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Teologia della liberazione e «preti operai». La repressione del cristianesimo combattente

Michele Riccardi Dal Soglio

La convergenza tra ideali rivoluzionari guevaristi e una nuova visione del cristianesimo non pregiudizialmente ostile alla lotta armata porterà alla radicalizzazione politica di un'intera generazione di giovanissimi studenti liceali e universitari, in maggioranza di classe media o agiata e di formazione cattolica tradizionale

Chi ha avuto la fortuna di attraversare in automobile il remoto e desolato nordovest argentino sa quale magnifico spettacolo di miriadi di stelle il cielo notturno offra al viaggiatore grazie alla totale oscurità che permea l’habitat desertico di quelle valli. Sa però anche come l’oscurità, benché metaforica, accompagnata all’estrema solitudine del luogo, possa favorire insidie mortali anche in pieno giorno. È infatti il primo pomeriggio del 4 agosto 1976 quando alcuni automobilisti, che stanno percorrendo la Ruta 38 in direzione di La Rioja, capitale dell’omonima provincia, si radunano attorno alla carcassa di una Fiat 125 Multicarga rovesciata su un fianco dopo una brutta uscita di strada. Nell’abitacolo dell’automobile c’è un ferito grave, in stato di incoscienza, mentre, pochi passi più in là, giace faccia in giù e a braccia aperte il cadavere di un uomo.

Alcuni riconoscono subito l’identità di quest’ultimo dal veicolo che conduceva: si tratta infatti del furgoncino pick-up col quale monsignor Angelelli, vescovo di La Rioja, si spostava in città e nei dintorni per svolgere la sua attività pastorale. Il cadavere riverso bocconi a lato della strada è proprio il suo.

LE OMELIE A FAVORE DEL PERONISMO RIVOLUZIONARIO

Monsignor Enrique Angelelli

I rilievi della Policia federal, intervenuta sul posto, si concludono dopo molte ore. La sera stessa viene diffusa la dinamica «ufficiale» dell’incidente: il vescovo, complice l’eccessiva velocità, dopo aver perso il controllo dell’auto, sarebbe stato proiettato fuori dall’abitacolo a seguito del rovesciamento del mezzo. Arturo Pinto, il passeggero superstite, una volta uscito dal coma e nelle successive inchieste, attribuirà invece la causa dell’incidente a una Peugeot 404 bianca che dopo aver tentato un sorpasso azzardato avrebbe tagliato la strada alla vettura di Angelelli con la chiara intenzione di causare un incidente.

La notizia si diffonde rapidamente e viene accolta con costernazione nella città di La Rioja, ma l’eco non si limita certo alla sola provincia: tutti i giornali argentini riportano l’annuncio della morte dell’amatissimo, ma anche molto discusso, vescovo riojano. Per anni le sue infuocate omelie, le sue prese di posizione politiche esplicitamente schierate a favore del peronismo rivoluzionario e il suo noto approccio terzomondista, gli avevano avvicinato le fasce più umili e svantaggiate della popolazione di una provincia nobile e prospera, ma economicamente arretrata come quasi tutto il resto del nord della nazione. L’estrema politicizzazione della sua pastorale gli aveva però anche allontanato il sostegno di parte di quei fedeli che, vuoi per vero amore della fede vuoi per posizione sociale, non avevano visto fin lì di buon occhio la sua militanza.

Nonostante questo né gli uni né gli altri sembreranno credere che quello di Angelelli possa essere stato davvero un incidente frutto delle insidie del deserto riojano. L’idea è che si sia trattato dell’epilogo — secondo alcuni ingiusto, per altri inevitabile — del percorso di isolamento religioso e politico perseguito dal vescovo con la sua continua invocazione alle lotte per la giustizia sociale e la verità.

UN EVANGELISMO MESSIANICO

Prima pagina di un quotidiano argentino con la notizia del cosiddetto «incidente» occorso a monsignor Angelelli

Al momento della sua morte, Angelelli una di queste lotte per la verità la stava conducendo di persona, e pubblicamente, per ottenere giustizia nei confronti di due religiosi della sua diocesi, ‎Gabriel ‎‎Longueville e Carlos Murias — sequestrati a Chamical e ritrovati cadaveri il mese prima, dopo aver subito orrende torture — e di un catechista di Sañogasta, Wenceslao Pedernera, ucciso a colpi d’arma da fuoco davanti alla famiglia. L’ultima omelia del monsignore, che commemorava i due religiosi, era stata esplicita riguardo al loro sequestro e coraggiosa oltre i limiti del buon senso: nell’agosto del 1976 le sparizioni e i sequestri, susseguitisi in modo incessante in Argentina, non erano di dominio pubblico e ancor meno argomento del quale fosse possibile parlare apertamente, anche senza additare in modo diretto le autorità statali.

