Das Gespräch mit Genossen, (parlare coi compagni)

viel zu selten daheim, (a casa troppo di rado)

Für das Tragen der Orden (per sfoggiare le medaglie)

Bleibt oft nicht mehr die Zeit. (spesso non c’é il tempo)

Wachsam sein, immerzu, — Wachsam sein! (Sii sempre vigile, sii vigile!)

Und das Herz ohne Ruh’ — Wachsam sein! (E il cuore senza riposo, sii vigile!)

Auch in friedlicher Zeit — Wachsam sein! — nie geschont. (Anche in tempo di pace, sii vigile!)

Tschekisten, Beschützer des Friedens der Menschen, (Čekisti, protettori della pace per l‘umanità)

Soldaten der unsichtbaren Front. (Soldati al fronte invisibile)

Selbst beim Lachen und Fröhlichsein (Anche quando si ride e si è felici)

Bleibt die Sehnsucht sehr groß (resta molto grande la nostalgia)

Nach den Lieben zu Haus’ – (dei propri cari a casa,)

vielleicht einem Jungen. (magari di un figlio)

Gar zu oft war der Abschied (I saluti troppo spesso)

Viel zu schnell, fast wortlos. (troppo veloci, quasi senza parole)

Nun summt Ihr beim Träumen (Ora canticchiate sognando)

Die Lieder früher oft gesungen. (i canti un tempo cantati)

Jeder dieser Soldaten (Ognuno di questi soldati)

Kämpft am Frontabschnitt allein (combatte da solo al fronte)

Und doch lernt jeder einzelne (ma ciascuno impara)

Kraft der Vielen zu erkennen (a riconoscere il potere dei tanti)

Auf den Seiten im Buch des Ruhms (sulle pagine del libro della Gloria)

Werden die Namen sein, (saranno i nomi)

All der Mutigen, die wir nicht, (di tutti i coraggiosi che noi)

Heute noch nicht nennen. (oggi non possiamo nominare.)

RUBARE IDENTITÀ, COSTRUIRE BIOGRAFIE

HVA_21 luglio 1988 Wolf e Großmann inaugurazione scuola HV A Gosen

21 luglio 1988: Markus Wolf e Werner Großmann all’inaugurazione della scuola HV A di Gosen

I potenziali Kundschafter venivano individuati da collaboratori appositamente addestrati a segnalare persone d’interesse (cosiddetti Tipper) e a intercettarli per il reclutamento (Werber). Per l’addestramento c’era la scuola segreta a Belzig, vicino Potsdam, dal 1988 il nuovo moderno centro integrato in località Gosen, circa 3 km a sud di Berlino, con la scuola di lingue e la cattedra di psicologia operativa. Prestando credito alle indicazioni fornite a riguardo dagli ufficiali gestori (Führungsoffiziere) delle fonti acquisite dai reparti della Stasi che operarono oltrecortina, quattro spie su cinque venivano reclutate nella DDR e inviate dall’altra parte del Muro, per lo più attraverso paesi terzi oppure le cosiddette Operative Grenzschleusen, una sessantina di passaggi di frontiera segreti, per lo più sotterranei, lungo il confine fra le due Germanie, o la stazione ferroviaria di Friedrichstraße al centro di Berlino, soprannominata da Wolf «il nostro sentiero di Ho Chi Minh».

Wolf mostra delegazione KGB sentiero di HoChiMihn_1

Wolf mostra a una delegazione del KGB il cosiddetto «sentiero di HoChiMihn», un passaggio segreto per l’inserimento delle spie a Berlino Ovest nella stazione ferroviaria di Friedrichstraße

Dai documenti della Stasi risulta anche che il 60 per cento delle spie nella Repubblica federale collaborava spinto da motivi ideologici o politici, il 27 per cento da interessi materiali (per lo più denaro), il 7 per cento per amore o legame intimo (per esempio le famose segretarie di ministri e politici sedotte dai leggendari «Romeo»), il 4 per cento era invece reclutato sotto falsa bandiera (gli si faceva credere di stare spiando per un servizio occidentale o altra organizzazione), solo l’1 per cento sotto ricatto e costrizione, e appena l’1 per cento si era offerto di spiare per la DDR di propria iniziativa. La ricerca meticolosa di profili adeguati sul piano caratteriale e della «personalità socialista», vale a dire attrezzati sul piano ideologico, si combinava a quello che è forse l’aspetto più interessante e anche affascinante delle modalità operative dello spionaggio tedesco-orientale, specie dell’HV A, la «costruzione» biografica della spia, la fabbricazione dell’identità fittizia. In questo specifico campo, gli uomini di Wolf diedero dimostrazione di grande creatività e altrettante spregiudicatezza e spietatezza. Perché non venissero scoperti, invece di inventarsi false identità anagrafiche, si facevano assumere ai propri infiltrati quelle di cittadini della Repubblica federale veramente esistenti ed emigrati in altri paesi, fingendone il loro rientro in Germania Ovest, che veniva regolarmente registrato all’anagrafe: così la spia poteva muoversi con documenti veri; mentre la persona che realmente portava quel nome abitava ignara in Canada, Australia o negli Stati uniti, un suo doppione prendeva la residenza a Bonn, Monaco o Colonia.

