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Un moribondo a «passeggio». La fuga di Herbert Kappler dall’ospedale militare del Celio

Redazione Spazio70

Da un articolo di Silvana Mazzocchi per «Epoca»

Herbert Kappler

Per settantasei milioni di lire, frau Anneliese Wengler ha venduto la sua verità sulla notte del 14 agosto quando suo marito, Herbert Kappler, è fuggito dalla stanza al terzo piano dell’ospedale militare del Celio dove era ricoverato da oltre un anno. Più che il racconto di una mirabolante avventura, l’anziana signora ha messo all’asta la storia dei suoi sentimenti, misti d’amore e perdono verso il responsabile dell’eccidio delle Fosse Ardeatine. E’ la sua versione del «ferragosto amaro». Ma, accanto alle fantasie di frau Annelise, esiste una ricostruzione della fuga di suo marito ben diversa da quella che lei ha commercializzato. Un mosaico messo insieme sia con gli elementi acquisiti dalle inchieste in corso, sia con la logica e il buon senso.

Anneliese Wengler non ha agito da sola, né all’improvviso. La liberazione dell’ex tenente colonnello delle SS era stata organizzata durante mesi di preparazione ed è stata attuata da un «commando» di tre uomini. Un particolare, questo, accertato dai servizi di sicurezza e confermato da alcune dichiarazioni di Simon Wiesenthal, direttore del Centro di documentazione ebraica di Vienna, un ebreo polacco sopravvissuto ai campi di sterminio che ha dedicato la vita a rintracciare i criminali nazisti in fuga per il mondo.

LA «SEQUENZA» DELLA FUGA

Wiesenthal ha aggiunto di aver saputo che la cosiddetta «operazione ferragosto» è stata eseguita con la collaborazione di due gruppi composti da filonazisti: l’Eta e il Comitato per la liberazione di Kappler. La stessa frau Wengler ha confermato di aver ricevuto finanziamenti da nuclei di ex SS. Del «commando» ha fatto parte il figlio nato dal primo matrimonio di frau Anneliese, Eckehard Walther, 23 anni. Le indagini tentano ora di stabilire se i nomi degli aderenti a questi gruppi (il comitato dispone di una frequentatissima sede a Monaco di Baviera) sono presenti nell’elenco da tempo in possesso dei servizi di sicurezza e del Sid sotto la voce Internazionale nera.

Affiliate alla «testa del serpente», opererebbero a Roma «cellule» organizzate di neofascisti che, sfruttando connivenze e complicità di vecchia data, operano clandestinamente da anni. Su questo sfondo, usando una fitta ragnatela di contatti e protezioni, è stata portata a termine la fuga della SS più odiata in Italia. Eccone la sequenza.

E’ la notte di ferragosto. Durante la mattina della vigilia, al Celio, si sono svolti i funerali del generale Antonino Anzà, trovato morto due giorni prima, sembra suicida per amore. Alle 23 e 40 di quella sera, entrano in servizio con venti minuti di anticipo rispetto all’orario stabilito, i tre carabinieri di guardia per il turno di notte. Tutti e tre conoscono abbastanza bene frau Anneliese, ma ben poco potrebbero dire di Kappler, il prigioniero di guerra che sono incaricati di sorvegliare a vista. Per «disposizioni orali» acquisite da tempo non entrano neanche nella stanza di Kappler, né gli è consentito di penetrare nel salotto antistante il suo letto.