Pur in assenza di elementi tali da dimostrare un coinvolgimento concreto e attivo di Angelelli nell’appoggio ai movimenti guerriglieri — mai emerso anche negli anni seguenti alla sua morte — il sostegno morale e pubblico al Movimento dei sacerdoti per il terzo mondo e al peronismo della «Tendencia», frutto di una totale adesione alla Teologia della liberazione, lo avevano portato negli anni su posizioni tali da farlo apparire agli occhi di chi combatteva la sovversione armata come un difensore o ancor peggio fiancheggiatore dei guerriglieri. Nonostante i ripetuti tentativi di altri vescovi e della stessa dirigenza
della Conferenza episcopale argentina di ricondurlo a più miti consigli, onde evitargli un totale isolamento e lo scontro frontale con l’apparato militare che dal marzo 1976 iniziava a reggere le sorti del Paese, il monsignore continuerà imperterrito ad accusare e denunciare la repressione —  della quale sarà uno dei testimoni — nonché a predicare la sua visione di un evangelismo messianico con forti tinte rivoluzionarie.

«CRISTIANISMO Y REVOLUCIÓN», LA RIVISTA DI JUAN GARCÌA ELORRIO

Juan Garcìa Elorrio

Angelelli, quando muore, è insomma un uomo ormai isolato che però non ha di certo intrapreso il suo percorso da solo. A cavallo tra anni Sessanta e Settanta sono diversi i vescovi della Chiesa argentina che come lui , in seguito alla Conferenza del Celam (Consejo episcopal de latinoamérica) tenutasi nel 1968 a Medellin, hanno abbracciato la Teologia della liberazione forti di alcuni passaggi dell’enciclica papale Populorum progressio relativi al diritto dei popoli di ribellarsi all’oppressione e alla condanna dei potentati economici. Il momento storico è quello nel quale gli ideali rivoluzionari guevaristi e una nuova visione del cristianesimo combattente non solo seducono moltissimi giovani ecclesiastici, ma coinvolgono anche un’intera generazione di giovanissimi studenti liceali e universitari, in maggioranza di classe media o agiata e di formazione cattolica tradizionale. La nuova visione evangelica che mischia rivoluzione, cristianesimo messianico, e giustizia sociale appare come una sorta di palingenesi risolutiva di ogni conflitto e ingiustizia.

In Argentina tutto questo trova una collocazione molto particolare non tanto presso i seguaci della dialettica marxista-leninista (con cui spesso si fonde e confonde), quanto presso quella parte del clero peronista rimasto orfano dell’alleanza ideologica e politica tra la Chiesa nazionale e il primo giustizialismo corporativista e filocattolico. Il senso di smarrimento e ingiustizia derivato dalla proscrizione del peronismo e dalla cancellazione di alcune sue politiche di protezione sociale trova risposta attraverso varie iniziative e prese di posizione del clero «sociale», tra cui spicca la pubblicazione della rivista di Juan Garcìa Elorrio, «Cristianismo y revoluciòn», pubblicata a partire dal 1966, divenuta la bussola etica e ideologica di quei movimenti che negli anni seguenti si distingueranno nella lotta armata, in particolare — ma non esclusivamente — di matrice peronista.

Inoltre le rivolte operaie e studentesche esplose nelle due maggiori città industriali argentine durante il maggio 1969, passate alla storia con il nome di Rosariazo e Cordobazo, sembreranno dar conferma, ai sostenitori della Teologia della liberazione e a quelli della lotta armata, sul fatto che i tempi fossero ormai maturi per il rinnovamento sociale e quindi per la rivoluzione.

