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Teresilla Barillà. La suora degli anni di piombo

Tommaso Nelli

Gli anni Ottanta all'interno del carcere di Paliano. Il forte rapporto fiduciario con Cossiga. Le non sempre limpide deposizioni di fronte all'autorità giudiziaria

Indossano anche un velo, i misteri d’Italia. Quello di Chiara Barillà, meglio conosciuta come suor Teresilla. Religiosa dell’Ordine delle Serve di Maria Riparatrici, nasce in Calabria in pieno secondo conflitto mondiale (1°agosto 1943). A diciotto anni prende i voti e dal 1972 è a Roma. Si diploma come infermiera professionale, poi entra in servizio all’ospedale S. Giovanni-Addolorata e va ad abitare nella casa di cura Assunzione di Maria Santissima sulla via Nomentana. L’iconografia di un’ecclesiastica come tante, dedita alla carità e agli ammalati, lascia ben presto spazio all’immagine di una sacerdotessa votata alle turbolente vicende degli «anni di piombo». A cominciare dalla loro bibbia: il caso Moro.

I PRIMI CONTATTI CON MORUCCI ALL’INTERNO DEL CARCERE DI PALIANO

Tutto inizia nel carcere di Paliano, piccola località del frusinate, dove erano detenuti molti terroristi di estrema destra ed estrema sinistra. Fra questi, anche Valerio Morucci, il compagno «Matteo», responsabile del Fronte Logistico delle Brigate Rosse e personaggio centrale nel rapimento e nell’uccisione di Aldo Moro. In via Fani, la mattina del 16 marzo 1978, c’era anche lui. Sparò sugli agenti di scorta e prese alcune borse del presidente della Dc. Fu poi il postino dei cinquantacinque giorni, facendo ritrovare i comunicati dell’organizzazione e le lettere scritte dallo statista durante la prigionia, e il fasullo quanto cinico dottor Niccolai, il telefonista che chiama la famiglia Moro per informarla dove avrebbe potuto rinvenire il corpo del presidente. Il 30 maggio 1979 Morucci è arrestato a Roma, in un appartamento di viale Giulio Cesare, insieme alla compagna di vita e di militanza Adriana Faranda. I due erano già usciti dalle Br a seguito d’insanabili contrasti interni, emersi già durante le settimane del sequestro, quando, a differenza della maggioranza dei compagni, erano per salvare la vita dell’ostaggio.

Condannato a trent’anni nel «Moro-bis», durante la detenzione, Morucci entra in contatto proprio con suor Teresilla che, in parallelo alla sua professione, svolge attività volontaria di assistenza ai detenuti finalizzata a una pacificazione tra i terroristi e i famigliari delle vittime. Un’opera che però, dalla solidarietà umana, sconfina nell’interesse politico, sgranando un rosario d’interrogativi sulla sua figura. A cominciare dalla datazione del rapporto fra lei e Morucci.

I LEGAMI CON MORUCCI-FARANDA. UNA INESATTEZZA DI NON POCO CONTO

«Io l’ho visto nel carcere di Paliano dopo il 1985», dichiara la suora il 2 ottobre 1991, in un’aula del Tribunale di Roma, durante un processo che la vede come parte lesa. Un’altra assistente di Paliano, Gabriella Pasquali Carlizzi, l’aveva denunciata con esponenti politici di Dc e Psi per una serie di depistaggi avvenuti all’interno della struttura. Parole valse alla signora una causa per calunnia dalla quale sarà assolta nel 1992. La reverenda però davanti ai giudici afferma un’inesattezza non di poco conto. L’ultima commissione Moro ha accertato che i legami tra lei e Morucci nel 1985 erano già in corso. E da molto. Dalla relazione finale dei lavori risulta che suor Teresilla sia stata «l’intermediaria principale di un dialogo tra Morucci e Cossiga avviatosi non più tardi dell’estate 1985». A confermarlo, un promemoria che l’ex presidente della Repubblica, l’11 luglio di quell’anno, a poco più di due settimane dalla sua elezione, aveva trasmesso, mediante la segreteria generale del Quirinale, all’allora Ministro dell’Interno, Oscar Luigi Scalfaro. Lo scritto riportava che Morucci e Faranda, «attraverso una fonte riservata, una certa suor Teresilla», avevano cercato un contatto con il nuovo capo dello Stato per raccontare la verità sulla vicenda Moro a condizione che non divenisse di dominio pubblico.

