Qui potrai trovare una vasta rassegna di materiali aventi ad oggetto uno dei periodi più interessanti della recente storia repubblicana, quello compreso tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Ottanta del secolo scorso.
Il sito comprende sei aree tematiche e ben ventidue sottocategorie con centinaia di pezzi su anni di piombo, strategia della tensione, vicende e personaggi più o meno misconosciuti di un’epoca soltanto apparentemente lontana. Per rinfrescare la memoria di chi c’era e far capire a chi era troppo giovane o non era ancora nato.
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A pochi passi dalle Avenida Callao e Calle Arenales, cantate nel celebre tango di Piazzolla «Balada para Un Loco», si trova Calle Pacheco de Melo, «al fondo» come usano dire gli argentini quando ti indicano la direzione di una via che finisce poco più avanti. È una strada secondaria, alberata, con moderni condomini e palazzine Art Déco fittamente affiancati, nel pieno cuore di Barrio Norte, uno dei più eleganti e tranquilli quartieri di Buenos Aires. È appunto qui ,«al fondo», ossia al civico 1957, che a pochi minuti dalle due del mattino di martedì 1 Agosto 1978 un boato assordante sconvolge la quiete della via, buttando giù dai letti, nel raggio di alcuni chilometri, gli abitanti della zona, terrorizzati dal rumore e dai vetri delle finestre in frantumi.
Un’esplosione fortissima ha infatti appena sventrato l’edificio fino al quarto piano, proiettandone le macerie per tutta la lunghezza dell’isolato: gli ultimi tre piani restano praticamente sospesi nel vuoto, sorretti a stento dai piloni portanti della struttura in cemento armato. L’onda espansiva non ha solo divelto porte e finestre in tutta la via, ma ha anche colpito l’edificio confinante al civico 1963, i cui appartamenti al primo, secondo e terzo piano sono stati investiti in pieno dallo scoppio.
In questo scenario di devastazione il numero delle vittime appare incredibilmente basso. Dopo una giornata di lavoro i soccorritori estraggono dalle macerie un giovane uomo ancora vivo, ma con ferite gravissime. Poi il corpo della signora Margarita Obarrio, un’anziana insegnante elementare in pensione; infine quello del signor Ricardo Alvarez, di un custode di mezz’età e i resti di una ragazzina di quindici anni. Quest’ultima non è un’inquilina del civico 1957, ma dell’appartamento al secondo piano del condominio attiguo, anch’esso devastato dall’esplosione. Il suo nome è Paula Lambruschini ed è la figlia adolescente del viceammiraglio della marina militare argentina Armando Lambruschini.
L’ufficiale, assente al momento della deflagrazione, è il reale destinatario dell’attentato che viene rivendicato dal «Plotone Speciale Eva Peròn dell’Esercito Montonero» in un comunicato che definisce le due donne «vittime innocenti di questa guerra dichiarata dalla dittatura ed eroicamente affrontata dal nostro popolo». I capi militari, prosegue il comunicato, «non possono evitare di essere circondati: i loro autisti, i loro domestici, i negozianti, l’impiegato, il soldato di naja, l’operaio di una fabbrica… Sono gli occhi dell’Esercito Montonero».
Già nei primi giorni le indagini rivelano come gli individui – qualificatisi agenti della sezione antidroga della Polizia Federale – si fossero presentati alla signora Alejadrina de Passo Gil, proprietaria dell’appartamento adiacente a quello dell’ammiraglio, per effettuare alcune «perizie» in situ. Il precedente inquilino, avevano detto, era coinvolto in un traffico di stupefacenti. Per alcuni giorni, e fino a due ore prima dell’attentato, i sedicenti agenti si erano quindi più volte recati sul luogo con materiali e attrezzature utili a effettuare delle cosiddette «prove chimiche». In realtà lo scopo dei lavori aveva come obiettivo l’inserimento, all’interno della parete confinante con la residenza dell’ammiraglio, dei tubi di metallo necessari a contenere una carica di ben 25 kg di nitroglicerina.
Ad apparire incredibile è insomma il fatto che i terroristi abbiano potuto lavorare indisturbati e a viso scoperto per giorni accanto all’appartamento dell’ammiraglio Lambruschini senza timore di essere scoperti. Anche senza bisogno dell’enfasi retorica che la stampa adotta in casi simili, sotto la pressione del regime, l’eco e l’indignazione che l’attentato provoca in Argentina sono fortissimi. In primo luogo perché ha coinvolto dei civili innocenti e poi perché da prima dell’inizio dei Mondiali FIFA 1978 non si erano verificati attentati di questa portata in un Paese che, pieno di euforia per gli sviluppi della competizione e in una fase di apparente ripresa economica, sembrava aver ormai finalmente trovato la tranquillità perduta negli anni convulsi e violenti che precedettero il golpe del 1976.
