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Cristina fa la storia: prima di lei, nessun politico in carica era stato condannato per corruzione in Argentina

Redazione Spazio70

”Non sarò candidata a niente: né a presidente, né a senatrice, né a deputata", ha annunciato dal suo ufficio del Senato. Il pericolo sarebbe quello di sottoporre il peronismo al logorio di una campagna nella quale Kirchner verrebbe attaccata per i suoi guai giudiziari

Di Ceferino Reato*

Cristina Fernández de Kirchner passerà alla storia per molte ragioni. E’ stata la prima presidente dell’Argentina eletta a questa carica: non una ma ben due volte, la seconda con il 54,11% dei voti. Anche suo marito fu presidente, Néstor Kirchner, mentre lei è stata prima deputata, poi senatrice e ora è la vicepresidente nonché leader del peronismo, l’eterogeneo movimento di maggioranza. Inoltre, e questa è la grande novità che scuote ora questo Paese così emotivo, martedì 6 dicembre è diventata anche la prima funzionaria a essere condannata a 6 anni di prigione con la pena accessoria dell’inabilitazione perpetua agli incarichi pubblici.

Il motivo di questo boccone amaro per la regina della politica nazionale è stato uno schema di corruzione che ha avuto luogo nella provincia di Santa Cruz, la “fortezza” dei Kirchner, che avrebbe causato ammanchi alle casse dello Stato per 460 milioni di dollari. Non è che la corruzione sia qualcosa di raro in Argentina; la cosa rara è stata finora la mancanza di condanne giudiziarie per i politici in carica e questa impunità è una delle ragioni della sfiducia popolare verso la classe politica. Un solo esempio: i deputati nazionali riscuotono un salario equivalente a $1.300 mensili, ma vivono come se guadagnassero molto di più, davanti agli occhi di tutti quanti, in un contesto segnato da una forte caduta delle entrate e con oltre il 43 per cento degli argentini ormai al di sotto della soglia di povertà, secondo l’ultimo sondaggio dell’università Cattolica Argentina diffuso lo stesso giorno della storica sentenza.

“LA VERA CONDANNA È L’INABILITAZIONE PERPETUA DAI PUBBLICI UFFICI”

Il verdetto non è definitivo; può essere rivisto in successivi gradi di giudizio che richiederanno ancora diversi anni. Vale a dire che Cristina — così la chiamano amici e nemici — potrà presentarsi come candidata alla presidenza l’anno prossimo e non andrà in carcere dal momento che a febbraio compirà 70 anni, cosa che le permetterà eventualmente di scontare il carcere agli arresti domiciliari, a patto che la condanna venga confermata.

Tuttavia la reazione di colei che in Argentina definiscono La Jefa, è stata immediata e viscerale: ”Non sarò candidata a niente: né a presidente, né a senatrice, né a deputata”, ha annunciato dal suo ufficio del Senato, attraverso YouTube.

La sua argomentazione? Non vuole sottoporre il peronismo al logorio di una campagna nella quale naturalmente lei verrebbe attaccata per questa inedita condanna. “La condanna reale è l’inabilitazione perpetua a esercitare incarichi pubblici elettivi” ha urlato la vicepresidente, in possesso di una capacità istrionica commovente, superiore a quella di molte attrici. “Questo non è lawfare, ma semplicemente la sanzione di uno Stato parallelo e di una mafia giudiziaria guidati dal potere economico e mediatico” ha spiegato. Subito dopo ha nominato colui che considera il suo acerrimo nemico, Héctor Magnetto, titolare del gruppo Clarin, proprietario della holding dei mezzi di comunicazione più importante del Paese e anche di aziende come Telecom, comprata durante il precedente governo dell’imprenditore liberale Mauricio Macri.

L’AFFARE TELECOM

Per la precisione, la vicepresidente ha collocato Telecom al centro della presunta disputa con Magnetto. Ha infatti ricordato che, durante la sua presenza, non ha mai autorizzato l’accesso del proprietario del quotidiano Clarin, di Canal 13, di TV  Abierta, del canale di notizie h24 via cavo TN e di Radio Mitre, alla gestione di una delle due principali aziende telefoniche del Paese. La condanna, quindi, sarebbe in parte una vendetta dell’imprenditore, sempre secondo la narrazione della vicepresidente.

In realtà, i Kirchner e il gruppo Clarin andavano d’amore  e d’accordo durante la presidenza di Néstor, quando il kirchnerismo si era consolidato rapidamente come principale clan politico del Paese e la holding aveva incrementato i suoi affari. Dopodiché, nel 2008, ebbe luogo la rottura, durante un lungo conflitto tra la coppia al governo e i produttori agricoli a causa di una drastico rialzo delle imposte agli esportatori di soia e altre commodities, sebbene già si parlasse di una battaglia sul futuro di Telecom, nella quale gli italiani di Telecom Italia ricevettero pressioni dal governo per vendere la propria quota a un gruppo locale. Néstor non voleva che un gruppo così forte come Clarín ne fosse il compratore; pretendeva invece che lo acquistasse qualcuno del suo circolo di capitalisti amici.