IL RUOLO DELLA CHIESA ARGENTINA

Angelelli benedice la sala del Pronto Soccorso del Barrio 4 di La Rioja inaugurata con il patrocinio di JP e Montoneros, 1973

Di più: se per chi ha già abbracciato la lotta armata per realizzare la rivoluzione secondo la dottrina marxista e trotzkista il sostegno della Chiesa è prescindibile in quanto corpo estraneo e nemico, per quella gioventù che invece si riunisce attorno a un movimento fortemente nazionalista e di estrazione cattolica come Montoneros, la più o meno esplicita benedizione evangelica della lotta armata come via per la liberazione degli oppressi funge come avallo etico potentissimo. Uccidere è peccato, insomma, ma se lo si fa per una giusta causa come liberare la nazione e i suoi abitanti oppressi da un potere tirannico, lo è un po’ meno: purtroppo per loro, la stessa visione che giustifica l’eliminazione fisica del nemico a salvaguardia della nazione e dei suoi valori cristiani verrà condivisa dalle forze armate.

Attorno a questa visione la spaccatura più grande che si viene a creare è proprio quella in seno alla stessa Chiesa argentina la quale, a partire dagli anni Trenta del Ventesimo secolo, aveva stretto un vincolo sempre più forte con lo Stato, allontanandosi dal controllo e dalle posizioni della Santa Sede, per identificarsi sempre di più con la causa nazionale. La ricerca di un mutuo sostegno, conseguente alla volontà di arginare l’affacciarsi delle istanza socialiste e anarchiche giunte nel Paese con l’immigrazione massiva di manodopera operaia dei primi decenni del secolo, aveva dato vita a un’alleanza che identificava nello Stato liberale e democratico e nella libera economia di mercato un comune nemico.

Lo stesso Peròn durante i suoi primi governi aveva cercato e ottenuto un sostegno della Chiesa cattolica come partner integrante della missione giustizialista, ma poi aveva finito per allontanarsi dalla ortodossia promuovendo leggi come quella sul divorzio e sul libero insegnamento. Lo scontro, divenuto sempre più
frontale e la dura repressione attuata dal caudillo nei confronti del clero e in generale delle opposizioni durante l’ultimo biennio della sua seconda presidenza (1951-1955), aveva finito per unire in modo ancor più saldo le forze armate e la chiesa argentina in una causa comune contro il generale che oltre a essere deposto da un colpo di Stato verrà anche scomunicato dalla Santa Sede.

PADRE CARLOS MUGICA E I «CURAS OBREROS»

Padre Carlos Mugica

L’introduzione della Teologia della liberazione e del Cristianesimo rivoluzionario, invece, vengono a creare un dissidio etico e teologico nella stessa Chiesa argentina. Al suo interno, due rive opposte: da un lato la cosiddetta «curia castrense» — i cappellani e quella parte del clero conservatore che appoggia le forze armate — dall’altra i «curas villeros» o «curas obreros» ossia quei preti che prestano la propria azione sociale e pastorale lavorando nelle baraccopoli esterne alle grandi città industriali.

Il più famoso tra questi ultimi è senz’altro padre Carlos Mugica: giovane, attraente, colto, di famiglia altolocata, agli inizi degli anni Settanta ha un ascendente fortissimo sulla gioventù che non si sente rappresentata né dal proprio status di classe media né dalle istituzioni tradizionali con cui vuole rompere. Grandissimo sostenitore del peronismo — è con Peron a bordo del volo Alitalia che riporta il caudillo in Argentina nel 1972 — e mentore spirituale dei Montoneros, che traggono dalla sua pastorale e dai suoi discorsi la giustificazione morale per le azioni di guerriglia e gli omicidi politici, Mugica è, come Angelelli, tanto amato quanto odiato per il suo aperto schierarsi con il peronismo e per le sue invocazioni alla lotta sociale e alla rivoluzione. In ogni caso popolarissimo anche grazie alle sue partecipazioni a dibattiti televisivi.

Il suo tardivo ravvedimento, il tentativo di rimediare all’escalation di violenza politica che già nei primi anni Settanta dilania l’Argentina e la consapevolezza di aver in parte fomentato questo clima lo porteranno, nel 1973, a una rottura così aspra con la dirigenza di Montoneros tale da lasciar immaginare che il suo efferato omicidio — operato dalla Triple A di Lopez Rega un anno più tardi — potesse essere dovuto a una vendetta dei guerriglieri promotori di quel socialismo nazionale e cattolico che in Mugica aveva anticamente trovato un referente spirituale.