Una buona parte dell’opinione pubblica argentina, nel 1978, si è infatti ormai convinta, non del tutto a torto, che le cellule terroristiche da tempo confluite nei due gruppi della guerriglia rappresentati da ERP-PRT e Montoneros-FAR siano state praticamente sconfitte dall’intervento del governo «de facto». I Mondiali di calcio sono stati poi la grande occasione sfruttata dalla Junta Militar per mostrare al mondo intero un Paese tranquillo, pacificato e sicuro nonostante la pressante «campagna anti-argentina» promossa dalla stampa estera, al punto tale che anche alcuni cronisti francesi devono ammettere che Buenos Aires di notte è diventata di gran lunga più vivibile e sicura di Parigi. Durante tutto il Mondiale, infatti, non ci sono stati attentati o eventi tali da turbare lo svolgimento del torneo calcistico, quando invece anche una sola granata contro uno stadio vuoto sarebbe stata sufficiente a mettere in discussione la narrazione di regime sulla pacificazione del Paese.
In quelle stesse settimane una persona è convinta di sapere il motivo di questa «tregua»: è Elena Holmberg, una diplomatica argentina di stanza a Parigi da poco allontanata dal suo incarico presso l’ufficio stampa dell’ambasciata. La sua colpa è quella di aver accusato l’ammiraglio Massera di essere in combutta con Mario Firmenich, il numero uno della «cupola» di Montoneros. Holmberg avrebbe avuto insomma la prova dei loro incontri occorsi in alcuni hotel di Parigi e presso la celebre Villa Wanda di Licio Gelli, dove sarebbe avvenuta una consistente transazione in denaro tra le parti probabilmente tesa a siglare un accordo di cessate il fuoco durante la maratona dei Mondiali FIFA.
Le prove di questo accordo, che Holmberg avrebbe voluto far avere sia ai suoi colleghi giornalisti di Paris Match che al generale Videla, suo amico personale, le costeranno la vita. Alcuni mesi più tardi la donna verrà infatti sequestrata e successivamente il suo corpo sarà rinvenuto tra i tanti che in quei mesi affiorano nei fiumi attorno alla capitale.
Il giorno precedente l’esplosione dell’edificio di Calle Pacheco de Melo non è un giorno qualsiasi per l’Argentina: il 31 luglio 1978 inizia infatti un avvicendamento di ruoli nel «triumvirato» della «junta» che vede il generale Videla lasciare l’incarico di capo di stato maggiore dell’esercito a favore di Roberto Viola, rimanendo a coprire la carica di presidente della repubblica. Da lì a quindici giorni lo stesso avvicendamento avrebbe interessato l’ammiraglio Massera a favore proprio di Lambruschini.
Chi conosce Lambruschini sa che è un uomo incline alla malinconia, riflessivo, con scarse doti politiche e privo di quel carisma che contraddistingue invece Massera, che dal canto proprio non fa mistero alcuno di disprezzarlo e considerarlo un debole. Ma è forse proprio per queste caratteristiche che Massera – catapultato al vertice della marina militare pochi anni prima saltando otto gradi gerarchici in una volta sola grazie agli appoggi della Loggia P2 – ha prescelto il suo successore. L’ammiraglio, uno dei primi iscritti alla loggia massonica di Licio Gelli, ha da sempre manifestato all’interno del suo circolo di sostenitori il progetto di diventare il nuovo presidente o meglio il nuovo «caudillo» delle masse argentine, proponendosi come un novello Peròn di area socialdemocratica.
In realtà il malinconico Lambruschini non sarebbe però stato così remissivo né manipolabile come qualcuno lo aveva dipinto. Alcune sue nuove nomine e l’intenzione di riformare il servizio di intelligence della Marina non sarebbero state affatto in linea con la visione di Massera, così come il suo allineamento con l’esercito e con la politica economica di Martinez de Hoz di cui l’ammiraglio uscente era un dichiarato oppositore.