Wolf mostra KGB sentiero HoChiMihn_2

Ancora Wolf all’interno della stazione ferroviaria di Friedrichstraße

Variazioni di questa tecnica spinsero gli esperti dell’HV A, sempre a caccia di identità adoperabili, a setacciare sistematicamente le biografie di tedeschi occidentali che si trasferivano nella DDR, per individuare i soggetti adatti alla creazione di un doppione da far tornare a vivere in Germania Ovest, mentre la persona vera restava nella DDR. Talune idee erano particolarmente originali: si «rubarono» per esempio le identità anagrafiche delle numerose persone disperse durante il terribile bombardamento angloamericano di Dresda del 13-14 febbraio 1945, che si facevano resuscitare altrove; oppure, in determinati contesti specifici, come la Scandinavia, si ricorse alla terribile vicenda dei neonati norvegesi sottratti dai nazisti durante la Seconda guerra mondiale nel quadro del programma Lebensborn allo scopo di migliorare la qualità ariana del popolo tedesco con immissione di sangue nordico. I bambini, dati in affidamento a famiglie di SS sotto nuova identità, erano negli anni Sessanta e Settanta adulti che vivevano anche nella DDR. Identificata l’identità originaria, si creavano doppioni che, fittiziamente mossi dal desiderio di conoscere i loro veri genitori biologici, «facevano ritorno» in Norvegia a cercarli e rimanevano a vivere nel paese, provando a fare carriera per infiltrarsi nelle istituzioni politiche e militari da spiare.

DI NECESSITÀ VIRTÙ: LA «SEMINA» DEGLI ANNI CINQUANTA

Le basi per la massiccia penetrazione spionistica della Germania occidentale furono poste già nel corso degli anni Cinquanta, quando d’intesa coi sovietici, Markus Wolf approfittò dell’imponente fenomeno migratorio di massa da Est verso Ovest per mischiare nel flusso dei profughi che lasciava la DDR un gran numero di spie. Si fece insomma di necessità virtù, trasformando quello che era uno dei problemi più gravosi per la stabilizzazione dello Stato tedesco-orientale in un’opportunità. Giunti nei centri di accoglienza di Marienfelde e Gießen, i finti profughi, senza perdere il contatto con i loro gestori dell’HV A a Berlino Est, dai quali ricevevano ordini e indicazioni, cominciavano a muoversi nel tessuto sociale della Repubblica federale, cercavano lavoro e mettevano su famiglia, intraprendevano una carriera professionale che, nel migliore dei casi, li portava a occupare posti di rilievo in aziende, uffici e ministeri di interesse per gli appetiti informativi della DDR.

Willy Brandt e la spia DDR Günter Guillaume, 1974

Willy Brandt e Günter Guillaume, 1974 (fonte: Archivio federale tedesco)

La «semina» cominciò a dare i suoi frutti a distanza di qualche anno, fornendo alla Stasi una serie di «talpe» in posti strategici sensibili e di grande rilievo. Una di queste, il caso più famoso, era Günter Guillaume, inviato nell’altra Germania con la moglie Christel nel 1956, dopo un lungo e accurato addestramento. Guillaume, il cui arresto nell’aprile 1974 provocherà le indesiderate dimissioni del cancelliere Willy Brandt, è la prova che la strategia di Wolf era una gettata di dadi, la riuscita o il fallimento di una carriera individuale, quindi il raggiungimento di una posizione di responsabilità non si potevano prevedere né pianificare, determinante era la fortuna.

I coniugi Guillaume aprirono un bar a Francoforte e si iscrissero alla SPD. Günter si fece apprezzare nel partito per il talento organizzativo e le sue capacità comunicative, riuscendo a farsi eleggere deputato comunale, Christel invece si fece assumere come segretaria nella direzione provinciale SPD nell’Assia meridionale. A Berlino Est si puntava più su di lei che sul marito, la donna era una disciplinata informatrice sulle strutture locali del partito socialdemocratico nella regione più popolosa della Germania Ovest. Ma a sorpresa, all’inizio degli anni Settanta, Günter fu cooptato a Bonn nella squadra del capo di gabinetto di Brandt, fino a divenire uno dei consiglieri del cancelliere, con accesso ai dossier segreti del capo di governo. Scoperti e arrestati, furono condannati per spionaggio rispettivamente a 13 anni (Günter) e 8 anni (Christel) di carcere. Rientrati nella DDR nel 1981 per effetto di uno scambio di spie, furono accolti e premiati come eroi.

Il geofisico Armin Raufeisen con la famiglia

Il geofisico Armin Raufeisen con la famiglia

Più tragica è la vicenda di Armin Raufeisen, geofisico della Wismut, compagnia che nel dopoguerra effettuava l’estrazione dell’uranio in Turingia e Sassonia per l’atomica sovietica. Comunista iscritto alla SED come i Guillaume, accettò di lavorare per la Sezione SWT Scienza e tecnologia dell’HV A, struttura che raggruppava tutti gli uffici responsabili per lo spionaggio economico e tecnologico, senza dubbio uno dei rami principali dell’attività spionistica della DDR in Occidente, per compensare lacune e riparare al ritardo innovativo. Raufeisen fu mandato all’Ovest nel 1957 come finto profugo. Si stabilì ad Hannover, dove fu assunto come geofisico dalla Preussag, all’epoca uno dei maggiori gruppi industriali tedeschi nel settore minerario e metallurgico.

