Qui potrai trovare una vasta rassegna di materiali aventi ad oggetto uno dei periodi più interessanti della recente storia repubblicana, quello compreso tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Ottanta del secolo scorso.
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di Gianluca Falanga
La Stasi e Willy Brandt: il pensiero corre subito a Guillaume, la famosa spia del cancelliere, ma il celeberrimo affaire, che nella primavera del 1974 provocò le dimissioni del primo cancelliere socialdemocratico dalla costituzione della Repubblica federale, è solo un passaggio di una storia più lunga, che vide l’apparato di sicurezza della Germania orientale impegnato per decenni in operazioni di condizionamento della carriera di Brandt. Carismatico borgomastro di Berlino Ovest per un decennio a cavallo fra gli anni Cinquanta e Sessanta, Willy Brandt finì subito nel mirino della Stasi per la sua nettezza nell’opporsi al regime di Ulbricht, denunciandone impietosamente i misfatti. I suoi memorabili discorsi e appelli pronunciati in memoria della sollevazione operaia e popolare del 17 giugno 1953 nella DDR o in occasione delle proteste davanti alla Porta di Brandeburgo contro l’intervento sovietico in Ungheria nel 1956, e ancora di più il suo atteggiamento fermo nei confronti degli ultimatum sovietici e nei giorni della costruzione del Muro nel 1961, gli valsero enorme popolarità e la reputazione di campione dell’antistalinismo, attirandogli però anche le attenzioni della Stasi, che per anni gli scatenò contro una guerra segreta senza esclusione di colpi, ricorrendo per lo più alle armi affilate della disinformazione e della diffamazione per stroncarne la carriera.
Willy Brandt fu anche uno dei promotori della svolta di Bad Godesberg del 1959, che svincolò la socialdemocrazia tedesca dallo scolasticismo marxista indirizzandola verso un pensiero politico aperto e problematico all’altezza della complessità di una società dinamica, innovativa e inclusiva, in contrapposizione all’immobilismo delle società d’oltrecortina: chi si apre è più forte, questo era lo spirito che spinse Brandt e con lui il suo partito a ripensare gli orientamenti della politica estera e dei rapporti fra i blocchi della Guerra fredda. Quando a partire dal 1963, insieme al suo fedelissimo consigliere e stratega Egon Bahr, si accinse a definire i termini della politica del Wandel durch Annäherung («cambiamento attraverso l’avvicinamento»), abbandonando le posizioni di contrapposizione intransigente in favore di una ricerca del dialogo con i regimi comunisti, anche l’atteggiamento della SED prese a mutare. Per condurre negoziati sul terreno delle «agevolazioni umanitarie» che dovevano consentire alle famiglie tedesche divise di potersi rivedere e a una parte dei prigionieri politici nelle carceri della DDR di potersi trasferire a Ovest, si generò una diplomazia segreta che, come ci racconta la documentazione oggi consultabile, fu attentamente sorvegliata dalla Stasi, nella fattispecie dal suo braccio operativo in Occidente, l’agenzia Hauptverwaltung Aufklärung (HV A) diretta da Markus Wolf.
Negli anni Sessanta, che videro Brandt assumere prima l’incarico di segretario nazionale della SPD, poi quello di ministro degli Esteri e vicecancelliere del Gabinetto Kiesinger di Grande coalizione, la DDR non avversò più la carriera del leader socialdemocratico, ma al contrario riconobbe in Brandt e nella sua Ostpolitik l’unica personalità politica della Germania occidentale capace di creare condizioni favorevoli al conseguimento del primo obiettivo della politica estera del regime di Berlino Est, il riconoscimento internazionale della piena sovranità dello Stato tedesco-orientale e il suo inserimento nella comunità internazionale. E a dispetto dei rischi, non solo dei vantaggi, che comportava la collaborazione con Bonn sul piano della stabilizzazione del regime, con l’insediamento del governo social-liberale alla fine del 1969, la DDR superò il suo iniziale atteggiamento esitante e diffidente, arrivando persino, nel 1972, a salvare Brandt, che l’opposizione voleva sfiduciare, per poi farlo cadere – ironia della sorte – solo due anni dopo, per effetto dello scandalo Guillaume.
