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La leggenda di Mischa, «l’uomo senza volto». Markus Wolf fra mito e realtà

Redazione Spazio70

Wolf fece dell'Hauptverwaltung Aufklärung (HV A) una delle più efficienti e spregiudicate agenzie d'intelligence del mondo e il principale partner del Kgb sovietico nella guerra segreta dei servizi fra i blocchi contrapposti della Guerra fredda

di Gianluca Falanga*

Quando, caduto il Muro di Berlino, la magistratura e i servizi segreti di Bonn presero a dargli la caccia, Markus Wolf, ex capo dello spionaggio tedesco-orientale, riparò a Mosca in attesa di capire come muoversi. Nel maggio 1990, la Cia gli offrì una nuova identità, una villa in California e una somma di svariati milioni di dollari in cambio di «consulenze» sulle sue reti spionistiche in Occidente, quelle «spente» e quelle ancora attive. L’ex generale rifiutò e, mentre l’Urss si sgretolava, meditò di trasferirsi in Israele.

Glielo sconsigliarono: troppo filoaraba la politica estera della DDR, troppo complice la Stasi del terrorismo arabo-palestinese, poteva finire male. Wolf desistette, ma i timori si rivelarono infondati: in visita nello Stato ebraico nel 1996, i colonnelli dell’intelligence israeliana lo accolsero con tutti gli onori, come un vecchio amico. L’ex premier Yitzhak Shamir, stringendogli la mano, gli disse che suo padre aveva sbagliato a portare la famiglia a Mosca per sfuggire alle persecuzioni naziste. Fossero venuti in Palestina, lui sarebbe stato un ottimo capo del Mossad.

LA GIOVENTÙ NELL’URSS STALINIANA

Una immagine istituzionale di Markus Wolf (ADN-ZB/Schöps/8.12.89/Berlin)

Nato nel 1923 a Hechingen, nel distretto di Tubinga, Markus Wolf aveva origini ebraiche per parte del padre. Il medico Friedrich Wolf, discendente da un’agiata famiglia di mercanti della Renania, era stato uno dei più brillanti intellettuali e agitatori comunisti nella Germania anni venti. Naturopata e drammaturgo, all’avvento al potere dei nazisti, che lo avevano nel mirino per l’intransigente pacifismo e l’impegno nella lotta per la depenalizzazione dell’aborto, era dovuto emigrare nell’Urss come tanti altri antifascisti tedeschi e internazionali. Nel 1937, per scampare alla trappola del terrore staliniano («non aspetto che vengano a prendermi»), si era arruolato nelle Brigate internazionali ed era partito per la Spagna, tornando in Russia solo nel 1941, quando, acquisita la cittadinanza sovietica, aveva partecipato all’organizzazione del Comitato nazionale Germania Libera, insegnando anche alla famigerata scuola di antifascismo per prigionieri di guerra tedeschi a Krasnogorsk. Dopo il 1945 era stato funzionario culturale e ambasciatore del regime di Berlino est a Varsavia. Nella DDR, dopo la morte nel 1953, gli erano intitolate scuole e strade.

I figli Markus e Konrad vissero nell’Urss staliniana gli anni più intensi della loro gioventù. Rientrati in Germania dopo la guerra ormai adulti, trovarono nell’avventura dell’esperimento socialista in Germania est la cornice ideale entro la quale realizzare le proprie formidabili carriere: Konrad, che aveva combattuto diciottenne nell’Armata rossa, divenne uno dei registi cinematografici più noti e apprezzati della DDR; Markus invece, dopo aver assistito come giornalista al processo di Norimberga, intraprese inizialmente la carriera diplomatica e fu mandato a Mosca come primo segretario presso l’ambasciata della DDR.

UNA DELLE PIÙ EFFICIENTI E SPREGIUDICATE AGENZIE D’INTELLIGENCE DEL MONDO

Palazzo dell’HV A presso il quartier generale della Stasi a Berlino-Lichtenberg (lato Frankfurter Allee), davanti all’uscita della stazione della metro Magdalenenstraße

Per i sovietici Misha, come lo chiamavano, non era un tedesco, era uno di loro: parlava perfettamente russo e aveva massima confidenza con la cultura e la mentalità dei popoli dell’impero sovietico. Anche per questo motivo, oltre che per l’intelligenza, la personalità e il carisma che lo distinguevano, spinsero perché gli venisse affidata la direzione della piccola agenzia di intelligence esterna del regime di Ulbricht, inizialmente incardinata come struttura informativa presso il Ministero degli Affari esteri, dal 1953 integrata nell’apparato di sicurezza.