Nel gennaio 1979, la defezione a Ovest del tenente Werner Stiller, funzionario della SWT e gestore di ben 32 spie nelle maggiori aziende ad alta tecnologia della Repubblica federale, fece temere l’arresto imminente di Raufeisen, che venne immediatamente ritirato. L’uomo si trasferì nella DDR con la moglie e due figli, ignari della doppia vita del marito e padre. Le proteste dei figli, che si rifiutavano di ricominciare una vita nuova dietro il Muro, costrinsero la Stasi a lasciare andare Michael, il primogenito maggiorenne, mentre il secondo, Thomas, rimase coi genitori. La sua infelicità spinse Armin Rausfeisen a presentare domanda di espatrio e, dopo che questa era stata respinta, a cercare il modo di fuggire, contattando l’ambasciata tedesco-occidentale a Budapest. Finirono tutti nel carcere della polizia segreta di Berlino Hohenschönhausen, dove dopo un anno di interrogatori furono condannati per tentato espatrio illegale e spionaggio Thomas a tre anni di carcere, la moglie a sette anni e il geofisico all’ergastolo nel terribile penitenziario di Bautzen II in Sassonia. Raufeisen morì in carcere in circostanze mai accertate nell’ottobre 1987, il figlio Thomas e la moglie poterono rientrare nella Repubblica federale dopo avere scontato per intero la pena, rispettivamente nel settembre 1984 e nell’aprile 1989.

IL SESSO E IL CUORE: IL METODO ROMEO 

Un agente «Romeo» tedesco-orientale

Un agente «Romeo» tedesco-orientale

Un’altra intuizione strategica di Wolf rivelatasi particolarmente fortunata fu quella di avvicinarsi ai documenti riservati non spiando direttamente politici e personalità con incarichi di rilievo, bensì arrivandoci indirettamente, facendo conquistare il cuore delle loro segretarie infelici da abilissimi agenti corteggiatori, i famosi «Romeo». Fu una mossa che assicurò all’HV A negli anni Sessanta e Settanta decine di fonti di prima qualità, donne che si prestavano per amore ad aprire le casseforti di segretari di partito, direttori di aziende, deputati nazionali e ministri, e a fotografare in grande quantità informative riservate, dossier, circolari a uso interno. In questo modo, a Berlino Est si conosceva l’esito di riunioni di vertice, si seguivano i processi decisionali negli organi direzionali di partiti, associazioni, istituzioni, garantendo agli emissari della DDR coinvolti in negoziati politici ed economici con rappresentanti occidentali un prezioso vantaggio informativo.

In almeno un caso, a cadere nella trappola dell’amore non fu una segretaria, ma un funzionario del Ministero della Difesa a Bonn, Egon Streffer, compagno di Dieter Popp, entrambi cittadini della Repubblica federale. Il berlinese Popp, raro caso di Romeo omosessuale, aveva origini ebraiche, parte della sua famiglia era stata sterminata dai nazisti. Impiegato di un’agenzia di assicurazioni, simpatizzava negli anni Sessanta con la nuova sinistra extraparlamentare a Berlino Ovest. Lì lo intercettarono i reclutatori del MIL-ND (dal 1984 ribattezzato Verwaltung Aufklärung), il servizio informazioni militare delle forze armate della DDR (sul modello del GRU sovietico l’agenzia era incardinata nella Difesa, indipendente dalla Stasi, che però la sorvegliava).

Popp fotografato negli anni Novanta

Dieter Popp fotografato negli anni Novanta

Il credo antifascista, l’impressione della violenta repressione poliziesca del movimento studentesco e l’idea di contribuire alla salvaguardia della pace facendo conoscere al regime della DDR i segreti militari dell’Occidente spinsero Popp nel 1969 ad accettare la proposta di trasferirsi a Bonn, dove conobbe Streffer, che lavorava come assistente presso il comando di pianificazione del ministero della Difesa e che diventò presto il suo complice, oltre che amante. La coppia, nomi in codice ASRIEL (Popp) e AURIKEL (Streffer), fu fino all’estate 1989 il dream team dello spionaggio militare della DDR. Streffer portava fuori dal ministero i documenti segreti nella pausa pranzo, Popp li esaminava e provvedeva a farli pervenire a Berlino Est, via corriere o in casi urgenti per telefono, adoperando un apparecchio di codifica fornitogli. Per quasi un ventennio l’intelligence militare della DDR si assicurò l’accesso a dossier coperti dalle più alte classifiche di segretezza («segretissimo», «NATO-Secret», «US-Top secret»).