Come detto, la sua ferma opposizione al regime di Ulbricht fece di Brandt, già negli anni Cinquanta, uno dei più agguerriti antagonisti della giovane DDR nell’arena politica di Berlino. Chiamata a recuperare materiale utile al lancio di campagne diffamatorie ai suoi danni, la Stasi individuò immediatamente quali fossero i punti deboli nella biografia dell’uomo e del politico sui quali fare leva e concentrare gli attacchi. Il periodo trascorso da esule antifascista in Norvegia offriva le maggiori opportunità, trattandosi di un’esperienza che, seppure onorevole, lo metteva in contrasto con l’opinione pubblica nella Repubblica federale. La Stasi era infatti ben consapevole che a Ovest regnava un atteggiamento vittimistico e autoassolutorio, di rimozione della colpa per la complicità delle masse nei crimini del regime hitleriano, accompagnato da una malcelata ostilità verso gli esuli antifascisti e chi altri aveva lasciato volontariamente, per motivi di dissenso politico, la Germania e proprio per quegli stessi motivi si era sottratto ai suoi doveri patriottici, magari combattendo anche dalla parte del nemico, in formazioni partigiane o negli eserciti alleati.
Brandt si era trasferito a Oslo nel 1933 per instaurarvi una cellula clandestina dell’organizzazione politica nella quale militava, il partito socialista operaio SAPD (Sozialistische Arbeiterpartei Deutschlands), sorto nel 1931 da una scissione a sinistra del SPD e messo fuori legge dai nazisti. Proprio in Norvegia aveva assunto il nome di battaglia di Willy Brandt (il suo vero nome era Herbert Frahm), che mantenne per il resto della sua vita. Dalla capitale norvegese, Brandt aveva coordinato le attività politiche e di resistenza della SAPD, era stato corrispondente nella Spagna della guerra civile, sostenendo i marxisti antistalinisti del POUM contro le forze franchiste. Apolide dal 1938 e ricercato dalla Gestapo, aveva assunto la cittadinanza norvegese (quella tedesca la riacquistò solo nel 1948). All’occupazione nazista della Norvegia nella primavera del 1940 era stato fatto prigioniero dalla Wehrmacht, indossando un’uniforme norvegese non era stato riconosciuto, al suo rilascio era immediatamente fuggito in Svezia, dove aveva portato avanti il suo impegno antifascista fino al termine della guerra.
Fin dai primi anni Cinquanta, Brandt fu preso di mira dall’agitazione propagandistica del regime di Berlino Est, per esempio attraverso articoli sensazionalistici pubblicati sull’organo di stampa ufficiale della SED, che lo accusavano di spionaggio per gli angloamericani durante la guerra. Al contempo, la sezione agitazione della SED e l’HV A coordinavano i loro sforzi per indebolire Brandt all’interno del suo partito. Nel 1957, i collaboratori di Brandt, appena eletto borgomastro di Berlino Ovest, furono messi al corrente per via informale che il Comitato centrale della SED era in possesso di prove della collaborazione di Brandt con i servizi segreti norvegese, britannico, sovietico e anche con le strutture clandestine dei comunisti tedeschi. La notizia era accompagnata dalla chiara minaccia di rendere tutto pubblico qualora Brandt non avesse mutato atteggiamento nei confronti della DDR. L’HV A intanto procedeva ricorrendo da un lato alla diffusione di falsi volantini di protesta firmati da anonimi contestatori interni al partito che accusavano Brandt di essere un agente di Adenauer dentro la segreteria del SPD berlinese, dall’altro esasperando artificiosamente la contrapposizione di Brandt a Herbert Wehner, dirigente nazionale e promotore, nel 1959, di un piano di riunificazione della Germania, che prevedeva la creazione di una zona smilitarizzata e priva di armi nucleari in Europa centrale.
A fronte dell’ultimatum sovietico del novembre 1958, che aveva aperto una seconda crisi fra le superpotenze intorno alla delicata questione berlinese (dopo la prima provocata dal blocco del 1948), Brandt era fermamente contrario a qualsiasi cedimento nei confronti del blocco sovietico in merito al ritiro della presenza militare degli Alleati occidentali a Berlino Ovest, guardando con sospetto alle proposte di neutralizzazione della città avanzate dal Cremlino, che avrebbero prevedibilmente consegnato l’intera Berlino al controllo del regime di Ulbricht. Il piano non trovò il consenso né degli USA né dell’Urss e fu rapidamente abbandonato. Nel giugno 1960, Wehner informò il Bundestag del rigetto socialdemocratico di opzioni neutralistiche alternative alla scelta di collocazione strategica della Westintegration adenaueriana.