Wolf fece dell’Hauptverwaltung Aufklärung (HV A) una delle più efficienti e spregiudicate agenzie d’intelligence del mondo, il principale partner del Kgb sovietico nella guerra segreta dei servizi fra i blocchi contrapposti della Guerra fredda. Negli anni settanta, quando l’integrazione dello Stato tedesco-orientale nella comunità internazionale consentì al regime di Honecker di aprire ambasciate in quasi ogni paese del mondo, l’HV A estese il suo raggio operativo a tutti i fronti caldi della contrapposizione globale, dai vari conflitti per procura al supporto alle guerriglie di liberazione nazionale filosovietiche in Africa, Asia e America latina, all’organizzazione degli apparati informativi e di polizia segreta dei regimi arabi, a Cuba e in Nicaragua. Il fronte principale restarono però sempre la Germania occidentale e, attraverso questa, le strutture politiche e militari dell’Alleanza atlantica in Europa occidentale.

UNA «SCONFITTA» CHIAMATA GÜNTHER GUILLAUME

La spia tedesco-orientale Günter Guillaume

Wolf seppe sfruttare a pieno tutte le potenzialità della divisione tedesca, che offriva condizioni ideali (tedeschi dell’est e dell’ovest condividevano la stessa lingua, avevano storia e cultura comuni) per la perfetta mimetizzazione degli operativi e l’azione manipolativo-disinformativa mirante a condizionare gli orientamenti e gli atteggiamenti dell’opinione pubblica e dei governi verso la DDR e il mondo comunista. Testimonianze e documenti confermano che Wolf curò personalmente la messa a punto di strategie di penetrazione spionistica di successo come l’inserimento di agenti dormienti nel massiccio movimento migratorio verso ovest degli anni cinquanta (nella speranza che alcuni di questi riuscissero a raggiungere posizioni di interesse nel sistema politico, economico, mediatico e militare della Repubblica federale) oppure l’impiego di seduttori professionisti, cosiddetti agenti Romeo, per conquistare il cuore delle segretarie dei ministeri a Bonn e farsi consegnare i documenti custoditi nei loro uffici.

I risultati di 34 anni di attività di capo indiscusso dell’intelligence della DDR (che conosciamo solo parzialmente per la distruzione quasi completa degli archivi HV A nei primi mesi del 1990) sono numeri impressionanti: 4600 operativi, oltre 10.000 confidenti e circa 1500 spie attive a fine 1989, fra queste una cinquantina in posizioni di vertice, responsabilità o comunque cruciali. Certo, non tutto è oro quello che luccica e operazioni spettacolari come quella di Günter Guillaume, spia nell’entourage del cancelliere Brandt, non furono vittorie ma sconfitte, come riconobbe lo stesso Wolf: lo scandalo scatenato dallo smascheramento dell’infiltrato nel 1974 provocò le dimissioni del leader socialdemocratico, che solo due anni prima l’HV A aveva contribuito a salvare dal voto di sfiducia, comprando il voto di due deputati dell’opposizione cristiano-democratica.

TEMUTO DAGLI AVVERSARI, VENERATO DAI COLLABORATORI

Copertina del settimanale Der Spiegel, marzo 1979: Wolf viene fotografato in Svezia e identificato con l’aiuto del doppio agente HV A/BND Werner Stiller, fuggito in Germania ovest nel gennaio 1979. La pubblicazione della sua immagine restrinse le possibilità di Wolf di viaggiare in Occidente senza essere riconosciuto

Per il modo originale di concepire il mestiere, combinando meticolosità, metodicità scientifica, ma anche spregiudicata inventiva e una buona dose di mancanza di scrupolo, «l’uomo senza volto», come fu a lungo chiamato (fino al 1979) in assenza di fotografie che ne ritraessero le sembianze da adulto, fu tanto temuto e rispettato dai suoi avversari quanto venerato dai suoi collaboratori. Questi ultimi, selezionati con particolare rigore, costituivano un’élite intellettuale all’interno della Stasi (per il più alto livello di formazione e il privilegio di viaggiare all’estero), cosa che poco aggradava al ministro Mielke, per la sua viscerale avversione verso professionalismi, titoli accademici e gli intellettuali in generale.