Per questa ragione l’attentato a Lambruschini si rivela funzionale perché garantisce un successore che – se prima poteva in qualche modo interporsi alle decisioni e cambiare direzione – è ora indebolito, spaventato e distrutto dal dolore per la morte della figliola al punto tale da lasciare a Massera campo libero, anche dopo il ritiro, nel disporre a proprio piacimento della marina militare quale strumento personale per tessere relazioni di potere e lanciare la futura carriera politica.
Lo stesso Lambruschini, secondo diverse fonti, è molto frustrato dal fatto che i suoi uomini sembrino obbedire ancora alle decisioni di Massera e che si rechino molto, troppo spesso, nel nuovo ufficio stampa di quest’ultimo, sito al 1131 di Calle Cerrito nel quale hanno sede anche la rappresentanza locale della Loggia P2 e la filiale argentina del Banco Ambrosiano. Lambruschini, sull’orlo di un crollo nervoso, si era infatti sfogato presso lo stesso Massera dicendogli: «Mi scavalchi sempre… La gente non sa più chi sia il comandante, se tu o io!»
Anche da borghese Massera può così utilizzare per i suoi scopi quel formidabile e terrificante apparato di repressione che è la ESMA, la famigerata «Escuela de Mecànica de la Armada», dove viene torturata e uccisa la più alta percentuale delle migliaia di desaparecidos messi in conto sin dall’inizio dal cosiddetto «Proceso di Reorganizaciòn Nacional». Ma la ESMA non è esclusivamente un centro di detenzione clandestino dove si seviziano ed eliminano gli oppositori politici: è anche un centro di intelligence che nei suoi detenuti più dotati e capaci trova la propria punta di diamante, tanto nell’offensiva contro la sovversione quanto nella realizzazione dei piani personali di Massera.
A partire dal 1977, infatti, all’oscuro degli altri vertici delle forze armate e sotto la conduzione di Massera, una minoranza di questi detenuti, selezionati in base alle competenze linguistiche e conoscenze tecniche, viene obbligata a collaborare in compiti che vanno dalla produzione di targhe d’auto e documenti d’identità falsi all’intercettazione di conversazioni telefoniche, traduzioni, falsificazioni di atti di compravendita e transazioni atte a reintestare i beni mobili e immobili di altri desaparecidos. Questi lavoratori forzati si muovono in semilibertà in un’area separata della ESMA, chiamata con crudele ironia la «pecera», ossia «l’acquario». Alcuni vengono anche lasciati uscire per missioni esterne di natura più disparata, sempre accompagnati dai loro carcerieri, mentre altri loro compagni escono dalla ESMA già morti o diretti verso la loro eliminazione fisica.
Curiosamente, nello stesso periodo, i vertici di Montoneros come Mario Firmenich, Fernando Vaca Narvaja e Roberto Perdìa, assieme a un certo numero di altri militanti, vengono lasciati uscire sani e salvi dal Paese per trovare rifugio in Europa. Nel Vecchio Continente non solo portano avanti la loro campagna di denuncia, ma cercano anche riconoscimento politico presso le direzioni di quegli stessi partiti socialdemocratici europei ai quali, non di rado, bussa lo stesso Massera. L’ammiraglio è infatti in cerca di alleanze per la propria candidatura presidenziale e per il proprio nascente Partido para la Democracia Social e, incredibilmente, si presenta come difensore di quei diritti umani a suo dire violati per volontà di Videla.
Ancor più curiosamente, dopo quei presunti e ripetuti incontri tra Massera e i vertici Montoneros di cui Elena Holmberg e alcuni quotidiani francesi riferiscono, diverse decine di militanti cominciano a tornare nel Paese per organizzare la cosiddetta «controffensiva montonera». In un’Argentina in cui non ci si può muovere tra una città e l’altra senza essere fermati e perquisiti, dove controlli capillari vigono in ogni strada e luogo pubblico, che questi «noti sovversivi» rientrino indisturbati con voli diretti senza celare la propria identità desta più di una perplessità. È tuttavia prezioso sapere che l’ammiraglio Massera, nella spartizione dei poteri con le altre forze armate, ha riservato alla marina militare il controllo delle frontiere, delle dogane e di tutte le delegazioni diplomatiche, eccetto due: quelle di Caracas e di Parigi, in cui lavoravano rispettivamente l’ambasciatore Hidalgo Solà e la segretaria Elena Holmberg, entrambi desaparecidos per aver voluto riportare a Videla gli incontri tra Massera, Firmenich e Gelli di cui i due sono venuti a conoscenza in occasioni diverse.