Tornando all’HV A, il successo del cosiddetto «metodo Romeo» fece intendere ai dirigenti dell’agenzia di Wolf  la straordinaria efficacia della prospettiva strategica della segretaria, di conseguenza alle Vorzimmerdamen («signore d’anticamera») sedotte e raggirate si aggiunsero anche agenti donna addestrate, incaricare di infiltrarsi nei centri di potere a Bonn e Bruxelles, sede dell’Alleanza atlantica. Fra gli anni Sessanta e Ottanta si contano almeno una sessantina di «talpe» dell’HV A con accesso alle scrivanie dei dirigenti politici e altre personalità influenti. Alcune di loro, Ursel Lorenzen (segretaria al quartier generale NATO a Bruxelles), Helge Berger (interprete al ministero degli Affari esteri), Ursula Höfs (segreteria nazionale del CDU), Margarete Höke (segretaria alla Presidenza della Repubblica federale) e Ingrid Garbe (segretaria dell’ambasciatore tedesco alla NATO a Bruxelles), furono scoperte e arrestate, finendo su tutti i giornali. Altre, come Herta-Astrid Willner (segretaria alla Cancelleria federale), Helga Rödiger (segreteria al ministero delle Finanze), Christel Broszey (segretaria del deputato nazionale del CDU Kurt Biedenkopf), Inge Goliath (segretaria del deputato CDU Werner Max) e Ursula Richter (segretaria dell’Associazione profughi dall’Est), riuscirono invece a riparare nella DDR prima di venire braccate. Altre ancora, come Margarete Lubig (interprete al ministero della Difesa) e Johanna Olbrich (segreteria nazionale del partito liberale FDP e segretaria al ministero dell’Economia), continuarono a operare indisturbate fino al 1989, venendo identificate e processate per spionaggio solo dopo la Riunificazione tedesca, nei primi anni Novanta.

LA «MIGLIORE» DELLE GERMANIE: SPIE PER ANTIFASCISMO MILITANTE 

La spia DDR Johanna Olbrich con Wolf

Johanna Olbrich con Markus Wolf

Negli anni Sessanta, il mito ideologico della DDR bastione dell’antifascismo, diametralmente contrapposto all’immagine di una Repubblica federale, che non aveva invece voluto fare i conti col nazismo, servì anche a far presa su di una generazione di donne e uomini che, all’est come all’ovest, aveva memoria degli orrori della guerra, vissuti in giovane età o da bambini. Per Johanna Olbrich, insegnante e dirigente scolastica animata da fervida fede nella costruzione della società socialista, il motto «mai più guerra» voleva dire sacrificare la propria vita per fare qualcosa di concreto, per impedire un nuovo conflitto in Europa rafforzando la DDR. Nel 1967 accettò di trasferirsi in terra nemica, in Germania Ovest, passando dall’Inghilterra e dalla Francia, assumendo l’identità di Sonja Lüneburg, una parrucchiera di Berlino Ovest trasferitasi un anno prima nella DDR, che la Stasi aveva fatto rinchiudere in una clinica psichiatrica.

Intanto, a Bonn, la falsa Sonja alias Johanna Olbrich diventava la segretaria dell’anziano deputato liberale William Borm, anche lui agente d’influenza della Stasi (secondo la testimonianza del colonnello HV A Günther Bohnsack, la Stasi gli scriveva gli interventi che teneva al Bundestag), poi passava alla segreteria nazionale del FDP, dal 1973 come assistente personale di Martin Bangemann, segretario generale del partito, parlamentare europeo e infine ministro dell’economia nel secondo governo Kohl. Nel 1985, Wolf fu costretto a ritirarla sul più bello, dopo che per anni, ogni mese, aveva fatto pervenire a Berlino Est, nascosti nella toilette di un treno, due o tre rullini microfilm da 36 scatti pieni di documenti fotografati in ufficio con una minox. Di ritorno dalla DDR, transitando per la rotta sud (via Italia), per sbadataggine dimenticò a Roma la sua borsetta sul sedile di un taxi: c’erano dentro tutti i passaporti falsi che utilizzava per entrare e uscire dalla Germania Ovest.

HV A_Wolf e i suoi colonnelli

Wolf e i suoi colonnelli dell’Hauptverwaltung Aufklärung (HV A)

Qualcosa di simile capitò anche a Lilli Pöttrich, nome in codice Angelika, dal 1982 funzionaria del ministero degli Esteri a Bonn e consigliera di ambasciata. Gli emissari di Markus Wolf l’avvicinarono a Francoforte nell’estate del 1975. Da Klaus von Raussendorf ad Hagen Blau furono numerosi i diplomatici della Repubblica federale ingaggiati dall’HV A nelle università a cavallo del Sessantotto, nei collettivi della sinistra radicale studentesca ed extraparlamentare, che simpatizzavano per la DDR e contestavano la rimozione del passato nazista e il silenzio dei padri.

Lilli Pöttrich era una di questi: dopo un soggiorno di formazione politica nel Brandeburgo, i suoi gestori d’oltrecortina le fecero cambiare ateneo e durante gli studi di giurisprudenza a Colonia poté mettere in pratica i metodi della cospirazione spiando nei circoli degli studenti conservatori. Entrata nel corpo diplomatico della Germania Ovest, come secondo i piani, dopo un passaggio in Bangladesh, prestò servizio all’ambasciata di Parigi, dove alla fine del 1988, in qualità di vicedirettrice della commissione Cocom, forniva ragguagli sulle decisioni del comitato che doveva impedire l’esportazione di materiali strategici ad alta tecnologia verso i paesi del blocco socialista. ANGELIKA alias Pöttrich continuò a spiare indisturbata anche oltre la caduta del Muro, nel febbraio 1990, ad Acquisgrana, avvenne l’ultimo degli oltre 60 incontri con uomini dell’HV A avuti negli ultimi 15 anni. Lo smarrimento del suo passaporto (falso) a Berlino Ovest non ebbe conseguenze immediate, il documento giacque dimenticato in un magazzino di polizia fino al 1993, quando incrociato coi tabulati SIRA e le schede dei files Rosenholz contribuì allo smascheramento e all’arresto della donna.