I due ex terroristi avevano già annunciato la dissociazione dalla lotta armata, cioè la presa di distanza dall’esperienza brigatista e la disponibilità a ricostruirne le vicende senza però fare nomi di militanti o ex militanti. Tanto che nell’estate 1984, seguendo questo principio, avevano iniziato a rispondere alle domande dei magistrati del «Moro-ter». Ma se erano arrivati addirittura a contattare la massima carica dello Stato mediante una «fonte riservata» significa che con quest’ultima avevano un rapporto fiduciario, dunque già avviato da un po’ di tempo. Per esempio dal 1980, come riporta una pubblicazione bibliografica sulla diretta interessata: «Teresilla. La suora degli anni di piombo».

IL MEMORIALE MORUCCI

Aveva enorme peso specifico, Suor Teresilla, visto che godeva della fiducia di Cossiga. La conferma arriva da un loro fitto scambio epistolare tra il 1992 e il 1998, relativo all’archiviazione del problema del terrorismo, almeno quello di sinistra, ma soprattutto da un documento che è il Sacro Graal degli interrogativi sul conto della religiosa: il «memoriale Morucci». Ovvero l’elaborato scritto dall’ex brigatista durante i suoi anni a Paliano, consacrato a verità ufficiale, ma non storica, sul sequestro e l’uccisione di Aldo Moro. Perché è proprio suor Teresilla a farlo arrivare nelle mani di Cossiga il 13 marzo 1990. Non in prima persona bensì tramite un altro frequentatore della casa circondariale di Paliano, l’allora vicedirettore del quotidiano «Il Popolo», Remigio Cavedon. Ma perché lo fa? Sempre nell’udienza dell’ottobre 1991 minimizza – «Parlando, tra le altre cose abbiamo detto…se ne mandiamo una copia a Cossiga, tu (Morucci, ndg) che pensi? Insomma è stata una cosa così, è nata e…» – ma viene smentita dallo stesso Morucci, che al quesito del pubblico ministero – «Com’è arrivata la decisione di mandarlo al presidente Cossiga?» – risponde: «Non è stata una mia decisione».

Una versione fornita tra l’altro proprio dalla religiosa il 10 dicembre 1990 ai pm Ionta e Palma – «L’iniziativa è stata esclusivamente mia» – quando menziona un particolare di centrale importanza nella storia di quel testo, cioè la sua stesura: «Preciso che la data 1986 fa riferimento alla data di redazione dell’elaborato e non di trasmissione dello stesso al Presidente della Repubblica». Sennonché quando la Digos nel 1990 le perquisisce casa, rinvenendo sul tavolo di cucina una delle tre copie che le aveva consegnato Morucci e che si era tenuta per sé, lei fa mettere a verbale che si tratta di «un volume redatto a principiare dal 1984 dal noto Br Valerio Morucci e concernente la storia del sequestro Moro». Una data che tra l’altro collima con l’incipit del «Memoriale» stesso: «Premessa storico-politica (luglio 1984)».

LE RELAZIONI DELLA SORELLA CON LE ALTE EMINENZE POLITICHE

Ma perché è così importante il 1986? Perché sul cartaceo ricevuto da Cossiga c’era un biglietto d’accompagnamento – «Solo per Lei Signor Presidente, è tutto negli atti processuali, solo che qui ci sono i nomi. Riservato (1986)», secondo l’ultima commissione Moro a cura della reverenda – che fa pensare come il testo sia stato composto prima di quella data. Un’ipotesi avvalorata da un altro riscontro della commissione, che lascia attoniti: «Nel luglio 1988 una copia del “memoriale” identica a quella che sarà resa nota nel 1990 era già stata acquisita dal SISDE». In pratica, quando Cossiga lo riceve, quel testo era già in circolazione. Com’è però possibile che i nostri 007 avessero quello scritto ancor prima del Presidente della Repubblica? Domanda alla quale non c’è ancora una risposta. Mentre è accertato che la nostra intelligence civile (oggi AISI) avesse avviato in quel periodo un «rapporto diretto ed esclusivo» con lo stesso Morucci nonostante fosse detenuto e imputato in più processi.