Il cosiddetto «memorandum Angerer» (fonte: BStU)
Alla caccia di informazioni per fermare la carriera di Brandt, la Stasi non lasciò nulla di intentato. Nelle indagini contro persone sospettate di spionaggio, gli ufficiali che effettuavano gli interrogatori erano incaricati di segnalare prontamente all’HV A qualsiasi ragguaglio o indicazione utile a documentare una collaborazione del giovane Brandt con servizi segreti stranieri. Nel 1958, l’amministrazione distrettuale della polizia segreta di Lipsia incappò in un tipografo di nome Georg Angerer, ex militante della SAP ed esule anche lui in Norvegia come Brandt. Vi era motivo di ritenere, nonostante nell’immediato dopoguerra un tribunale norvegese lo avesse scagionato da questa accusa, che Angerer fosse stato un delatore della Gestapo, per la quale aveva lavorato come interprete. La Stasi lo aveva nel mirino per il sospetto di un suo collegamento con la rete clandestina del SPD nella DDR (Ostbüro). L’uomo si vantava di avere conosciuto Brandt in Norvegia, così la Stasi credette di poterlo strumentalizzare per accusare anche il borgomastro di Berlino Ovest di essere stato una spia della Gestapo. Markus Wolf volle occuparsi personalmente dell’operazione. Le ricerche effettuate, anche in Norvegia, sembrarono confermare il sospetto di una collaborazione confidenziale di Angerer con la polizia segreta nazista, ma non si trovò nulla di sostanzioso per alimentare l’infamante sospetto nei confronti Brandt. Il 14 marzo 1959, Wolf pretese allora l’arresto di Angerer, che fu sottoposto a durissimi interrogatori per costringerlo a fornire le informazioni desiderate.
A metà maggio 1959, la sezione agitazione della SED, l’HV A di Wolf e gli ufficiali che conducevano gli interrogatori concordarono il piano per una campagna mediatica, che prevedeva un’intervista di Angerer da diffondere in tutti i media di Stato della DDR e una raffica di articoli da pubblicare sui principali quotidiani per affossare la credibilità dell’odiato Brandt. Angerer fu costretto a stendere un memorandum di 54 pagine carico di illazioni, frutto della condizione di manipolazione e coercizione nella quale si trovava da settimane (la calligrafia evidentemente tremolante del prigioniero tradisce le violente pressioni subite): Brandt sarebbe stato un carrierista senza scrupoli, un demagogo, un egocentrico intrigante e donnaiolo, un fanatico anticomunista, che in Spagna aveva combattuto coi trozkisti e dopo la guerra aveva collaborato come spia per gli americani. Mancava però, nel memorandum, qualsiasi collegamento con la Gestapo, così la Stasi, insoddisfatta, riprese gli interrogatori. Angerer fu rilasciato solo alla fine di settembre 1959. Wolf, insoddisfatto, continuò a tormentarlo fino al 1963, quando il quadro politico e gli orientamenti era oramai in mutamento.
La decisione del congresso SPD nel novembre 1960 di lanciare Brandt come candidato cancelliere alle elezioni federali del 1961 offrì a Berlino Est un’ultima grande occasione per tentare di affondare il leader socialdemocratico impedendogli di diventare capo di governo. Data l’inutilità della pista Angerer, nella quale erano state investite energie e risorse operative senza ottenere risultati apprezzabili, Wolf decise di cambiare strategia, individuando canali alternativi per colpire Brandt nel corso della campagna elettorale, che lo vedeva contrapposto ad Adenauer. L’HV A puntò allora sul munizionamento degli avversari diretti di Brandt. Tramite l’editore conservatore bavarese Hans Kapfinger e il pubblicista Hans Frederik, entrambi spie della Stasi, furono messi in circolazione due scritti che diffamavano Brandt come traditore della Patria e persona immorale per le sue numerose frequentazioni femminili. Kapfinger era anche editore del quotidiano regionale Passauer Neue Presse, dalle cui colonne fu lanciata una serrata campagna anti-Brandt, senza esclusione di colpi.
Rispetto ai precedenti attacchi, quest’ultima campagna di killeraggio giornalistico ebbe decisamente maggiore successo, la risonanza pubblica fu assai forte, Brandt uscì dalla campagna elettorale duramente provato: molte delle infamanti dichiarazioni pubbliche fatte da Adenauer e Franz Josef Strauß, i riferimenti al suo essere nato da una relazione extraconiugale, al suo esilio scandinavo e all’avere assunto la cittadinanza norvegese, la spietata strumentalizzazione della sua vita privata, ricalcavano esattamente le linee di aggressione della disinformazione della Stasi.