Mielke, di cui Wolf era il secondo nella gerarchia di comando della Stasi, era personaggio agli antipodi rispetto alle attitudini «aristocratiche» e mondane del suo vice, al contrario Wolf disprezzava intimamente i modi rudi e grossolani del ministro, atteggiamento che pervase anche i suoi uomini, molti dei quali si tenevano alla larga dal personale dei reparti operativi di polizia segreta. Ciò nonostante, la leggenda dell’HV A «pulita», estranea al sistema repressivo, è lontana dal vero: anche la struttura di Wolf diede il suo contributo alla persecuzione dei dissidenti e alla caccia a chi voleva fuggire dalla DDR.

LE RELAZIONI EXTRACONIUGALI E LA ROTTURA CON MIELKE

Wolf e Mielke, fine anni settanta

Le tensioni nel rapporto con Mielke riguardarono anche e soprattutto lo stile di vita privata di Wolf, in particolare le sue frequentazioni femminili. Documenti della Stasi attestano che furono proprio i frequenti tradimenti e le relazioni extramatrimoniali del viceministro a provocare la rottura definitiva con Mielke. Le improvvise dimissioni di Wolf da capo dell’HV A nell’ottobre 1986 non erano motivate tanto, come Wolf stesso volle far credere, dalla scelta di sostenere il corso riformista di Gorbačëv in aperto contrasto con la linea adottata dal regime di Honecker, bensì dalla crisi del suo secondo matrimonio per una relazione con Andrea Stingl, migliore amica della moglie Christa e per giunta ex detenuta politica (si era fatta quattro mesi di carcere per tentata fuga dalla DDR). Wolf si dimise l’8 ottobre, solo cinque giorni dopo la sentenza di divorzio.

Il retroscena è reso ancora più scabroso da una vicenda che pochi conoscono: a far traboccare il vaso della pazienza di Mielke fu l’invaghimento di Christa, disperata per la separazione voluta dal marito, per un uomo d’affari tedesco-occidentale conosciuto in vacanza a Varna, in Bulgaria, nell’estate 1986. L’uomo che l’aveva avvicinata in spiaggia per consolarla era in verità un «romeo» del BND. La sua missione: convincere la donna a fuggire all’ovest. L’intelligence di Bonn stava ricambiando i colpi subiti dal nemico ricorrendo alle sue stesse armi. Mielke riuscì a intervenire in tempo per evitare lo smacco e attribuì a Wolf tutta la responsabilità per l’insostenibile situazione. Christa fu affidata agli psicologi della Stasi, che l’aiutarono a chiudere immediatamente la relazione. Quindi, Wolf fu congedato alla svelta, con tutti gli onori che gli spettavano.

DAVANTI A UN MILIONE DI PERSONE AD ALEXANDERPLATZ

Tomba dei fratelli Wolf al Cimitero dei socialisti a berlino-Friedrichsfelde

Molti tedeschi ricordano Markus Wolf, impermeabile grigio e cravatta bordò, sul palco dei relatori della memorabile manifestazione per la libertà di parola e riunione, che si tenne a Berlino est il 4 novembre 1989, la più grande dimostrazione nella storia della DDR. Davanti a una folla di circa un milione di persone riunite ad Alexanderplatz, il generale in pensione si pronunciò per un profondo rinnovamento del partito e del sistema socialista. Fu coperto di fischi, comprensibile: per troppo tempo aveva servito il regime per non venirvi identificato. Il tentativo di reinventarsi riformatore e alfiere di una rifondazione libertaria della DDR, una sorta di Gorbačëv della DDR, fallì.

Poco dopo partirono le peripezie giudiziarie e la riunificazione tedesca lo mise fuori gioco. Il mito di Misha Wolf non ne ha subito danno. Quando morì, il 9 novembre 2006, a 83 anni, portandosi nella tomba gran parte dei suoi impenetrabili segreti, al cimitero dei socialisti a Berlino-Friedrichsfelde, dove fu sepolto, si riunì per l’ultima volta tutto il suo stato maggiore. I giornalisti presenti notarono che al funerale vi erano anche molte delle sue ex spie, ancora prigioniere del fascino irresistibile del grande motivatore e manipolatore.

 

* Storico e ricercatore, Falanga ha pubblicato numerosi lavori sulla Stasi e la DDR. Il suo ultimo libro – Non si parla mai dei crimini del comunismo – è uscito poche settimane fa per Laterza.