La spia DDR Rainer Rupp alias «Topas»

Rainer Rupp alias «Topas»

Fu reclutata all’università, nel 1968 a Magonza, anche la più importante spia dell’HV A alla NATO, Rainer Rupp, nome in codice TOPAS. Profilo «sessantottino», pensava, una volta terminati gli studi di economia, di andare a lavorare in Africa con un programma di cooperazione per lo sviluppo. La Stasi gli offrì una prospettiva più originale per vivere il suo impegno politico marxista, antifascista e antimilitarista. Lo convinsero a spostarsi a Bruxelles, l’intenzione di Wolf era di piazzarlo nelle istituzioni della Comunità europea per lo spionaggio economico, la sorte volle che in pochi mesi nel 1969 riuscì a farsi assumere al quartier generale politico del Patto atlantico. Molto apprezzato per la competenza e le capacità analitiche, fece una rapida e brillante carriera nella divisione Affari politici, sezione direzione economica, che collaborava strettamente con la Defense Planning Division, circostanza che gli consentì l’accesso ai documenti col più alto grado di secretazione, il NATO-Top Cosmic Top Secret Clearance.

L’estrema sensibilità e lo straordinario valore riconosciuto alle centinaia di dossier che TOPAS faceva pervenire a Berlino Est erano tali da richiedere straordinarie misure di compartimentazione interna: i documenti venivano tradotti dall’inglese in tedesco e russo, mantenendo rigorosamente anonima la fonte per non pregiudicarla. Fra i «gioielli» più preziosi procurati dalla gola profonda c’erano una copia del Double-Track Decision del 1979, prima che venisse annunciato, e il dossier MC 161, che poteva essere letto solo in una speciale camera di sicurezza a prova di intercettazioni (Rupp non ha mai rivelato come riuscì a fotografarlo) perché vi erano elencate tutte le presunte conoscenze del Patto di Varsavia circa l’organizzazione difensiva della NATO, un documento che consentiva dunque ai servizi sovietici di interpretare al dettaglio le strategie difensive del blocco avversario ed elaborare adeguate contromosse. Identificato tramite le schede del Dossier Rosenholz nel 1993, Rupp ha scontato sette dei dodici anni di carcere cui fu condannato per spionaggio. Sostiene che durante la crisi del 1983, quando nel contesto delle crescenti tensioni fra Mosca e Washington la simulazione di un attacco nucleare della NATO all’Urss (Operazione Able Archer) fu scambiato per copertura di un reale attacco, provocando la messa in stato di allerta delle forze aeree e missilistiche in Polonia e Germania orientale, le informazioni da lui fornite al regime della DDR servirono a rassicurare il Cremlino che si trattava solo di un’esercitazione. I verbali sovietici della crisi, resi pubblici nel 2013, non confermano questa affermazione.

AL SERVIZIO DEL NEMICO PER CONSERVARE LA PACE

La celebre copertina del settimanale tedesco Der Spiegel (1979) che mostrò al mondo per la prima volta l'aspetto fisico di Markus Wolf, capo dell'intelligence estera della DDR

La celebre copertina del settimanale tedesco Der Spiegel (1979) che mostrò al mondo per la prima volta l’aspetto fisico di Markus Wolf

Se le dimensioni complessive e l’incidenza effettiva dell’infiltrazione nel paesaggio politico e istituzionale della Germania Ovest non risultano del tutto chiare (destò scalpore nel 2006 la comunicazione della BStU, secondo cui nel Bundestag della sesta legislatura, 1969-1972, ben 49 dei 518 deputati erano stati registrati dalla Stasi come «contatti», uno studio più approfondito pubblicato dalla stessa autorità nel 2013 riduce invece ad appena 9 il numero delle spie vere e proprie nell’arco di quarant’anni, i contatti erano dunque per lo più indiretti e «inconsapevoli»), da contro, in ambito militare, della penetrazione delle strutture di pianificazione e comando delle forze armate della Repubblica federale disponiamo di un quadro abbastanza preciso. Insieme allo spionaggio scientifico e tecnologico, quello militare era uno dei vettori principali del Westarbeit, specie nel periodo di crisi e tramonto della distensione fra i blocchi a cavallo fra la seconda metà degli anni Settanta e la prima metà degli Ottanta. Oltre alla coppia ASRIEL-AURIKEL alias Popp-Streffer e Rainer Rupp, che da Bruxelles garantiva la disposizione dei piani di difesa segreti di tutti i paesi NATO, una serie di spie di altissimo livello assicurava agli alti comandi militari della DDR un flusso copioso e continuo di piani operativi, documenti strategici e informazioni sui più avanzati sistemi d’arma, avvalendosi così di conoscenze estese, approfondite e assai precise circa pensieri, risorse e movimenti del nemico.

KLAUS REUTER alias Karl Gebauer, incaricato alla sicurezza per la tutela del segreto industriale presso la IBM, con accesso ai segreti della strumentazione elettronica e ai documenti della Bundesmarine, si offrì nel 1975 al controspionaggio della Stasi, non per soldi ma spinto dalla volontà di contribuire con il suo tradimento all’equilibrio delle forze fra i blocchi militari, evitando la guerra. Spiò fino al 1985 per l’HV A, nelle circa 35.000 pagine di documenti consegnati a Berlino Est erano compresi le pianificazioni di operazioni delle marine NATO nel Baltico (progetto TENNE), i codici per la comunicazione cifrata e dettagliate informazioni sull’infrastruttura dei centri di comando della marina tedesco-occidentale: secondo il contrammiraglio della Bundesmarine Sigurd Hess, in caso di guerra la flotta di Bonn sarebbe stata rapidamente annientata e il quartier generale della marina messo fuori gioco col sabotaggio. Le spie Petermann, nome in codice di Wolf-Dieter Feuerstein, e ROEDEL alias Wolf-Heinrich Prellwitz, fornirono negli anni Ottanta una quantità enorme di documenti sui caccia NATO Tornado ed Eurofighter, su vari modelli di elicotteri da combattimento e sul carro armato Leopard 2.