SCATTA IL «CIAK» DELLA FUGA

Eppure la norma direbbe che ogni prigioniero dovrebbe essere sorvegliato da vicino da due carabinieri che, in caso di black out, dovrebbero perfino toccargli i piedi, per assicurarsene la presenza anche al buio. Uno dei carabinieri ricorda di aver intravisto l’ex tenente colonnello delle SS una volta, tre mesi fa, e un altro sa che un suo collega, entrato una volta nella stanza di Kappler, venne tanto rimproverato da non rientrare mai più. […] Quando i carabinieri entrano in servizio, le luci ai piani sono già state abbassate per la notte. Suor Barbara, la religiosa che svolge funzioni di infermiera, ha da qualche ora visitato l’anziana coppia e ha preso atto del bigliettino affisso sulla porta che dice: «Non disturbate fino alle 10». Suor Barbara non si stupisce: non è la prima volta che il ricoverato prega per iscritto di non essere importunato fino al mattino successivo. Poco prima Kappler si era intrattenuto brevemente con il suo assistente spirituale, padre Gabriele Martino, e il malato era apparso depresso, stanco e malato come sempre si mostrava da mesi. Verso mezzanotte frau Anneliese esce dalla stanza del marito sul corridoio e scambia quattro chiacchiere con i carabinieri di guardia: si sostiene abbia loro offerto vino (di pessima qualità) e torta di mele, ma essi replicano di aver rifiutato lo spuntino. Questo è l’ultimo sopralluogo interno della signora prima di far scattare il ciak della fuga.

Un’ora dopo frau Anneliese è di nuovo sul pianerottolo e si avvia verso l’ascensore con una valigia lunga 75 centimetri, rigida e senza rotelle, dentro la quale, secondo la prima ridicola e grottesca versione, sarebbe stato nascosto Kappler, raggomitolato e in fin di vita. In realtà quel baule è vuoto ed è servito, il giorno precedente, a introdurre al Celio i vestiti, il parrucchino da lasciare sul letto vuoto e il materiale utile per la fuga. Anneliese agisce con calma e sicurezza perché sa che, grazie alle disposizioni scritte, a nessuno è consentito perquisire i suoi bagagli. Al pianterreno, in cortile, è parcheggiata la 132 rossa che frau Anneliese ha affittato all’aeroporto di Fiumicino il 12 agosto, nel primo pomeriggio. Posteggiare l’auto all’interno del Celio è un altro privilegio concesso alla signora Kappler, insieme con quello di poter introdurre in visita, nella stanza del marito, chiunque sia in grado di presentare al posto di guardia una tessera di attaché all’ambasciata tedesca.

LA PRIMA PARTE DELLA «BEFFA» È COMPIUTA

Anneliese Kappler in una vecchia foto proveniente dall’archivio storico dell’Unità

Anneliese depone la valigia nell’auto e apre il portabagagli nel quale sono sistemati due cuscini gonfiabili, tipo spiaggia, scelti su misura per rendere più comodo l’abitacolo. A questo punto Kappler esce dalla sua stanza e dal Celio. Come? Le ipotesi più attendibili sono due, ma in ogni caso è necessario ammettere che il tenente colonnello nazista, malato o no, ha camminato sulle proprie gambe. La prima: Kappler, approfittando di un momento di distrazione dei due carabinieri di guardia in corridoio, è riuscito a raggiungere l’ascensore o il montacarichi, peraltro di dimensioni ridotte. Seconda: con un complesso sistema di corda e verricelli, Kappler è stato calato dalla sua finestra al terzo piano (libera da sempre delle catenelle regolamentari) fino al cortile, per 12 metri.

Sistemato il marito nel portabagagli lasciato poi semichiuso (Kappler pesa 48 chili), frau Anneliese torna al terzo piano. «Ha detto di aver dimenticato una borsa di paglia», testimonierà uno dei carabinieri, «lo ricordo perché notai che la signora portava una parrucca a riccioli neri, una delle tante che sfoggiava». Un attimo dopo, frau Kappler esce di nuovo dalla camera numero tre con la borsa (quali «reperti» aveva il compito di sottrarre?). Con la mano destra la dolce Anneliese tiene le scarpe in mano, cammina in punta di piedi e con il dito indice verticale sulle labbra, invoca il silenzio. Appena in cortile sale al volante della 132 e rapidamente esce dal Celio salutata dall’addetto al posto di guardia al cancello.

La prima parte della beffa è compiuta. A poche centinaia di metri dall’ospedale, a bordo di una Opel Commodore bianca, aspetta il «commando»: tre uomini che già nel pomeriggio del giorno precedente si erano incontrati con Anneliese. La prova consiste nel fatto che i cuscini di gomma sistemati nel bagagliaio della 132 sono stati acquistati il 13 agosto ai magazzini Standa della zona Talenti dal tedesco più anziano. Il suo identikit è stato riconosciuto dalla commessa che ha affermato alla polizia di averglieli venduti. Tra i componenti del piccolo gruppo c’è il figlio di Anneliese, c’è un distinto signore sulla sessantina, che si dice sia stato un fedelissimo di Kappler, e c’è un «terzo uomo», il personaggio che ha funzionato da «basista» a Roma e che ha preparato con frau Anneliese ogni particolare della operazione.

