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Tra lo stregone e il generale. La controversa figura di Isabel Perón

Michele Riccardi Dal Soglio

Rivendicare la figura di Isabel significherebbe riportare alla luce gli enormi errori di valutazione di Perón, riaprire capitoli dolorosi e mai chiariti ammettendo l'esistenza di una politica repressiva e violenta che non è stata appannaggio della sola dittatura militare

La folla di giornalisti, cameraman, fotoreporter, sostenitori e semplici curiosi viene a malapena trattenuta dal cordone di polizia, mentre si accalca in maniera selvaggia attorno a una donna. Minuta e aggraziata, porta un elegante abito e un taglio di capelli “dernier cri”, alla moda europea, che non sembrano scomporsi. O almeno così pare fino a quando, a causa dell’assalto, alcuni degli uomini che le stanno intorno diventano i destinatari di un infastidito “No me atosiguéis! No me atosiguéis!” (“Non mi assillate!”). La signora che ha appena pronunciato queste parole, all’apparenza banali e più che legittime, è Isabel Perón, ex presidente della repubblica argentina, durante una delle ultime visite nel suo Paese d’origine a metà anni Ottanta.

Anche oggi, quando la conversazione verte su di lei, queste due frasi vengono inevitabilmente ricordate, non fosse altro per l’effetto straniante e comico che una simile esclamazione ebbe allora. Per noi può forse apparire insignificante, ma il fatto che all’epoca la ex presidente della nazione si rivolgesse al pubblico abbandonando la tipica pronuncia rioplatense — tratto estremamente identitario per gli argentini — in favore della sintassi e del più puro accento dello spagnolo di Madrid, venne interpretato come dimostrazione di quanto costei fosse lontana dalla realtà del suo Paese.

“SCORRERANNO FIUMI DI SANGUE!”

Che la ex presidente non sia mai stata particolarmente vicina alla realtà delle cose, la maggioranza degli argentini lo ha in realtà sempre pensato. Questo non solo perché Isabel Perón — al secolo María Estela Martínez Cartas, eletta vicepresidente della nazione con il 62 per cento dei voti il 23 Settembre 1973 — aveva trascorso quasi metà della sua vita lontana dall’Argentina, ma anche a causa della sua manifesta incapacità di interpretare e gestire la realtà che la circondava.

Un altro chiaro esempio in tal senso è la testimonianza del generale Villareal, il militare incaricato di procedere all’arresto formale della presidente la notte del 24 Marzo 1976, nelle sale dell’Aeroparque Jorge Newbery. Al momento di notificarle il provvedimento, Isabelita aveva esclamato: “Spero che non se ne penta, perché scorreranno fiumi di sangue quando la gente si riverserà nelle strade per difendermi!”. Non solo non vi fu nessun tentativo di protesta in difesa della presidente, ma la mattina seguente la maggioranza degli argentini apprese all’ora di colazione la notizia della sua deposizione consumando mate e facturas con calma olimpica, se non addirittura con sollievo.

In realtà il colpo di Stato era stato “cantato” e apertamente discusso da settimane su ogni mezzo di comunicazione come argomento di conversazione quotidiana tale da non esser degno, per quanto scontato, di esser giocato alle scommesse.

UNA PRESIDENZA FINITA NELL’OBLIO

Sull’inadeguatezza di Isabelita a essere presidente è stato detto di tutto, ma è significativo come sulla sua figura politica e anche sulla sua persona sia caduto un oblio senza precedenti. Anche in un’epoca come la nostra, dove è ben presente il tema della giusta rivendicazione del ruolo femminile in ogni campo della società e il “gender gap” è un argomento all’ordine del giorno, è perlomeno curioso che Isabel Perón venga raramente ricordata come la prima donna al mondo a essere stata eletta per esercitare costituzionalmente la presidenza di una nazione.

La rivendicazione di questo primato femminile viene spesso trascurata anche nelle pagine web di orientamento femminista; basti pensare che in una di esse è stata recentemente indicata Evita Perón come presidente dell’Argentina dal 1974 al 1976. Al netto delle polemiche, è giusto dire come la figura di Isabel non sia stata mai un esempio di conquista del ruolo, semmai di concessione dello stesso da parte di altri uomini, in particolare del marito Juan Domingo Perón. Persino la già menzionata Evita, a partire dagli anni Settanta, è diventata in qualche modo simbolo di emancipazione femminile sulla base di un malinteso che continua ancora oggi grazie alla manipolazione culturale e politica della sua figura. È vero: Isabel è stata dimenticata, ma perché il suo busto non è esposto all’interno della Casa Rosada al pari dei presidenti non costituzionali o di quelli succedutisi a rapido giro durante la crisi di fine 2001?

