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«La Macchina uomo», i Kraftwerk secondo Renzo Arbore (1978)

Redazione Spazio70

Recensione a cura di Renzo Arbore per la rivista «Il Monello» (1978)

Non so se siete ferrati in materia di «elettronica». Io no. Io so soltanto che l’elettronica è quella scienza che fa disimparare la matematica (o rende addirittura superfluo l’insegnamento della stessa) visto che ha creato i calcolatori elettronici dove due più due fa quattro solo schiacciando dei piccoli tasti: quella scienza che ci fa sapere in fretta quale cantante è il più votato durante il festival di Sanremo o quanti passi bisognerebbe fare per andare a piedi da Milano a Roma.

«QUATTRO STUDENTI (NATURALMENTE DI INGEGNERIA)»

In più, l’elettronica crea da qualche anno anche la musica. Seria, meno seria, anche ridicola. Qualche volta anche…rock. È il caso dei Kraftwerk, gruppo tedesco formato da quattro studenti (naturalmente d’ingegneria…) che oggi sono arrivati al loro sesto ellepì: «The man-machine», la «Macchina uomo». Che l’uomo fosse una macchina lo sapevamo da un pezzo: lo dicono anche i medici quando trovano il…guasto. Del resto, come una macchina, l’uomo funziona bene quando è nuovo (dopo un breve rodaggio a base di latte); poi comincia ad andare sempre meno bene e si guasta più spesso: perde acqua dalle tubature di scarico, il motorino di avviamento al mattino ha bisogno dell’aria, le marce ingranano con difficoltà, le sospensioni si induriscono, la carrozzeria si sciupa.

Insomma, non fatemi divagare, veniamo ai Kraftwerk.

Probabilmente molti di voi li conoscono benissimo: sono quelli di «Radioactivity», di «Autobahn», di quegli insidiosi motivi che si ficcano nelle orecchie ma non si possono fischiettare sugli autobus. Sono quelli che ripetono ossessivamente una stessa frase musicale, che non usano strumenti tradizionali, che fanno pensare subito a marziani discesi sulla luna o su altri pianeti a vostra scelta, rotative in movimento.

I Kraftwerk fanno una musica di grande interesse e originalità, una musica che rispecchia la vita di oggi alle prese con ogni tipo di macchina, con ogni tipo di rumori ossessivi e frenetici, con ogni tipo di… tutto il resto. Così anche questo «The Man-Machine» può dirsi un disco riuscito: trentotto minuti di musica dall’inspiegabile fascino, qualche volta inquietante, sempre originale e «coinvolgente» (aggettivo utilizzato da una tribù di intellettuali italiani: significa «che coinvolge», «che prende»). Etichetta Capitol della Emi.