L’ipotesi è quindi che, oltre ai forzati della segretissima «pecera», una parte della «cupola» montonera collabori già da tempo e volontariamente per assecondare gli scopi dell’ammiraglio. Un sospetto abbastanza concreto, specie in considerazione del fatto che gli attentati a Lambruschini e agli altri obiettivi sensibili del governo «de facto», durante i mesi della «controffensiva» montonera, non colpiranno quasi mai la marina e saranno tutti curiosamente «convenienti» al progetto politico di Massera, tutti caratterizzati da una sorprendente assenza di reazione delle forze dell’ordine come nel caso dell’attacco all’abitazione privata del sottosegretario dell’Economia Guillermo Walter Klein un anno più tardi.
Negli anni precedenti ha fatto gioco a Massera l’eliminazione di potenziali concorrenti che avrebbero potuto ostacolarlo nella sua ascesa al potere: quella fisica di Eugenio Aramburu – sequestrato e ucciso proprio da Montoneros – e quella politica di Alejandro Agustin Lanusse costretto, dal caos della guerriglia e dal discredito gettatogli addosso per l’eccidio di Trelew, a far rientrare in patria un Peròn visto ormai da tutti come salvatore. Entrambi gli ex-presidenti de facto, che aspiravano a una carriera presidenziale costituzionale di orientamento filo-radicales, erano stati da sempre nemici di Massera o quantomeno concorrenti nella corsa allo scranno di Rivadavia. Inoltre entrambi avevano lavorato affinché l’Argentina tornasse a una democrazia in cui fosse nuovamente rappresentato il Partito peronista, ma senza Peròn al comando.
Il rientro in patria del vecchio caudillo, ormai anziano e dalla salute fortemente compromessa, viene non a caso finanziato e organizzato dal suo amico Licio Gelli. Peròn è infatti, nella visione di Massera, il «cavallo di Troia» adatto a installare al potere in Argentina gli uomini chiave della Loggia P2 che da tempo circondano il vecchio presidente in esilio. Uomini che, a partire da Lopez Rega, una volta rimesso Peròn al comando, avrebbero dovuto creare quell’instabilità politica ed economica funzionale a un nuovo intervento militare capace di vedere in Massera un leader emergente in grado di portare l’Argentina lontano dalla sfera di influenza USA per avvicinarla non soltanto alle socialdemocrazie europee ma soprattutto ai Paesi non allineati di cui Buenos Aires dovrebbe diventare l’interlocutore privilegiato nelle Americhe.
Forse è vero – come sostengono diverse fonti negli ultimi anni – che alcuni membri della «cupola» di Montoneros siano stati fedeli a Massera già prima del ritorno di Peròn nel 1973. Gli stessi, secondo un’altra diffusa e tutt’altro che infondata interpretazione, in seguito alla débâcle del movimento rivoluzionario e ormai messi con le spalle al muro, potrebbero aver deciso, per tornaconto personale, di lavorare come mercenari al servizio degli interessi dell’ammiraglio, mandando cinicamente verso lo sterminio centinaia di compagni di militanza ingenuamente convinti di poter realizzare la «patria socialista» nella quale nemmeno ad alcuni tra gli stessi montoneros sarebbe in realtà piaciuto vivere, come in seguito rivelato da un loro ex compagno di lotta.
Se l’utopia della patria «rivoluzionaria e montonera» non vedrà la sua realizzazione, anche i sogni di gloria di Massera si infrangeranno molto prima del previsto: l’ex ammiraglio verrà infatti arrestato da candidato per le libere elezioni presidenziali previste per l’ottobre 1983. Le accuse non riguarderanno ancora i crimini e le violazioni dei diritti umani perpetrati nella ESMA, ma il ruolo di mandante nel sequestro e scomparsa dell’industriale Fernando Branca, suo socio in affari nonché marito della sua ex amante Martha McCormack. Benché non si sia mai arrivati a conoscere la verità giudiziaria sul delitto Branca, l’imputazione e il successivo processo – secondo più fonti voluto come vendetta dalle alte sfere dell’esercito – metteranno fuori dai giochi l’ex ammiraglio fino al 1985, anno in cui sarà processato e condannato nell’ambito del celebre «Processo alle Giunte» che vedrà imputati i vertici militari e politici di quella dittatura che lo stesso Massera aveva sfruttato come trampolino di lancio per una propria carriera politica.