IL MASSACRO DI SAN PATRIZIO

I padri e seminaristi pallotini uccisi nella parrocchia di San Patrizio

In quello stesso biennio 1974-76 nel quale l’azione repressiva della Triple A seminerà il terrore nei confronti di tutti coloro che erano stati considerati anche vagamente «sovversivi», molti dei religiosi sostenitori della Teologia della liberazione avevano cominciano a rivedere le proprie posizioni, a tacerle oppure ad allontanarsi dal Paese pur di non rischiare la vita. Anche più tardi, sotto la dittatura nota come Processo di riorganizzazione nazionale, non pochi di loro, vedendo minacciata la propria vita, otterranno da quegli stessi vescovi loro antagonisti, fautori della Chiesa nazionale più conservatrice, un salvacondotto per lasciare il Paese o comunque protezione presso qualche istituzione ecclesiastica. Non pochi cercheranno rifugio appunto presso la diocesi di La Rioja, ritenuta l’ultimo baluardo a difesa del clero progressista sotto l’egida di monsignor Angelelli.

Nonostante l’intesa Stato-Chiesa nazionale avesse rinnovato il proprio vigore dopo il colpo di Stato del 1976, i contrasti tra la Junta militar e gerarchie ecclesiastiche non erano mancati e non si limitavano alle più o meno moderate invocazioni e proteste che la Santa Sede indirizzava alla nuova presidenza de-facto: se il Vaticano aveva fin lì rappresentato il vertice della Chiesa cattolica, la sua veniva comunque percepita come un’ingerenza da parte di uno Stato straniero nelle cose dell’Argentina e questo non soltanto dalle forze armate ma anche e soprattutto dalla «curia castrense» che riteneva di sapere quale fosse la realtà del Paese e con che metodi dovesse essere affrontata. Per questo motivo anche prima dell’uccisione di Angelelli non erano certamente mancati gravissimi episodi di repressione proprio nei confronti di religiosi: il più noto, avvenuto esattamente un mese prima della morte del monsignore di La Rioja, era stato quello passato alla cronaca come il «massacro di San Patrizio».

La notte del 4 luglio 1976, nell’omonima parrocchia sita a Belgrano, uno dei quartieri più eleganti della capitale argentina, tre sacerdoti dell’Ordine dei Pallottini — Alfredo Leaden, Pedro Dufau, Alfredo Kelly — e due seminaristi venticinquenni, Salvador Barbeito ed Emilio José Barletti, erano stati rinvenuti all’interno del salotto della casa canonicale legati bocconi e trucidati a colpi d’arma da fuoco. Sui loro corpi esanimi gli assassini avevano lasciato come monito un poster di Mafalda, il celeberrimo personaggio dei fumetti argentino nato dalla penna di Quino, in cui la bimba indicando il manganello di un poliziotto esclamava: «Questo è il bastone per ammaccare le ideologie!». Sul luogo del massacro erano inoltre state trovate due scritte esplicative, su una porta e un tappeto, che recitavano: «Per i compagni fatti esplodere alla Seguridad Federal. Vinceremo. Viva la Patria» e «Questi “zurdos” (dispregiativo per “sinistrorsi”, nda) sono morti in quanto indottrinatori di menti vergini».

L’AZIONE CONTRO LA POLICIA FEDERAL

José Maria Salgado e gli effetti della bomba da lui posta al piano terra dell’edificio della Sovrintendenza alla Sicurezza della Policia Federal

Non serve dire come la notizia del massacro abbia sconvolto non solo la comunità del quartiere, ma l’intera nazione. Nonostante le autorità avessero accusato subito del crimine la «sovversione armata e apolide», in tanti avevano sospettato che gli autori della barbara esecuzione potessero essere dei militari. I tre sacerdoti, pur senza aver mai invocato o giustificato la lotta armata, erano infatti noti per le loro omelie fortemente orientate all’impegno sociale e a una visione pauperista della fede che, sebbene avesse da sempre trovato fondamento nella pastorale dell’ordine al quale appartenevano, tendeva a infastidire non poco l’uditorio dei parrocchiani di classe medio-alta di Belgrano che di fatto si vedevano additati a sfruttatori e oppressori per il solo fatto di avere del personale di servizio.