Il 17 dicembre 1963, le autorità della DDR e il Senato di Berlino Ovest, ovvero l’amministrazione locale (socialdemocratica) della metà occidentale della città divisa, riuscirono ad accordarsi per consentire ai berlinesi dell’Ovest di recarsi in visita dai loro parenti a Berlino Est nel periodo delle festività natalizie. Per la prima volta, a quasi due anni e mezzo di distanza dalla chiusura del confine nell’agosto 1961, il Muro di Berlino si schiudeva, seppure soltanto per una finestra temporale di poco più di due settimane. Nei giorni fra il 19 dicembre 1963 e il 5 gennaio 1964, approfittando del cosiddetto Accordo dei lasciapassare (Passierscheinabkommen), furono effettuate oltre un milione di visite da parte di un totale di oltre 700.000 cittadini di Berlino Ovest, ai quali fu concesso l’accesso e una breve permanenza nel settore orientale della città. Negli anni seguenti, i rappresentanti del Senato di Berlino Ovest e della DDR conclusero quattro ulteriori accordi dello stesso genere, tuttavia nel 1966, quando fu chiaro al regime della DDR che tali accordi non comportavano alcun passo avanti sul fronte del suo riconoscimento internazionale, Berlino Est preferì bloccare la pratica, conservando soltanto un ufficio permessi per questioni familiari molto urgenti. Occorrerà attendere il Trattato delle quattro potenze su Berlino del 1971 per raggiungere uno stabile assetto normativo che permettesse ai Berlinesi occidentali di potere accedere con regolarità a Berlino Est e incontrarvi i propri cari.
Fu però proprio l’esperienza dei negoziati per questi accordi del 1963-66 a provocare un’evoluzione nell’atteggiamento reciproco fra SED e SPD. Mentre da un lato Brandt riusciva a sperimentare concretamente nel laboratorio politico di Berlino, anche contro il parere avverso di Bonn, la linea di una nuova Deutschlandpolitik ispirata a una cauta e pragmatica apertura verso est, la dirigenza della DDR cominciava a intravedere il potenziale che albergava nella «politica dei piccoli passi» e del «cambiamento attraverso l’avvicinamento» portata avanti da Brandt.
Di conseguenza, Berlino Est smise di ostacolare la carriera di Brandt e iniziò anzi a favorirne l’ascesa sia all’interno del suo partito che sul palcoscenico della politica nazionale in opposizione al governo liberalconservatore guidato da Ludwig Erhard, a cominciare dalle elezioni federali del settembre 1965. Nella seduta del Politbüro della SED del 1° luglio 1964 fu messa all’ordine del giorno la discussione circa gli equilibri di potere interni al SPD, in vista del congresso federale in programma a novembre a Karlsruhe. Brandt era da febbraio segretario generale del partito, dalla svolta di Bad Godesberg del 1959 i socialdemocratici erano in netta crescita e solo due anni e mezzo dopo, nel dicembre 1966, avrebbe assunto per la prima volta dopo il 1945 responsabilità di governo a livello nazionale, entrando nel gabinetto di Grande coalizione guidato da Kiesinger.
I vertici della SED decretarono che Brandt era l’unico esponente nazionale della SPD a condurre una politica «realista» nei confronti della DDR; pertanto, furono trasmesse alla Stasi istruzioni affinché sviluppasse attività per rafforzare Brandt e indebolire i suoi principali avversari, Herbert Wehner e Fritz Erler, contrari alla linea aperturista seguita da Brandt a Berlino. Le istruzioni prevedevano la raccolta di materiale compromettente per screditare i due dirigenti socialdemocratici e l’instaurazione di canali informali e diplomazia segreta per dialogare direttamente con l’entourage di Brandt a Berlino Ovest.
