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La lettera di Moro non consegnata dai Br perché zeppa di elementi utili alle indagini

Redazione Spazio70

La missiva conteneva probabilmente alcuni riferimenti sul luogo (o uno dei luoghi) in cui potrebbe esser stato tenuto prigioniero il presidente democristiano

Le Brigate rosse recapitarono per ragioni politiche o per una oggettiva difficoltà solo una parte delle missive scritte da Aldo Moro a personalità pubbliche e alla famiglia. Tra queste ultime, acquista un particolare significato quella indirizzata a Luca Bonini, figlio di Maria Fida Moro, nipote del presidente Dc: è quel «piccolo Luca», spesso citato nella sterminata pubblicistica sul caso Moro, al quale lo statista fa spesso riferimento durante i 55 giorni nelle prigioni brigatiste.

La lettera verrà diffusa soltanto nel 1990 a seguito del secondo, incredibile, ritrovamento di armi e documenti avvenuto durante i lavori di ristrutturazione dell’ex covo brigatista di via Monte Nevoso a Milano, già oggetto di una irruzione, con relativa accurata perquisizione, da parte dei Carabinieri del generale Dalla Chiesa nell’ottobre 1978.

La missiva, che inizia con un «mio carissimo Luca, non so chi e  quando ti leggerà, spiegando qualche cosa, la lettera che ti manda quello che tu chiamavi nonnetto» ha l’apparente aspetto di una dolce dichiarazione d’amore di Moro verso il nipotino, ma contiene probabilmente alcuni riferimenti sul luogo (o uno dei luoghi) in cui potrebbe esser stato tenuto prigioniero il presidente democristiano (nonostante la verità giudiziaria indichi in via Montalcini l’unica prigione).

Ad accreditare una simile intuizione è Prospero Gallinari, tra i Br che spararono in via Fani, carceriere di Moro, in una intervista concessa a Mario Scialoja nell’ottobre 1990. L’intervista, pubblicata su L’Espresso, prende il là dal già citato secondo ritrovamento nell’ex covo milanese di via Monte Nevoso che nel frattempo era stato oggetto di un passaggio di proprietà. Un rinvenimento di armi, e scritti fotocopiati di Moro, posticipato di ben dodici anni rispetto al 1978, che lo stesso Gallinari definisce «incredibile», in un appartamento «scarnificato» dagli inquirenti all’indomani delle perquisizioni di fine anni Settanta: nell’intervista, resa possibile attraverso lo scambio di domande trasmesse in carcere e risposte per iscritto, il leader brigatista parla esplicitamente dell’attività di controllo e censura sugli scritti di Moro.

«ELEMENTI UTILI ALLE INDAGINI»

«Fra le lettere di Moro trovate adesso a via Monte Nevoso», chiede Scialoja riferendosi al secondo rinvenimento del primo ottobre 1990, «ce ne sono alcune mai rese note: le risulta che il presidente della Dc scrisse lettere che le Br decisero di non recapitare? E perché?». Gallinari risponde: «In qualche caso, Moro chiese di correggere alcune lettere che stavano per essere recapitate: tra il materiale saltato fuori in questi giorni è stata evidentemente trovata la prima stesura di qualcuno di questi scritti, parzialmente diversa dal testo delle lettere poi consegnate. In altri casi, furono proprio le Br a chiedere a Moro di cambiare qualche espressione perché le parole che aveva usato potevano fornire delle informazioni agli inquirenti. Furono invece rarissime le occasioni in cui venne posto un veto alla spedizione dei messaggi: e una delle lettere non consegnate è stata proprio quella al nipotino Luca (pubblicata nei giorni scorsi) perché conteneva vari elementi che avrebbero potuto favorire le indagini».

Una ammissione incredibile che permette di andare a cercare nella breve lettera indicazioni utili a ipotizzare l’effettiva prigione di Moro (o una delle effettive).

Tre sono i passi di interesse nel documento: quel «ora il nonno è un po’ lontano, ma non tanto…» concetto espresso nuovamente poco dopo con parole diverse («il nonno che ora è un po’ fuori») e un riferimento finale a uno scenario marino («e quando sarà la stagione, una bella trottata sulla spiaggia») che potrebbe far pensare a un luogo di detenzione non tanto lontano da Roma – forse vicino al mare – secondo una ipotesi già avanzata in sede di commissione d’inchiesta e nelle ricostruzioni della pubblicistica.

Una intuizione che, insieme al sorprendente stato di pulizia e tonicità muscolare del corpo di Moro emerso in sede autoptica, si incrocia con il ritrovamento nelle urine di tracce consistenti di nicotina quasi che il presidente Dc avesse fumato nei giorni immediatamente precedenti la morte o subìto del fumo passivo. Uno scenario, questo, incompatibile con la versione consolidata di una prigionia durata quasi due mesi in un bugigattolo come quello di via Montalcini – delle dimensioni di tre metri per due – chiamato dai brigatisti «prigione del popolo».

Note: Per quanto riguarda la lettera a Luca non inviata dalle Br, vedi Selva, Marcucci in Aldo Moro, quei terribili 55 giorni, pagina 331
Sul tema della nicotina, vedi Relazione del Prof. Claudio De Zorzi sulle indagini chimiche eseguite in ordine alla morte di Aldo Moro, prima Commissione Moro, volume XLV, pagina 810