Nelle ultime settimane, inoltre, padre Kelly e padre Leaden avevano scandalizzato non poco i fedeli parlando apertamente dei casi di sequestri di persona individuando come responsabile il governo in un momento in cui la maggioranza delle persone faticava a credere e a decifrare gli eventi in corso dopo il recente colpo di Stato. In questo caso però la vendetta non era stata operata semplicemente per via delle omelie troppo esplicite e schierate dei Padri pallottini. La scritta lasciata dagli assassini, nella quale si faceva riferimento ai «compagni fatti esplodere», era infatti relativa a un attentato avvenuto esattamente due giorni prima presso il ristorante situato al piano terra dell’edificio della Sovrintendenza alla Sicurezza della Policia federal: in una parte dei seminterrati di questo edificio risulteranno infatti essere detenuti illegalmente e torturati già dai tempi della Triple A alcuni sospetti di attività sovversive.

Il 2 luglio José Maria Salgado, membro di Montoneros infiltrato come impiegato della Policia federal, durante l’orario di pranzo aveva posto una bomba ad alto potenziale nel ristorante riservato agli impiegati della Sovrintenenza e altri civili che lavoravano negli esercizi commerciali vicini convenzionati con il ristorante. Benché la bomba non avesse provocato il crollo dell’edificio come previsto nei piani dei guerriglieri, aveva causato un massacro con 23 morti e oltre un centinaio di feriti gravi e gravissimi.

LE INTERVISTE A VIDELA, IL RICONOSCIMENTO DEGLI ERRORI

Reperto forense dell’eccidio di San Patrizio

Il seminarista Emilio José Barletti, ucciso assieme agli altri religiosi, era un membro attivo di Montoneros: dopo aver dato per mesi supporto logistico nascondendo nella casa canonicale volantini e materiale da stampa per i compagni di guerriglia, aveva iniziato da alcuni mesi il vero e proprio addestramento militare. Per questa ragione, resosi conto di aver esposto anche gli altri membri del proprio ordine, aveva deciso di abbandonare l’ordine e la parrocchia di San Patricio desideroso di un’esperienza religiosa più radicale con una comunità di «curas obreros» oppure, secondo altre testimonianze, per entrare in clandestinità con gli altri guerriglieri. Sebbene Barletti non sia risultato direttamente coinvolto nell’attentato alla Sovrintendenza, egli fu sicuramente attenzionato dall’intelligence della repressione, in questo caso della Marina Militare, che alla fine decise così di «dare una lezione» mostrando che nessuno nell’Argentina del nuovo corso politico poteva essere intoccabile.

Il massacro di San Patrizio, voluto e portato a termine dalla Armada, sarà ripudiato all’interno della Junta militar dall’Aeronautica ma soprattutto dall’Esercito, per il quale la tradizionale e speciale alleanza con la Chiesa verrà considerata sacra. Di conseguenza, casi come quelli di Barletti non potranno essere gestiti con «procedimientos por izquierda» ossia con operazioni illegali, specialmente in modo così sfacciato.

Anni più tardi, in alcune interviste, lo stesso Videla condannerà l’azione come un gravissimo errore. Le ripercussioni presso l’opinione pubblica, a seguito del massacro di San Patrizio e dell’omicidio di monsignor Angelelli, in effetti, oltre che dare le premesse per creare un’aura di santità attorno alle loro figure e crearne un martirologio popolare, avrà paradossalmente la funzione di allentare la repressione nei confronti dei religiosi terzomondisti o legati alla guerriglia che finiranno per essere spesso liberati e/o allontanati dal Paese anziché eliminati fisicamente.

Tuttavia la conseguenza più importante e di lungo termine sarà il progressivo indebolimento dell’alleanza tra lo Stato argentino e la Chiesa nazionale: proprio a causa del supporto dato al regime ormai caduto, la Chiesa argentina vedrà perdere progressivamente prestigio e autorità morale presso i propri fedeli, iniziando così un percorso di progressivo svincolamento dallo Stato. Una ricerca di un nuovo dialogo con la comunità nazionale che, nonostante l’elezione al soglio pontificio del cardinale argentino Bergoglio, oggi Papa Francesco, risente ancora oggi delle ferite e delle ombre del recente passato.