Quel biglietto a Cossiga e quella data sono però importanti anche per un altro motivo. Siccome nel memoriale sono nominati per la prima volta i partecipanti all’attentato, qualora questo fosse circolato già nel 1986, presenterebbe un’informazione appresa dagli inquirenti, e sempre per voce di Morucci, soltanto nel 1988. Vale a dire, la presenza a via Fani di Alvaro Lojacono e Alessio Casimirri, «Otello» e «Camillo», quelli della Fiat 128 bianca deputata quella mattina a fare da cancelletto basso e chiudere il campo del fuoco brigatista.

Criptica la genesi e la diffusione del «memoriale», enigmatico il suo autore, sempre in sospeso i dilemmi sull’invio di suor Teresilla a Cossiga – «Era il Ministro dell’Interno dell’epoca, pensavo che gli servivano anche a lui per leggere una cosa del genere in ordine» – invece che ai magistrati – «Non mi sembrava che c’erano delle novità» dice alla Corte che replica per voce del presidente: «Potevano anche non essere novità per il Presidente della Repubblica. Perché proprio il Presidente della Repubblica?! Il referente in un caso del genere è l’autorità giudiziaria, non il Presidente della Repubblica!». Ma sotto la lente d’ingrandimento anche le relazioni della sorella con alte eminenze politiche – tipo Scalfaro, futuro inquilino del Quirinale (1992-1999) e interlocutore molto gradito a gran parte della nomenklatura vaticana – oppure la sua presenza in altre vicende mai del tutto chiarite e aventi ancora la Dc come protagonista. Come il caso di Ciro Cirillo, assessore ai lavori pubblici della Regione Campania, sequestrato dalle Br a Napoli il 27 aprile 1981 e liberato dietro il pagamento di un riscatto miliardario dopo tre mesi. Il giudice Carlo Alemi nella sua ordinanza di rinvio a giudizio scrisse che il rapporto tra la suora e uno dei pentiti, il brigatista Giovanni Planzio, «non era rivolto […] a un discorso etico-religioso, ma a […] concordare l’atteggiamento da assumere nei confronti della Dc in ordine a specifici argomenti».

«AVEVA TUTTE LE STIMMATE TRANNE QUELLE DELLA RELIGIOSA»

Perplessità su suor Teresilla anche da parte dei famigliari delle vittime. Maurizio Puddu, fondatore dell’Associazione delle Vittime del Terrorismo, in un’intervista a «Il Giornale» il 28 gennaio 2007 fu molto netto: «Secondo me aveva tutte le stimmate tranne quelle della religiosa. Volle incontrarmi in un caffè di Roma, zona piazza Venezia. Mi faceva strane domande sull’associazione, insisteva perché intervenissi in favore dei terroristi detenuti. Ebbi l’impressione lavorasse per i servizi segreti». Parole che richiamano alla mente quelle di Alberto Franceschini, uno dei capi e fondatori delle Brigate rosse, nella seduta della commissione d’inchiesta parlamentare sul terrorismo e le stragi del 17 marzo 1999. «Lei, molto più ingenuamente, una volta mi disse: “Se tu hai qualcosa da dire, scrivilo e dallo a me che lo faccio avere a chi di dovere, non star lì a dirlo ai magistrati, dallo a me, poi state tranquilli e buoni che arriverà l’amnistia”. Questa cosa mi ha colpito perché poi Morucci lo faceva davvero. Ho scoperto dagli atti che scriveva e le cose arrivavano a Cossiga tramite suor Teresilla».

Ma per saperne di più sul conto di quella suora così ben gradita in cielo come in terra, non potremmo che affidarci a documenti e testimonianze de relato. Perché nelle prime ore del 23 ottobre 2005, a Roma, un’auto la investe sulla via Ardeatina. Come ogni sabato notte era impegnata nel pellegrinaggio da piazza di Porta Capena al santuario del Divino Amore. Dalle cronache non si è mai capito se l’incidente avvenne mentre lei era ancora in testa alla processione oppure quando stava rincasando. Misteri della fede.