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Il ’68 visto da destra. Un articolo de «Lo Specchio»

Redazione Spazio70

«Gli studenti comunisti e i democristiani di sinistra hanno soltanto voglia di inneggiare a Che Guevara. Niente a che vedere con l'intento di discutere serenamente sull'avvenire dell'università»

«Sono arrivati i cinesi e sono spuntati come funghi negli atenei italiani. Non hanno gli occhi a mandorla, ma in compenso sono rissosi, noiosi, prepotenti. Parlano un linguaggio fatto di “contestazioni globali”, di “lotta al sistema”, di “fine dell’autoritarismo accademico”. Dunque la Cina non è più soltanto vicina: è in casa nostra, figlia della malinconia e delle inibizioni dei comunisti e della tetraggine intellettuale della sinistra cattolica».

Due giovani «cinesi» fotografati da «Lo Specchio»

«Il sentirsi “cinese”, l’inneggiare a Che Guevara, il gridare “evviva Ho Chi-Minh”, anche se si milita nel burocratico partito di Longo o ci si rifugia nei momenti di pericolo dietro lo scudo e l’autorità della DC dorotea o centrista, fa tanto ribelle. Per di più, questa volta, c’è stata anche la benedizione di Bellocchio arrivato, tutto festante, a esprimere la propria commossa solidarietà agli scalzacani che occupavano la Facoltà di Lettere della capitale. Bellocchio, Moravia, Laura Betti, Pier Paolo Pasolini, Dacia Maraini. La solita compagnia, uscita da qualche teatro o locale notturno, non sapendo dove andare a sbattere le stanche e impegnatissime menti, ha voluto fornire agli occupanti l’aureola del martirio.

Tutto è cominciato a Torino nel novembre scorso; da Torino l’agitazione è passata a Milano, in quel covo di “progressisti” che è l’Università Cattolica del Sacro Cuore. Da Milano a Pisa a Firenze. Quindi a Roma. Ufficialmente gli studenti protestavano contro la riforma universitaria in discussione in Parlamento. Una riforma equivoca, nata dal solito compromesso fra democristiani e socialisti e criticabile sotto parecchi punti di vista. Una agitazione, perciò, che poteva essere lecita. Ma quasi istantaneamente, in tutta Italia, sono cominciate le violenze a fondo perduto, le occupazioni fatte apposta per stancare, irritare, la massa studentesca. Sono apparsi i cosiddetti “cinesi”».

«LA STAMPA E L’ESPRESSO?IMBARAZZANTI»

«Dire “cinesi”, secondo il settimanale radical-socialista romano specializzato in “colpi di Stato”, non è esatto: a Torino sono “cinesi”, a Pisa “anarco-socialisti”, a Roma “castro-trotzkisti”. In realtà il movimento studentesco è sfuggito di mano ai partiti di sinistra. Tutti hanno paura di essere “scavalcati”, aggirati, superati nell’esigere, nel proclamare, nel contestare. La prosa imbarazzante dei giornali tradizionalmente progressisti, come “La Stampa” e “L’Espresso”, è un sintomo chiaro che si è seminato vento ed è cresciuta la tempesta. La bestia nera degli studenti ribelli è l’esame. “L’esame” – si legge sulla porta della Facoltà di Architettura di Roma occupata da una banda di “pariolini” in veste protestataria – “ha un significato ricattatorio nel senso che è uno strumento selettivo sulla base di un programma estraneo alla ricerca e agli interessi dello studente: infatti esso è un organo di controllo in cui lo studente subisce lo strumento (il controllo stesso) e il contenuto (il programma di esame)”. “L’esame” – continua la nota – “è lo strumento attraverso cui il meccanismo dell’attuale struttura universitaria determina il suo ritmo che solo i ‘bravi’ riescono a seguire: gli altri o seguono bestialmente o soccombono”. E poi: “l’esame viene condotto dal professore con metodi polizieschi e terroristici che lo rendono simile a un vero e proprio interrogatorio in cui soccombono tutti coloro i quali non riescono a rendersi complici del professore”.