I coniugi Lutze, spie DDR, accolti da Mielke dopo scambio prigionieri del 1987

I coniugi Lutze accolti da Mielke dopo lo scambio prigionieri del 1987

Feuerstein, comunista e spia di seconda generazione (anche i genitori erano «esploratori» HV A), lavorava come ingegnere alla MBB, colosso dell’aeronautica tedesca con sede a Ottobrunn (Baviera), Prellwitz invece, semplice impiegato al Ministero della Difesa a Bonn, nella Divisione armamenti, ufficio registro dei documenti classificati, spiò esclusivamente per denaro (con 820.000 marchi incassati nell’arco di un ventennio fu la spia più costosa nella storia dell’HV A), ma lo fece credendo di collaborare con una lobby delle armi francese, la Stasi riuscì a gestirlo fino al 1989 sotto falsa bandiera. Prellwitz compensò la perdita di CHARLY alias Lothar Lutze, che insieme alla moglie Renate e Jürgen Wiegel, tutti e tre dipendenti del Ministero della Difesa, formava negli anni Settanta la più preziosa cellula spionistica impiantata nell’amministrazione della Bundeswehr. I coniugi Lutze furono arrestati nel 1979 e scambiati con agenti occidentali prigionieri nel 1987. Riuscì invece a scampare all’arresto, sempre nel 1979, riparando nella DDR, la segretaria Ursel Lorenzen, per dodici anni impiegata presso il direttorato per le operazioni del Consiglio atlantico, organo politico della NATO responsabile anche per il Centro Situazione dei servizi segreti occidentali.

HV A VERSUS USA

Al netto delle importanti conoscenze acquisite attraverso lo spionaggio militare, resta da segnalare come le valutazioni prodotte dall’analisi dei materiali informativi procurati in questo settore risentirono del condizionamento ideologico. Se, infatti, sul piano della motivazione la fede ideologica serviva a cementare la determinazione, su quello della lucidità analitica questa si rivelò un limite, spingendo ad esagerare il potenziale e le intenzioni occidentali, cadendo nella trappola della NATO, che aveva tutto l’interesse a impressionare l’avversario simulando capacità superiori alle condizioni reali in funzione deterrente. È difficile dire (per penuria di fonti) se questo valga anche per le conoscenze acquisite spiando l’infrastruttura militare americana nella Repubblica federale e a Berlino Ovest. All’inizio degli anni Settanta, l’HV A si dotò di una nuova sezione (ufficio XI) che doveva gettare le basi per operazioni di spionaggio negli Stati uniti, settore fino ad allora riservato ai soli «esploratori» sovietici di KGB e GRU.

James W. Hall, spia DDR

James W. Hall

Ci si mise alla ricerca di potenziali profili interessanti setacciando il gran numero di studenti statunitensi presso atenei europei (in Italia, l’Università per stranieri di Perugia, la Scuola di studi internazionali della John-Hopkins-University a Bologna e l’European Center della Loyola-University Chicago a Roma). I risultati di questo segretissimo programma sembrano essere stati piuttosto modesti, quantomeno rispetto a quelli raggiunti con l’ingaggio di militari americani in Germania, che consentirono alla Stasi di penetrare nelle principali installazioni SIGINT americane in territorio tedesco, in primis le stazioni NSA di Bad Aibling, Augsburg-Gablingen e la Field Station Berlin (FS B), situata sulla cosiddetta collina del diavolo (Teufelsberg) a Berlino Ovest, impianti integrati nel più vasto sistema di intercettazione elettronica e satellitare su scala planetaria, denominato ECHELON. Avvalendosi della collaborazione confidenziale di un giovane ufficiale dell’US Army, James W. Hall (nome in codice PAUL), supportato dal meccanico turco Hüseyn Yildrim, che gestiva un’officina di riparazioni presso la caserma Andrew Barracks a Berlino-Lichterfelde, dov’era alloggiata gran parte dei circa 1300 militari del contingente USA in servizio alla FS B, il controspionaggio dell’HV A riuscì a entrare in possesso di oltre 13.000 pagine di documenti classificati della NSA che il governo Kohl, nell’estate 1992, si precipitò a restituire a Washington, violando i vincoli previsti dell’autorizzazione parlamentare per l’estrema delicatezza del loro contenuto e in conformità ai doveri atlantici.