Il principale di questi canali, già collaudato in occasione dei negoziati per l’accesso a Berlino Est, passava attraverso Hermann von Berg, dal 1962 direttore della Sezione rapporti internazionali dell’ufficio stampa del governo della DDR e agente dell’HVA/sezione X («misure attive» e disinformazione in Germania Ovest) col nome in codice Günther. Von Berg era segretamente in contatto diretto con Dietrich Spangenberg, dal 1963 al 1967 capo della cancelleria del Senato di Berlino Ovest. In un colloquio con quest’ultimo avvenuto il 28 aprile 1965, von Berg offrì il sostegno della SED alla campagna elettorale in favore di Brandt, che tornava a candidarsi alla carica di cancelliere dopo la sconfitta del 1961. Brandt fece rispondere che era necessario evitare gesti politici ufficiali da parte del regime che avrebbero potuto metterlo in difficoltà, considerata la cattiva disposizione della maggioranza dell’elettorato tedesco-occidentale verso la SED, piuttosto servivano piccoli segnali positivi da parte della DDR che lasciassero intendere ai tedeschi occidentali che la strada imboccata a Berlino con la «politica dei piccoli passi» era effettivamente praticabile, lasciando intravedere prospettive di intesa sul terreno della collaborazione politico-umanitaria.
Una delle armi più frequentemente utilizzate dalla Stasi negli anni Sessanta per distruggere la reputazione dei politici occidentali era mettere in circolazione prove (in genere fabbricate, combinando ad arte vero e falso) e «rivelazioni» circa i loro reali o presunti trascorsi nazisti. Per la preparazione di campagne di disinformazione e diffamatorie a mezzo stampa come per l’istruzione di sensazionali procedimenti giudiziari, la Stasi poteva contare su di un intero archivio, organizzato a Berlino Est negli anni Cinquanta raccogliendo sistematicamente documenti del periodo nazista reperibili in tutto l’Est europeo e incardinato dal 1968 nella sezione 11 della IX Divisione (indagini penali e speciali).
In collaborazione con le officine dei falsari e i registi delle «misure attive» della sezione HVA/X, gli archivisti producevano i dossier che si facevano direttamente o indirettamente pervenire ai giornalisti occidentali e alle segreterie dei partiti. Fra il 1960 e il 1969, oltre alle famose campagne contro il ministro Theodor Oberländer, il segretario di Stato Hans Globke e il presidente della Repubblica Heinrich Lübke, si composero dossier sul passato di dirigente comunista di Wehner, in esilio a Mosca negli anni Trenta (aveva alloggiato al famigerato Hotel Lux nel periodo delle Purghe staliniane, dove avrebbe denunciato compagni alla polizia segreta sovietica) e contro il vicesegretario Erler, all’epoca capogruppo dei deputati socialdemocratici al Bundestag, ricorrendo a documenti della giustizia nazista atti a ipotizzare una sua collaborazione con la Gestapo dopo l’arresto. In entrambi i casi, le campagne non furono efficaci: nel primo, la Stasi preferì non procedere perché i fatti cui si faceva riferimento mettevano in cattiva luce l’Urss; nel secondo, invece, i documenti fatti pervenire a Brandt attraverso il canale von Berg-Spangenberg non pare siano stati utilizzati, comunque nel 1966 Erler si ammalò gravemente e la formazione del governo di Grande coalizione cambiò il quadro politico, imponendo alla Stasi una revisione della propria strategia di intervento occulto.
Nella seconda metà degli anni Sessanta, che videro Brandt protagonista della politica estera di Bonn, prima come ministro degli Esteri del governo Kiesinger, poi dopo la vittoria alle elezioni del 1969 come cancelliere del primo governo social-liberale nella storia della Repubblica federale, l’importanza dei canali di diplomazia segreta fra le due Germanie si fece sempre maggiore, fino ad avere un peso determinante nei negoziati che definirono i trattati della Ostpolitik fra il 1970 e il 1972. Ogni interpretazione di questi rapporti non ufficiali come canali di condizionamento subito dalla SPD e da Brandt da parte della Stasi non risulta convincente alla luce della documentazione disponibile negli archivi della polizia segreta come in quelli della SED. Ciò non toglie che l’infiltrazione dello spionaggio della DDR, in particolare degli agenti gestiti dalla Sezione operativa HVA/X negli ambienti giornalistici molto vicini alle istituzioni di Bonn fu piuttosto estesa e profonda. Un ruolo centrale nella tessitura dei rapporti con la stampa tedesco-occidentale continuò a svolgerlo Hermann von Berg. A fronte della penuria di documenti prodotti dalla struttura deputata alle «misure attive» (gli uomini di Wagenbreth riuscirono a liquidare quasi per intero il proprio archivio nell’autunno-inverno 1989/90), l’azione dell’agente Günther si può ricostruire grazie a un’indagine segreta svolta contro di lui nel 1978 dal controspionaggio della Stasi (II Divisione) perché sospettato di essere l’autore (lo era davvero, come si scoprì dopo il 1990) di un manifesto dell’opposizione interna alla SED pubblicato sul primo numero di gennaio 1978 di Der Spiegel.