In tutti i casi le “bestie soccombenti” hanno messo gli artigli. Ma non per forza loro, il che sarebbe anche stato rispettabile, bensì per il cedimento indecoroso delle autorità statali ed accademiche a tutti i livelli. Il Magnifico Rettore di Roma, professor D’Avack, per esempio, si è dato un gran daffare: in primo luogo ha proibito alla polizia di vestire in divisa. Dopo avere “democraticizzato” i poliziotti, si è recato a parlamentare con gli studenti. Il suo invito è stato naturalmente accettato da tutti coloro che conducono l’agitazione contro il disegno di legge del ministro Gui (definito “boia” sui muri, al pari del presidente americano Johnson), ma è stato irriso dagli estremisti che hanno continuato a occupare la Facoltà di Lettere. I comunisti “ortodossi”, per non sentirsi “scavalcati a sinistra”, hanno continuato a occupare anche Fisica e Architettura. D’Avack è quindi andato avanti per parecchi giorni minacciando l’intervento della forza pubblica, spergiurando che mai avrebbe voluto ricorrere alla polizia in quanto “rispettoso” della autonomia universitaria».

«ALTE COMPLICITÀ DENTRO E FUORI L’ATENEO»

«L’occupazione è quindi continuata: sono proseguite le piccole violenze individuali: nelle facoltà occupate si faceva l’amore e non la guerra, fra un coro e l’altro di “bandiera rossa”, mentre gli studenti in attesa della sessione invernale degli esami mordevano il freno fuori dai cancelli sbarrati da catene di ferro. “Al mattino” – ci ha scritto uno studente di Architettura – “si trovano brandine occupate da coppie che, e in atteggiamenti sconci e inequivocabili, e senza alcun ritegno verso le persone, compiono atti di cui si comprenderà bene la natura. E questo non è il solo episodio che mi ha profondamente disgustato e mi ha fatto rendere conto della idiozia di questi selvaggi”.

Gli occupanti, del resto, godono di alte complicità dentro e fuori l’Ateneo. Il PCI provvede al vettovagliamento: cinesi o no, sempre di comunisti e amici dei comunisti si tratta. Fra gli occupanti della Facoltà di Lettere ci sono numerosi “figli di”, assieme ad alcuni professori e assistenti che si fanno vedere in mezzo agli studenti paragonandoli a operai in lotta per lo stipendio.

Ben presto i giovani studenti “democratici” si sono accorti che gli studenti comunisti e i democristiani di sinistra hanno soltanto voglia di inneggiare a Che Guevara. Niente a che vedere con l’intento di discutere serenamente sull’avvenire dell’università. Dai cancelli sbarrati si passa soltanto avendo in mano, come lasciapassare, una copia di “Paese Sera”. Chiusi i cancelli, sbarrate le finestre, quei pochi insegnanti che ottengono il permesso di accedere alle Facoltà per qualche motivo, si vedono costretti a umilianti scalate per entrare, a calarsi dalle finestre per uscire, ridicolizzandosi davanti ai “barbudos” di guardia. Una situazione di illegalità, di prepotenza, di violenza morale, se non materiale, tollerata non si sa bene perché. O meglio, si sa anche troppo il perché. L’ombra di Paolo Rossi grava su tutte le Università italiane. Il ricordo delle geremiadi di Nenni, De Martino, Donat Cattin e compagni sulle spoglie del povero ragazzo è tale da incutere timore a tutti coloro che più o meno dipendono da un governo nel quale demagogia e velleitarismo regnano sovrani. Nessuno ha voluto correre il rischio di prendersi una minima parte degli insulti piovuti addosso all’ex Rettore Giuseppe Ugo Papi il quale, proprio in una intervista concessa al nostro giornale un anno fa, invocava dai professori un maggior senso di responsabilità, un maggior impegno nell’insegnamento, e una minore vocazione a fare i Masaniello da strapazzo».