IL RUOLO DELLA FAMIGLIA “ADOTTIVA” E LE PRATICHE DELLO SPIRITISMO

Prendendo spunto da questo dettaglio, il regista Julián Troksberg ha girato un prezioso documentario dedicato alla misteriosa figura di Isabel. La grande quantità di testimonianze e confidenze rilasciate a questo documentarista, al pari di quelle raccolte quasi venti anni prima dalla storica Maria Sáenz de Quesada nella sua insuperata biografia della ex presidente, riportano versioni, opinioni e letture del personaggio diverse e talvolta contrastanti tra di loro, ma tutte convergenti su un punto: Isabel è un personaggio che nessuno vuole rivendicare e assai poco conosciuto nel suo vero aspetto.

I cenni biografici più noti e confermati sono i seguenti: nata a La Rioja nel 1931, nel profondo nordovest argentino, Maria Estela Martínez Cartas vive in seno a un famiglia di classe media cattolica osservante. Le sue passioni sono la danza e il pianoforte. Dopo la morte del padre viene inviata dalla famiglia di origine a Buenos Aires per continuare gli studi e qui affidata ai coniugi Cresto, che la fanciulla finisce per considerare come la sua unica, vera, famiglia (il suo nome pubblico, infatti, è preso dal nome della madrina Isabel Zoila Gómez de Cresto).

Isabel si distanzia sempre più dalla madre e dalle sorelle, con cui tronca i contatti dopo pochi anni. Non è chiaro se in questo allontanamento abbia avuto o meno un ruolo il suo avvicinamento alle pratiche dello spiritismo di cui i Cresto erano cultori e di cui lei era diventata seguace. Sicuramente lo avrà nelle successive scelte della giovane.

L’IPOTESI, NON DEL TUTTO PEREGRINA, DELLO “007 IN GONNELLA”

La successiva carriera artistica della futura presidente argentina non è esaltante. Non può aspirare a essere un’altra Norma Fontenla; è un’alunna mediocre, ma molto disciplinata e tenace. Una volta diplomatasi ballerina, specializzata nelle danze tradizionali spagnole, intraprende una serie di tournée per l’America Latina. Durante una di queste, a Panama, la sua compagnia di ballo si scioglie e Isabel ripara alla meglio trovando un contratto di fortuna presso un cabaret locale. Anche se da qui hanno origine le voci che porteranno i suoi futuri detrattori, tra cui la gioventù montonera, a definirla “bataclana” o “copera”, pare che Isabel non abbia mai svolto il lavoro di entraineuse. Sussistono anche dubbi sul fatto che avesse già conosciuto Perón prima del 1955; tuttavia vi sono diverse testimonianze che vedono l’incontro tra il “tirano prófugo” e la ballerina di flamenco — avvenuto durante un “asado” domenicale in suo omaggio — non come frutto del caso, ma come conseguenza di un tentativo dei servizi segreti di inserire una spia nella cerchia più intima del presidente esule.

Sebbene riesca difficile immaginare la graziosa, ma inetta, Isabel come uno 007 in gonnella, l’ipotesi non è così peregrina. La passione per il peronismo non era certo mai stato un tratto distintivo della ragazza, più incline alla danza e alle séances con i defunti che all’agone politico. Inoltre non è improbabile che la giovane, lontana da casa, senza denaro e con una carriera poco promettente, possa essere stata avvicinata da agenti del SIDE e convinta a inserirsi nella cerchia di Perón per svolgere il semplice compito di informatrice.

La frequentazione tra i due sarebbe diventata poi una relazione affettiva autentica, con Perón che avrebbe accantonato i sospetti verso la giovane amante dopo averle visto brandire un po’ maldestramente una pistola, con l’intenzione di difenderlo nel bel mezzo di un tentativo di assalto armato posto in essere da emissari antiperonisti contro la residenza panamegna dello stesso generale.

UN DELICATO RUOLO DIPLOMATICO

A partire da allora Isabel diventa l’inseparabile compagna di Perón, nonostante le critiche e lo scandalo che questo concubinato comporta soprattutto quando la coppia decide di terminare il pellegrinaggio tra i paesi dell’America Latina disposti a concedere ospitalità e così fissare la propria residenza in quella che diventerà la storica “Quinta 17 de Octubre” a Puerta de Hierro, sobborgo di Madrid. Essere concubini nella Spagna di quegli anni è già di per sé inaccettabile, soprattutto considerando la differenza di età tra i due. Su Perón, poi, pende ancora una scomunica per le violenze perpetrate contro la Chiesa cattolica nel 1955.