L’indagine si è salvata dalla cassazione dei documenti operata alla caduta del Muro perché custodita nella sezione segreta (Geheime Ablage) dell’Archivio centrale della Stasi a Berlino, dove la direzione del Ministero di Mielke faceva conservare i fascicoli più delicati, come appunto le indagini interne contro il personale dell’organizzazione. Si tratta in questo di 12 voluminosi faldoni contenenti numerose copie dei report dell’agente Günther e altri documenti relativi alla collaborazione von Berg-HV A, di cui gli originali nell’archivio della struttura di Wolf furono eliminati fra gennaio e marzo 1990.
Von Berg, reclutato dagli uomini di Wolf nel 1962 all’Università di Lipsia, si presentava ai suoi interlocutori occidentali come rappresentante del governo che poteva offrire una linea diretta col presidente del consiglio dei ministri Willi Stoph, in realtà tutto ciò che gli veniva affidato, informazioni, lettere, notizie, indiscrezioni, proposte di negoziati, prima di arrivare agli organi di governo dello Stato e del Partito della DDR passava per le scrivanie di Markus Wolf e Rolf Wagenbreth, il capo della sezione «misure attive». È assai probabile che i suoi interlocutori occidentali sospettassero del suo collegamento con la Stasi, ma ciò non impedì la costruzione di un rapporto di fiducia.
Sul versante occidentale il più interessato a rendere permeabile il Muro sfruttando von Berg era Egon Bahr, dal 1960 al 1966 portavoce di Brandt al governo di Berlino Ovest, poi stratega della Ostpolitik in qualità di capo del gruppo di programmazione politica al Ministero degli Esteri, dal 1969 segretario di Stato all’Ufficio della Cancelleria e plenipotenziario del governo Brandt a Mosca e Berlino Est. A ogni incontro con Bahr, von Berg veniva istruito direttamente da Wolf e Mielke. Ma anche Brandt era a conoscenza, almeno dal maggio 1964, del canale von Berg e se ne servì, seppure indirettamente, in più di un’occasione. L’agente Günther rimase un interlocutore privilegiato per la comunicazione informale fra Brandt e il regime della DDR fino alla firma del Trattato fondamentale del dicembre 1972, che sancì una normalizzazione di fatto delle relazioni fra le due Germanie, aprendo la strada al tanto anelato riconoscimento internazionale della DDR.
Centrato l’obiettivo, Wolf preferì ritararlo perché non lo riteneva più adeguato a una nuova stagione politica, gli fu assegnata una cattedra all’Università Humboldt di Berlino, che poi perse a causa della vicenda del misterioso manifesto pubblicato su Der Spiegel. In quel documento, che auspicava la riunificazione tedesca con un processo di vaste e profonde riforme, il socialismo reale era definito una forma di «tardocapitalismo pseudosocialista» governato da un gruppo di «reazionari» con idee obsolete, superate dalla storia. Von Berg finì anche in prigione e fu a lungo interrogato, la Stasi riteneva che fosse passato al nemico e avesse redatto segretamente il manifesto in collaborazione con il BND. Dopo anni di tribolazioni, Honecker gli permise di lasciare la DDR nel 1986.
La relazione sul colloquio Bahr-Kohl due giorni prima del voto di sfiducia contro il governo Brandt (fonte: BStU)
Gli storici trattati della Ostpolitik mutarono sensibilmente l’assetto delle relazioni internazionali e fra i blocchi nell’Europa divisa dalla Guerra fredda. La presenza della Stasi nella diplomazia segreta fra i due governi tedeschi non autorizza a considerare i frutti di quella politica il risultato di un’opera di manipolazione o condizionamento da parte degli emissari della DDR, perché questi furono del tutto coerenti con il processo politico preparato e avviato dai vertici della SPD berlinese nel decennio precedente. Resta il fatto che la Stasi riuscì effettivamente a influenzare la carriera politica di Brandt in due precise occasioni: una prima volta, volontariamente, nell’aprile 1972, quando fece fallire il tentativo dell’opposizione cristiano-democratica di sfiduciarlo, comprando l’astensione di due deputati, una seconda volta, involontariamente, due anni dopo, provocando le dimissioni dello stesso cancelliere, costretto a lasciare per lo scandalo scatenato dall’arresto della spia Guillaume. L’approdo di Brandt al governo di Bonn nell’autunno del 1969 aveva costretto il regime della DDR a rivedere i termini della sua contrapposizione al governo di Bonn.