Fra i documenti restituiti vi era infatti il National SIGINT Requirements List, un catalogo di 4258 pagine con tutti gli obiettivi dello spionaggio elettronico della NSA, circa 30.000 utenze che il governo americano richiedeva di intercettare e spiare. Inoltre, l’ex colonnello della Stasi Klaus Eichner, negli anni Ottanta capo-analista della sezione HV A IX/C (controspionaggio dei servizi USA), rivelò che James Hall aveva avuto accesso ai programmi offensivi e di studio top secret TROJAN, J-TENS e CANOPY WING. In particolare, quest’ultimo provava l’esistenza di studi, condotti nel periodo reaganiano, sulla praticabilità di un attacco nucleare come opzione per piegare l’Urss. Ciò troverebbe conferma anche nelle informazioni, circa un centinaio di fascicoli riservati, fornite da una seconda spia dell’HV A nelle strutture dello spionaggio elettronico americano, il diciannovenne sergente dell’US Air Force Jeffrey M. Carney alias KID, in forza al 6912th Electronic Security Group dell’aviazione americana alla base di Marienfelde a Berlino Ovest.

Jeffrey Carney alias «KID», spia DDR

Jeffrey Carney alias «KID»

Carney, che come Hall aveva accesso ai documenti segretissimi del programma CANOPY WING, tradì in favore del nemico per un motivo diverso: mentre Hall aveva agito per arricchirsi, il sensibile e giovanissimo Carney era turbato dall’aggressiva politica estera dell’amministrazione Reagan, provava inoltre un forte sentimento di frustrazione e disgusto per il clima omofobo che regnava all’interno dell’US Air-Force, mentre al di là del Muro riusciva a vivere più liberamente la sua omosessualità frequentando i locali della vivace subcultura gay di Berlino Est, tollerata dal regime comunista. La Stasi lo aveva infatti intercettato nel 1983 in una sala d’aspetto al passaggio di frontiera di Friedrichstraße: di ritorno da una delle sue frequentazioni amorose, aveva dimenticato la chiusura notturna della stazione alla mezzanotte. Le guardie di frontiera lo segnalarono ai colleghi della Stasi «in stato di confusione, depressione e labilità psicologica».

IL COLABRODO DEL CONTROSPIONAGGIO DI BONN 

Nello spionaggio, i successi di una parte sono gli insuccessi della difesa della controparte. Le strutture del controspionaggio civile e militare della Germania Ovest non furono certamente all’altezza delle capacità offensive dell’avversario, ma bisogna riconoscere che non si giocava ad armi pari: il BfV e le sue diramazioni a livello dei Länder non contarono mai più di 800 collaboratori, amministrazione e segretarie comprese, l’HV A nel 1989 aveva 4500 funzionari e poteva operare di concerto con l’intero apparato repressivo della Stasi, alla vigilia della caduta del Muro forte di quasi 100.000 uomini. Ciò non toglie che a cavallo fra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta gli sforzi congiunti degli esperti del BfV e del BND diedero i primi risultati, anche grazie alla defezione del tenente Stiller nel gennaio 1979, furono assestati una serie di colpi durissimi alle reti spionistiche della DDR.

Una immagine della spia DDR Hans Joachim Tiedge

Una immagine di Hans Joachim Tiedge

Con l’Operazione ANMELDUNG («Registrazione») si riuscì a scoprire il modus operandi dell’HV A per la costruzione delle false biografie dietro le quale si nascondevano gli agenti, partendo da identità di persone realmente esistenti emigrate o scomparse. Ricerche a tappeto nei registri anagrafici comunali di tutto il paese portarono all’identificazione di almeno 450 persone residenti in Germania Ovest sotto falsa identità, un centinaio delle quali subì condanne per spionaggio, mentre un’ottantina riuscì a fuggire, avvisati in tempo dall’HV A. I progressi furono tuttavia stroncati da una serie di defezioni ai vertici di tutti e tre i servizi segreti della Repubblica federale, defezioni gravissime, che misero in ginocchio le forze del controspionaggio di Bonn. Nel 1982 divenne una spia dell’HV A Klaus Kuron, funzionario del controspionaggio civile specializzato nella caccia agli agenti doppi e agli infiltrati della DDR nei partiti politici e nelle istituzioni federali, tre anni dopo fuggì nella DDR anche il suo capo Hansjoachim Tiedge. Il primo si offrì per frustrazione per la carriera bloccata: nonostante la grande esperienza e competenza acquisite sul campo, senza laurea non aveva prospettive di promozione, la Stasi lo ricompensò con quasi 700.000 marchi in otto anni. Tiedge era invece afflitto dai debiti e agì spinto da gravi problemi psicologici causati dalla morte della moglie, dall’abuso di alcol e dalla minaccia di un suo trasferimento ad altra istituzione, che avrebbe messo fine a vent’anni di brillante carriera.

Debiti di gioco e frustrazioni professionali erano all’origine anche del tradimento di Joachim Krase, vicecapo del MAD (Militärischer Abschirmdienst), il servizio di controspionaggio militare. Dal 1969 al 1985 Krase non solo arrecò danni immensi alla Bundeswehr, che doveva proteggere dall’infiltrazione spionistica, facendo fallire un gran numero di operazioni e arrestare o «invertire» agenti e confidenti (dal 1992 sappiamo che in nove su dieci le fonti dei servizi di Bonn nella DDR erano agenti doppi della Stasi!), ma rivelò anche alla DDR le coordinate topografiche dei depositi segreti delle testate nucleari americane sul suolo tedesco, uno dei principali obiettivi del Patto di Varsavia nei primi giorni di un eventuale conflitto con la NATO.