Il nodo viene però presto risolto, grazie ai contatti del caudillo col Vaticano. Risultano molto opportune anche le buone relazioni che Isabel riesce ad instaurare con l’élite madrilena, in particolare con la sorella di Franco — il quale non ha mai digerito fino in fondo Perón né la sua presenza.

Sebbene Isabel non sia brillante né particolarmente intelligente, e risulti opaca se non invisibile agli occhi di tutti quegli emissari politici, finanziatori, intellettuali, giornalisti che bussano a Puerta de Hierro in cerca di favori o semplicemente per portare sostegno all’ex presidente, la sua abnegazione, obbedienza e disciplina la rendono particolarmente gradita al marito. Perón infatti la sceglie, tra la sorpresa generale, per il ruolo di sua ambasciatrice politica in Argentina. Siamo nel 1965, un anno dopo il fallito tentativo, da parte del generale, di rientrare nel Paese. Il ruolo di Isabel è quello di consegnare messaggi personali ai numerosi, nuovi, leader peronisti o presunti tali; l’intento è quello di ridefinire a distanza la leadership del caudillo in un Paese in cui, nonostante le buone intenzioni del presidente Illia, il peronismo o anche solo la menzione dello stesso sono ancora proibiti per legge.

IL RAPPORTO CON “EL BRUJO” LOPEZ REGA

Bella, sempre elegantissima e inappuntabile, la “discepola preferita” del generale ottiene un successo incredibile durante la sua visita. In Argentina suscita grande sensazione, ravvivando le speranze di chi vede molto vicino un ritorno almeno del partito peronista, se non proprio del suo leader. Forse è qui, per la prima volta, che Isabel inizia ad averne di proprie, di speranze. Il dato più certo è che, durante il soggiorno in casa di Bernardo Alberte, fedelissimo peronista della prima ora, Isabel conosce José López Rega, che la seguirà nel suo rientro in Spagna e che lei riuscirà a far ammettere nella corte di Perón.

Sulla relazione tra “lo stregone e la ballerina”, come spesso vengono identificati dai loro oppositori, si sono scritti fiumi di inchiostro. Certamente la fascinazione di Isabel per lo spiritismo di cui López Rega si definisce maestro, ha un ruolo fondamentale nel condizionamento che questi ha sulla donna, rendendola succube, se non per ammirazione dei suoi poteri almeno per paura degli stessi — secondo alcuni ancora oggi a trent’anni dalla morte del “Brujo”.

La scelta di Perón di candidare la moglie, priva di qualsiasi formazione ed esperienza politica, al ruolo di vicepresidente, è stata anch’essa molto discussa. Se da una parte le fonti indicano che lo stesso caudillo avrebbe auspicato la possibilità di una vicepresidenza incrociata con Ricardo Balbín, il presidente della Unión Civica Radical, a garanzia di stabilità e come atto di riconciliazione nazionale, le pressioni delle correnti opposte del peronismo avrebbero spinto Perón a prendere questa decisione salomonica con l’intento di smorzare il conflitto interno al movimento.

IL COMPIMENTO DEL DISEGNO PIDUISTA

La decisione, che oggi sappiamo essersi rivelata disastrosa, aveva già lasciato tutti sgomenti a suo tempo. La popolarità immensa di Perón e l’entusiasmo riposto nel suo mandato avevano fatto esclamare persino al suo fedelissimo delfino ed erede politico in pectore, José Ignacio Rucci, che la scelta del leader andava rispettata e che se questi avesse ordinato di eleggere un scopa, una scopa bisognava eleggere. Più probabilmente, l’influenza di López Rega e dell’entourage piduista di Perón può avere ragionevolmente giocato un ruolo essenziale nello spingere la candidatura di Isabel; considerate le pessime condizioni di salute del generale, delle quali pochissimi erano a conoscenza, la carica di vicepresidente sarebbe stata da intendersi tutt’altro che formale. Nel compimento del disegno di Gelli e López Rega nessun candidato sarebbe stato più ideale della fragile, impreparata e manovrabile moglie del presidente.