Nei lunghi anni dell’era Adenauer, la DDR aveva potuto approfittare della mancata epurazione dei nazisti nei principali corpi dello Stato della Repubblica federale e nei vari settori della politica e della società tedesco-occidentale per legittimare la propria esistenza come Stato antifascista in netta e irriducibile antitesi al regime di Bonn, denunciato dalla propaganda di Stato tedesco-orientale come erede della peggiore tradizione militarista, imperialista e revanscista della Germania pre-1945. Un antifascista come Brandt al governo e a capo di una compagine governativa che tendeva la mano al regime di Berlino Est fece vacillare questa rigida impostazione, mettendo in movimento i fronti. Cosa ancora più preoccupante, la SED aveva ragione di temere l’attrattività del riformismo socialdemocratico sugli intellettuali tedesco-orientali e, più in generale, la popolarità di Brandt e della sua coraggiosa politica presso il popolo della DDR, come dimostrò l’accoglienza spontaneamente entusiastica riservata dagli abitanti di Erfurt al cancelliere in occasione della sua storica visita nel marzo 1970, per il regime un vero e proprio trauma. I rischi della Ostpolitik brandtiana convivevano tuttavia con il vitale interesse nutrito dalla dirigenza della DDR al successo del corso politico brandtiano e alla conclusione degli storici trattati, fondamentali per portare a compimento l’integrazione internazionale dello Stato tedesco-orientale, dando prestigio al regime.
Quando allora, nell’aprile 1972, l’opposizione conservatrice al governo social-liberale tentò la via della sfiducia costruttiva, prevista dalla carta costituzionale tedesca (Grundgesetz), per impedire la ratifica dei trattati della Ostpolitik, stigmatizzati come inaccettabile svendita degli interessi tedeschi e pericoloso cedimento ai comunisti d’oltrecortina, a Berlino Est si colse immediatamente che un ritorno al governo dei cristiano-democratici avrebbe significato la brusca interruzione del proficuo corso negoziale, se non addirittura la sua fine. La risicata maggioranza di cui disponeva il governo Brandt al Bundestag faceva ritenere possibile questo scenario, mentre a Mosca Brežnev espresse a Honecker tutto il suo disappunto per l’eventuale fallimento di una svolta epocale, che a suo modo di vedere avrebbe assicurato la distensione in Europa per i decenni a venire.
Occorreva insomma intervenire. Sia von Berg che il diplomatico Michael Kohl, alto funzionario del ministero degli Esteri della DDR e segretario di Stato addetto agli «affari tedeschi», sondarono in due colloqui riservati con Egon Bahr la possibilità di corrompere deputati per assicurare la maggioranza, considerato che l’opposizione stava già facendo la stessa cosa in vista del voto. Bahr rifiutò ringraziando, l’idea di vedere un governo democratico salvato dal regime dittatoriale della DDR non pareva effettivamente delle più allettanti. Ma l’HV A di Wolf, intanto, si era già messa all’opera, individuando deputati federali interessati a vendere il proprio voto. Dovendo fare in fretta, ci si rivolse a parlamentari coi quali già si intrattenevano contatti diretti o indiretti: nella sesta legislatura (1969-1972), come oggi sappiamo, erano ben 43 dei 518 componenti del Bundestag. Insomma, i numeri di un gruppo parlamentare!
La seconda pagina della relazione Bahr-Kohl nella quale viene menzionata la compravendita dei deputati (fonte: BStU)
Il 27 aprile 1972, Rainer Barzel, candidato del CDU che avrebbe dovuto sostituire Brandt alla guida di un nuovo gabinetto, mancò clamorosamente il successo per due soli voti. Circa un anno dopo la fallita votazione della sfiducia costruttiva, il deputato Julius Steiner confessò pubblicamente non solo di avere fatto mancare il proprio voto al segretario generale del suo partito, ma anche di avere ricevuto 50.000 marchi dal capogruppo dei deputati socialdemocratici Karl Wienand e di essere un agente doppio, ossia di spiare per la Stasi come infiltrato nel CDU sotto la direzione del BND. Nel 1997, sia Markus Wolf sia una serie di riscontri archivistici confermarono la circostanza e l’entità della somma, ma non è escluso che Steiner abbia incassato due volte, dal gruppo parlamentare SPD e dalla Stasi. Il secondo deputato corrotto fu identificato solo nel 2000, analizzando i flussi informativi ricostruiti attraverso le banche dati elettroniche dell’HV A (sistema SIRA), nel cristiano-sociale Leo Wagner. Indebitato, Wagner aveva accettato l’offerta fattagli dall’agente Dürer alias Georg Fleissmann, un giornalista parlamentare di Norimberga che lavorava per l’agenzia di Wolf.