Gabriele Gast, spia DDR, con Markus Wolf

Gabriele Gast con Markus Wolf

A completare il quadro disastroso del sistema delle «difese immunitarie» della Repubblica federale negli anni Ottanta si aggiungeva anche la presenza di due spie doppie piazzate in posizioni strategicamente molto sensibili nel BND: il capitano della divisione SIGINT Alfred Spuhler alias fonte PETER, attivo per l’HV A dal 1972 al 1989, al quale rivelò l’identità di circa 300 informatori della ricerca in campo militare, e l’analista Gabriele Gast, acquisita nel 1968 tramite un Romeo e piazzata nel BND alla base di Pullach, dove fece carriera nell’ufficio di analisi delle informazioni raccolte con lo spionaggio in Unione sovietica. Sia Gast che Spuhler agirono per fede nella bontà della causa socialista.

WOLF, IL GRANDE MANIPOLATORE E MOTIVATORE 

Commercianti di informazioni e spie per scelta politica, carrieristi frustrati ed egomani, segretarie e studentesse in cerca di partner, ricattati, manipolati, ingannati: la Stasi non lasciò nulla di intentato per spiare l’altra Germania e i suoi alleati occidentali. A conti fatti, tenendo ferma la parzialità di ciò che sappiamo, al di là dell’ispirazione politico-ideologica, che voleva fare dell’infiltrato la forma più alta del militante politico, ciò che davvero caratterizzò il Westarbeit, il suo tratto storicamente peculiare, fu la cura delle fonti sul piano psicologico. I funzionari dell’HV A dimostrarono sempre consapevolezza del fatto che i rischi, per primo quello di finire in prigione e di avere la propria vita distrutta, come il peso della doppia vita e i costi nervosi, emotivi ed esistenziali della doppia identità erano tutti a carico del Kundschafter, non dei gestori, che seguivano l’operazione a distanza, dai loro uffici, e non rischiavano nulla se non – nel peggiore dei casi – una brusca frenata della loro carriera.  Markus Wolf, primo manipolatore e spiritus rector dei sottili metodi psicologici adottati, era il primo a curarsi personalmente delle spie più importanti, che rendevano maggiormente dalle posizioni più delicate, li incontrava periodicamente non solo per esprimere loro la sua gratitudine e quella del suo servizio e virtualmente del suo paese per il loro sacrificio personale, ma per instaurare con loro un rapporto umano, sì funzionale e strumentale, ma comunque reale e diretto che li galvanizzasse e insieme trasmettesse loro un sentimento di protezione. Con grande maestria e sensibilità, Wolf e i suoi colonnelli facevano leva sulla base di un forte legame di lealtà non solo ideale («Noi non abbandoniamo nessuno») per suscitare orgoglio e ambizioni, soddisfare esigenze materiali o affettive, compensare carenze e alimentare dipendenze.

Occorreva inoltre accertarsi di tanto in tanto dello stato emotivo e delle condizioni psichiche dell’informatore, per evitare cattive sorprese. In media la durata d’impiego di una spia dell’HV A infiltrata in Germania Ovest era di una decina d’anni. Il rischio più grande, oltre a quello di venire scoperti e arrestati, era che il soggetto perdesse se stesso ovvero che smettesse di interpretare la sua identità fittizia facendola propria o integrandola nella propria. Questo poteva accadere sia nelle operazioni più audaci, per esempio l’impiego dei Romeo, sia con le spie che operavano sotto copertura per un periodo molto lungo e a livelli molto alti. Fu forse questo il caso di Adolf Kanter alias Fichtel, che operò per quarant’anni per l’HV A come capo-lobbista della Flick, uno dei più grandi e influenti gruppi industriali della Repubblica federale, ottimamente inserito nella zona grigia fra politica, industria e finanzia, dove la decisione politica si compra e si vende. Kanter cominciò a lavorare segretamente per le strutture informative della SED prima ancora che si costituisse la Stasi, nel 1949, convinto che il socialismo fosse l’unica strada per salvare l’umanità dopo la catastrofe della guerra, che aveva vissuto da giovane soldato in Serbia. Entrato nell’organizzazione giovanile del partito di Adenauer, divenne dirigente del movimento europeista, utilizzandone i fondi per finanziare la carriera politica di Helmut Kohl, che ricambiò il favore dandogli accesso alle anticamere del potere.

Negli anni Settanta era il responsabile esecutivo del cda della Flick per il finanziamento illegale dei partiti, Kanter teneva i libri paga, fissava le somme da corrispondere a ministri e segreterie di partito per assicurare al gruppo Flick atti e decisioni compiacenti del parlamento e del governo, e consegnava personalmente le buste e le borse cariche di banconote. Wolf era sbalordito dall’eccezionale disciplina della sua migliore spia a Bonn, la sua freddezza assolutamente fuori dal comune e la rara precisione con cui era possibile manovrarlo a distanza per penetrare nel cuore del potere corrotto della Germania Ovest. Kanter rimase leale a entrambi i suoi padroni, avrebbe potuto usare il potere che gli dava ciò che sapeva per ricattare l’uno e l’altro, non lo fece: non abbandonò mai l’HV A fino alla scomparsa della DDR e non inguaiò Kohl davanti ai giudici, al processo che nel 1995 lo condannò con una sentenza molto mite.


● Per approfondire le tematiche legate alla Stasi e in generale alla DDR, la redazione di Spazio70 consiglia il seguente volume: GIANLUCA FALANGA. Il ministero della paranoia. Storia della Stasi (Carocci editore, 2015)