La dipendenza estrema di Isabel dal segretario personale di Perón e poi ministro degli Affari sociali, era un problema evidente a chiunque. López Rega si rivela onnipresente, capace di intervenire senza permesso in ogni riunione, conversazione e intervista, togliendo la parola alla presidente o, come si vede dal suo labiale in diverse registrazioni televisive, sussurrandole le frasi da dire come farebbe un consumato suggeritore teatrale. Il caso emblematico si verifica quando la stessa presidente, che già dava segni di insofferenza verso lo strapotere di López Rega, ferma la mano del comandante dei Granaderos pronta a sparare alla tempia del Brujo che poco prima aveva attentato all’incolumità del capo dello Stato quasi mandandola gambe all’aria con uno schiaffo seguito a un’accesa discussione.

ISABEL, VISTA DA DESTRA E DA SINISTRA

Nessuno rivendica Isabel, dicevamo, perché farlo significherebbe riportare alla luce i lati più oscuri e gli enormi errori di valutazione di Perón, rimettere in discussione la mitologia del Giustizialismo, riaprire capitoli dolorosi e mai chiariti del proprio Paese ammettendo l’esistenza di una politica repressiva e violenta che non è stata appannaggio della sola dittatura militare. Significherebbe anche smitizzare la memoria dell’idealismo rivoluzionario. Non la rivendicano nemmeno le femministe, perché il suo primato presidenziale è stato concesso, non meritato.

D’altra parte il silenzio stesso osservato da Isabel è stato molto gradito perché nei quasi vent’anni in cui ha vissuto accanto al generale e durante quelli da presidente della nazione e del partito giustizialista è stata testimone di persone, cose e situazioni di cui a molti non piacerebbe che si parlasse. Per i peronisti di sinistra, la cosiddetta “Tendencia”, Isabel era una matrigna usurpatrice del ruolo di Evita, la compagna rivoluzionaria, mentre lei era un baluardo della “burocracia sindical” e della corrente più ortodossa e destrorsa del peronismo storico, nonché nemica per il suo implicito assenso all’operato della famigerata Triple A, voluta da Perón e condotta da López Rega.

I peronisti di destra la vedevano come una donna incapace e la rispettavano per il solo fatto di essere stata designata nel ruolo dal leader carismatico. Al suo posto, pensavano, avrebbe dovuto esserci qualche loro dirigente storico, ma tolto Rucci, assassinato da Montoneros, a tutti faceva comodo non esporsi di persona nella gestione del potere in un momento così difficile, caotico e violento. Esemplare fu il caso di Italo Luder il quale, dopo aver firmato i famosi decreti per l’annientamento della sovversione, rifiutò di assumere la presidenza al posto di Isabel per evitare il colpo di Stato, a causa di un improvviso scrupolo di lealtà, davvero curioso se si considerano le giravolte e gli intrighi di palazzo di quei mesi.

NEPPURE ISABEL RIVENDICA SÉ STESSA

Isabel non viene rivendicata nemmeno dalle forze armate, alle quali aveva concesso sempre più potere e libertà di azione, autorizzando di fatto l’inizio delle cosiddette “operazioni speciali” (sequestri, torture e sparizioni) durante la sua presidenza costituzionale. Anzi, nella storia del Ventesimo secolo, fu l’unico presidente argentino emerito a essere sottoposto alle misure di arresto, detenzione ed esilio.

L’opposizione radicale, poi, fatto salvo il breve riconoscimento del presidente Alfonsín all’indomani del recupero della democrazia, invano aveva cercato un accordo politico pur di scongiurare l’ennesimo colpo di Stato. Le organizzazioni per i diritti umani, innalzando il 24 Marzo 1976 a tragico simbolo della storia nazionale, hanno sottaciuto spesso l’imbarazzante realtà di violenza e repressione già in atto molto prima del golpe.

Infine il kirchnerismo, che pure oggi nella retorica della sua leader Cristina Kirchner si riappropria e fa sfoggio delle icone di Perón e di Evita, tralascia volutamente di menzionare la ex presidente.

Neppure Isabel sembra voler rivendicare sé stessa. Fatta eccezione per le sue fugaci apparizioni pubbliche in Argentina, dal 1981 a oggi ha vissuto ininterrottamente il suo esilio in Spagna, vivendo un’esistenza modesta e ritirata, rifiutando dichiarazioni e interviste, senza aver mai pubblicato una memoria sul proprio passato, aver mai confidato niente di rilevante a nessuno riguardo ai passaggi più oscuri di una esistenza che, parafrasando Flaubert, appare oggi più che mai come la vita privata di una nazione.