Da parte nostra, abbiamo adottato molte misure in linea con la nostra linea comune e coordinata di politica estera per facilitare al governo Brandt la ratifica dei trattati di Mosca e di Varsavia da parte del Bundestag. Abbiamo condotto numerosi colloqui, anche attraverso canali interni. Insomma, abbiamo fatto quasi tutto ciò che si poteva pensare di fare per rafforzare la posizione del governo Brandt nella ratifica dei trattati, e anche di fronte alla mozione di sfiducia presentata dal CDU/CSU al Bundestag abbiamo disposto determinate misure a difesa del governo Brandt. Si è quindi verificata la grottesca situazione che ci ha imposto di intervenire come i più risoluti sostenitori della stabilizzazione del governo Brandt. Lo abbiamo fatto perché questo governo ci è ovviamente più gradito di uno guidato da Barzel e Strauß.
(Honecker a Ceausescu, trascrizione stenografica del colloquio fra i segretari generali della SED e del Partito comunista rumeno in occasione della visita di Honecker in Romania nei giorni 11 e 12 maggio 1972.)
La relazione segretissima di Wolf al Politbüro SED in occasione delle dimissioni di Brandt (fonte: BStU)
Brandt riuscì dunque a salvare il proprio governo e la propria opera politica (che gli valse anche il conferimento del premio Nobel per la pace nell’autunno 1971), i trattati furono ratificati e alle elezioni del novembre 1972 la sua SPD centrò il migliore risultato della sua storia postbellica (45,8%), una forte manifestazione di consenso popolare verso la Ostpolitik. Ma, nel 1973, lo scandalo della compravendita di deputati dell’anno precedente danneggiò seriamente l’immagine del governo social-liberale agli occhi dell’opinione pubblica e all’interno del partito, nonostante lo straordinario successo elettorale, la sua leadership era in discussione, insidiata dai suoi più severi critici, Wehner ed Helmut Schmidt. La scoperta e l’arresto della spia Guillaume, che la Stasi/HV A era riuscita a piazzare direttamente nell’Ufficio della Cancelleria a Bonn, colpì Brandt in un momento di grande debolezza, causata anche da problemi di salute e una condizione di fragilità psicologica. Le sue dimissioni, annunciate la sera del 6 maggio 1974, furono inevitabili. A Berlino Est, Wolf fu costretto a fornire spiegazioni sull’accaduto a un nervoso e deluso Politbüro. E anche gli esperti del gruppo ZAIG, la struttura di analisi della Stasi che redigeva le relazioni inviate agli organi apicali del partito per tenerli informati sullo stato d’animo della popolazione, segnalarono reazioni di rabbia e amarezza diffusamente manifestate dai cittadini della DDR alla notizia delle dimissioni di Brandt, personaggio che, anche dopo avere lasciato le redini del governo a Bonn, continuò a incarnare per molti tedeschi dietro il Muro di Berlino vive speranze di cambiamento, di apertura e distensione dei rapporti fra le due Germanie, come di miglioramento delle loro condizioni di vita nella dittatura.
Brandt si è davvero dimesso. Ironia della sorte: per anni abbiamo preparato piani e misure contro di lui, e ora che proprio non lo volevamo e temevamo che potesse verificarsi un incidente come questo, siamo noi che abbiamo premuto il grilletto, che abbiamo fornito il proiettile. Ovviamente, è stata solo un’ultima spinta, ma non piccola e nel momento prevedibilmente più delicato. Brandt, il combattente contro di noi nella Guerra fredda, mostra ora le sue note fragilità e debolezze emotive.
(Markus Wolf, annotazione nel suo diario alla data 7 maggio 1974, il giorno successivo all’annuncio delle dimissioni di Brandt)