“I GIUDICI CHE MI HANNO CONDANNATO? SBIRRI DI MAGNETTO”

Nonostante La Jefa si consideri un avvocato di successo — con questa definizione ha cercato di giustificare una volta la crescita esponenziale del suo patrimonio familiare — nel processo pubblico per corruzione non si è mai soffermata troppo sulle memorie tecniche, bensì ha sempre preferito un’autodifesa di tipo politico che ha però finito per affossarla, almeno in questa prima fase. Secondo lei, i tre giudici del tribunale non sarebbero altro che “sbirri di Magnetto”, così come lo sarebbero i magistrati che ora dovranno esaminare la sentenza, fino ad arrivare alla Corte Suprema di Giustizia, una sorta di “covo di serpi” a sentire la vicepresidente.

Il tribunale, composto da tre giudici, ha dichiarato colpevole per unanimità Cristina e i suoi ex funzionari per aver favorito un imprenditore amico, Lázaro Báez, mediante numerosi contratti di opere pubbliche a Santa Cruz. Tuttavia, per la maggioranza di due voti conto uno, ha respinto le altre accuse dei procuratori che indicavano l’ex presidente come capo di una associazione a delinquere, una figura giuridica che avrebbe aggravato la pena. I procuratori hanno già annunciato che ricorreranno in appello presso la Camera di Cassazione per questa parte del verdetto.

IL “NON POTEVA NON SAPERE” DEI TEMPI DI MANI PULITE

Alcuni analisti considerano la possibilità che la Cassazione dia ascolto a questa richiesta dei procuratori dal momento che il verdetto, in prima battuta, è stato ispirato alla tesi del giurista svizzero Claus Roxin riguardante la cosiddetta responsabilità mediata, che condanna tanto l’autore immediato di un delitto quanto il suo massimo responsabile passando attraverso tutte le gerarchie intermedie, supponendo l’esistenza di uno schema delittivo radicato all’interno dell’apparato statale.

Si tratta di una figura simile, in buona sostanza, al non poteva non sapere che si applicò in Italia durante Mani pulite. Con questa tesi sono già stati condannati per corruzione politici in Perù e in Brasile, ma mai in Argentina, dove fino a ora si era applicata solo nei processi a militari e poliziotti per le gravi violazioni dei diritti umani durante la dittatura.

UN FUTURO POLITICO INCERTO

Come si vede, è una sentenza storica per molte ragioni. In realtà, Cristina non è stata la prima donna presidente dell’Argentina. Prima di lei lo fu María Estela Martínez de Perón, più conosciuta con il suo nome d’arte: Isabelita. Costei era stata l’ultima sposa del generale Juan Domingo Perón e lo aveva accompagnato come vice nella formula presidenziale che aveva vinto le elezioni del 1973. Il Generale — come lo chiamano ancora i peronisti — morì l’anno successivo e Isabelita occupò la sua carica. Tuttavia, Cristina è arrivata a questo ruolo per i suoi meriti dal momento che è stata eletta grazie al voto popolare per questo incarico. Anche Isabelita fu accusata di corruzione e trascorse 5 anni e 4 mesi in prigione dopo che i militari la rovesciarono, nel 1976. Tuttavia l’ex dittatore Jorge Rafael Videla, in una serie di interviste poi raccolte nel mio libro Disposición Final mi disse che Isabelita rimase in carcere unicamente per via del cognome: “La signora portava il cognome di Perón e, nonostante la sua manifesta incapacità, lasciata in libertà avrebbe potuto smuovere volontà politiche e sindacali contro il governo militare. Per questo rimase in carcere”.

Il futuro politico di Cristina è incerto. Nonostante abbia dichiarato che non sarà più candidata nei comizi presidenziali dell’anno prossimo, continua a essere la dirigente con più voti personali all’interno della maggioranza. I peronisti sono molto creativi, benché il panorama pre-elettorale favorisca chiaramente l’opposizione. “Senza Cristina non si può, ma lei da sola non basta “, ha infatti ammesso uno dei consiglieri del presidente Alberto Fernández.

* Giornalista e scrittore, la sua ultima pubblicazione è intitolata “Masacre en el comedor”. Già redattore della sezione politica nazionale del giornale Clarin, caporedattore di Perfil, corrispondente dell’agenzia internazionale ANSA di San Paolo del Brasile, Reato è stato consigliere stampa dell’ambasciata argentina in Vaticano. Molto attivo sul circuito radio-televisivo argentino, ha pubblicato diversi libri d’inchiesta tra cui una serie di interviste all’ex dittatore Jorge Rafael Videla. Nel 2017 è stato riconosciuto dalla Fondazione Konex come uno dei cinque migliori giornalisti dell’ultimo decennio nel campo della ricerca.