LA «CORSA» VERSO LA GERMANIA

Il suo nome e la sua identità sono ricercati nel dossier sull’Internazionale nera al vaglio degli investigatori. E’ questo «terzo uomo» a rimanere alla guida della Opel sulla quale si sistemano frau Anneliese e Kappler, nel frattempo liberato dall’angusto portabagagli. Dal momento della fuga sono trascorsi forse cinque minuti in tutto, un tempo di disagio sopportabile anche per un malato grave. Eckehard Walther e l’anziano tedesco salgono sulla 132. Le due auto si avviano insieme ed entrano nell’autostrada del Sole all’1 e 54. E’ iniziata la corsa verso la Germania.

La 132 rossa perde olio (la perizia ha accertato che il guasto è stato accidentale) e nei pressi di Trento, al casello di Paganella-Est, intorno alle 6 del mattino, si ferma in panne. Gli occupanti chiedono aiuto e, senza nascondersi, raggiungono in taxi la più vicina stazione ferroviaria. Quando dall’auto abbandonata si risalirà alla fuga di Kappler, la loro azione di «depistaggio» appare perfetta. La Opel, intanto, prosegue fino al Brennero ed esce dal casello autostradale di Vipiteno alle 8 e 3 minuti del 15 agosto. A Roma, al Celio, suor Barbara entrerà nella stanza di Kappler due ore dopo, quando il boia delle Ardeatine è ormai oltre i confini con sua moglie e il «terzo uomo», regista della sua liberazione. L’auto tedesca – si apprenderà in seguito – era entrata in Italia il mattino del 12 con a bordo il figlio di Anneliese e il tedesco anziano. I due uomini dopo aver pernottato a Chianciano, sono arrivati a Roma il 13 agosto mattina.

Fin qui la ricostruzione di quel giorno amato. Ora due inchieste, quella dei servizi di sicurezza e quella dei giudici militari, tentano di risalire alle complicità. Il bilancio è riduttivo: quattro ufficiali dei carabinieri trasferiti e due semplici militi tuttora agli arresti per «violata consegna». Sono stati ascoltati numerosi testimoni e suor Barbara ha avuto un «anomalo» colloquio riservato con il ministro della difesa Lattanzio.

PERCHÉ TANTO LASSISMO?

E’ stata la religiosa, la mattina del 15 agosto, a dare l’allarme della fuga, ma l’ha fatto tre quarti d’ora dopo essere entrata alle 10 esatte, nella stanza di Kappler. Si è detto che suor Barbara abbia cercato prima il malato in giardino, dove egli aveva passeggiato altre volte, grazie al ristoro procuratogli dalle cure omeopatiche di frau Anneliese esperta erborista e fisioterapista meticolosa. La versione ufficiale ha smentito l’episodio, ma non ha convinto. Kappler la notte di ferragosto è stato, senza dubbio, in grado di camminare da solo e suor Barbara non avrebbe aspettato tanto prima di denunciare la sua scomparsa se non perché convinta che Kappler fosse ancora in ospedale.

Il tenente colonnello nazista era un prigioniero di guerra e aveva il diritto di tentare la fuga, ma le autorità italiane avevano il dovere di impedirglielo. Perché, ci si chiede, al Celio, si era creato quel lassismo, quel permissivismo che ha reso possibile la liberazione del responsabile della morte di 335 vittime alle Fosse Ardeatine? Perché il Sid non ha controllato «prima» dove frau Anneliese trascorresse la notte a Roma, quando non rimaneva nel letto gemello sistemato accanto a quello del marito?

Oggi frau Anneliese racconta la fuga del consorte come una farsa dolciastra e ne vende memorie a puntate. Sminuisce la cosiddetta «operazione ferragosto» e riduce un complotto, realizzato con aiuti e protezioni, a un’operetta «eroica» proponendo se stessa nel ruolo della moglie innamorata che salva il marito morente, da sola e per amore.