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Il culto proibito di «Maria la sposa», lo scheletro in abito nuziale

Redazione Spazio70

Una morta che «appare in sogno», venerata come una santa

Torre Annunziata (NA), 20 gennaio 1968. Con l’affissione pubblica di una serie di manifesti viene reso noto ufficialmente il contenuto di un documento emesso dalla sede arcivescovile di Napoli in data 30 dicembre 1967. Il testo, redatto dal cardinale Ursi e dal cancelliere della Curia, il monsignor Pagano, ha come oggetto uno strano culto idolatrico praticato in città da circa un ventennio e con grande partecipazione popolare. Maria la sposa, come viene chiamata dai cittadini torresi, è uno scheletro dalle origini ignote conservato nella cripta della cappella comunale presso il cimitero di Torre Annunziata. Abbigliata in veste nuziale, la struttura ossea giace in una bara all’interno di una teca trasparente, circondata da fiori, monili, pietre preziose e offerte votive di ogni genere. Numerose fedeli, specialmente giovani donne, attendono ogni giorno in fila, nell’attesa di giungere dinnanzi a quelle spoglie «miracolose».

«UNA SUPERSTIZIONE INAMMISSIBILE»

«Il tribunale ecclesiastico per le cause dei Santi di Napoli — dice il documento di monsignor Ursi — premesso che la Chiesa ha sempre inculcato nei fedeli il dovere di innalzare a Dio preghiere e di offrire suffragi per i defunti “affinché vengono assolti dalle loro colpe”; che venera i loro resti mortali con candele, incenso, fiori, in occasione della sepoltura perché anche il corpo oltre che l’anima di cristiani, fu rigenerato alla vita divina nel battesimo e divenne membro del corpo di Cristo e fu continuamente santificato dai sacramenti; che, per alcuni defunti, proclama l’eroicità delle loro virtù soprannaturali e, dopo i segni della loro glorificazione nel cielo – quali sono i miracoli attribuiti alle loro intercessione – li eleva agli onori degli altari facendogli oggetto di culto pubblico e proponendoli ai fedeli come esempio di vita da imitare e come intercessori presso Dio, ai quali conviene rivolgersi per ottenere protezione e favori celesti; che, con la stessa sollecitudine, proibisce di prestare il culto a resti mortali di persone ignote e combatte le manifestazioni aberranti.

Prese in attento esame le manifestazioni di culto che molti fedeli di Torre Annunziata rivolgono alla cosiddetta “Maria la sposa”; considerato che lo scheletro nell’ipogeo della cappella comunale del cimitero di Torre Annunziata non è identificabile con alcuna persona storicamente esistita e conosciuta, di cui si possono esaminare le virtù soprannaturali in grado eroico; come non sia assolutamente concepibile che Dio operi prodigi attraversi i resti mortali di persona sconosciuta, la quale non può essere proposta all’imitazione dei posteri; che a norma delle leggi canoniche nessun culto pubblico può essere dato a chicchessia senza l’autorizzazione del Sommo Pontefice; dichiara che le manifestazioni di culto rivolte allo scheletro rivestito da un velo di sposa nel cimitero di Torre Annunziata sono arbitrarie, superstiziose e pertanto inammissibili.

Corrado Ursi, Cardinale arcivescovo di Napoli, vista la dichiarazione del tribunale diocesano, decreta che non si può indirizzare alla persona sconosciuta cosiddetta “Maria la sposa”, altro culto di quello consentito per i resti mortali di tutti i fedeli defunti. I sacerdoti e tutte le altre persone responsabili si astengono da ogni atto che possa essere inteso come un favorire pseudo-manifestazioni di culto».

Ma chi era veramente Maria? In realtà nessuno è in grado di rispondere a questa domanda. Lo scheletro (che non è mai stato sottoposto a perizia) giaceva in una fossa comune, stipato assieme a tanti altri resti umani completamente anonimi. Secondo alcune fonti si tratterebbe di una delle vittime del terribile disastro ferroviario avvenuto alla fine degli anni ’30.

Dal quotidiano Il Mattino del 31 dicembre 1939:

«Ieri mattina alle 8 il treno straordinario per viaggiatori 4038 doveva dare la precedenza nella stazione di Torre Annunziata Centrale al direttissimo 88 proveniente dalla Calabria. Se non che per la difficoltà di manovrare gli scambi a causa del gelo, fu invece stabilito di far proseguire il 4038 fino alla stazione successiva e di fermare il treno 88 nella stazione di Torre Annunziata Centrale. A tale scopo il segnale di protezione della stazione – lato Reggio Calabria – era disposto a “via impedita”. Ma il treno 88 non rispettava il segnale e proseguiva la corsa investendo in coda il treno 4038 mentre questo si rimetteva in moto. In conseguenza all’urto si debbono deplorare 29 morti e circa un centinaio di feriti, di cui alcuni in condizioni gravi».

LA SPOSA CHE «APPARE IN SOGNO»

Secondo la narrazione popolare tra le vittime di questo incidente risulterebbero anche due giovani sposi in viaggio di nozze. I corpi degli sfortunati coniugi, mai reclamati dai parenti, sarebbero finiti nella fossa comune. Ma perché lo scheletro della sposa diventa una reliquia sacra? Le versioni in merito alla creazione del culto sono confuse e contrastanti. Le voci popolari più diffuse, e anche i pochi articoli dedicati all’argomento, parlano di un ricco commerciante (autodefinitosi «Apostolo della sposa») che negli anni ’50 si sarebbe recato al cimitero affermando di aver avuto una visione mistica: una donna in abito nuziale. La sposa, affermando di chiamarsi Maria, sarebbe apparsa in sogno al commerciante e avrebbe chiesto all’uomo una degna sepoltura dando indicazioni precise sul luogo in cui trovare lo scheletro, in cambio avrebbe donato benessere, fortuna e prosperità a tutte le giovani donne del luogo. L’uomo, con l’aiuto di alcune donne, avrebbe dunque abbigliato quei resti con un abito da sposa inserendoli all’interno di una bara, dando vita al culto.

Questa versione contrasta con la testimonianza del parroco Don Felice Scafa che ricorda quello scheletro in abito da sposa fin dal lontano 1944. Riportiamo di seguito uno stralcio di un articolo redatto da Crescenzo Guarino e pubblicato sul Corriere della sera del 13 giugno 1965 contenente la testimonianza in questione:

«Chi è “Maria la sposa” e perché fu sepolta in quel luogo? Mi chiarisce ogni cosa Don Felice Scafa, cappellano e direttore del cimitero. Don Felice, in armonia con il suo nome, è un tipo florido, rubicondo e contento che non muta certo d’umore passeggiando fra gli scheletri dell’ossario dove appunto, a parecchi metri dalla chiesa, avviene il nostro colloquio, a un fioco bagliore di ceri. Il 15 ottobre 1944 egli iniziò la sua attività di cappellano. In quella data lo scheletro di “Maria la sposa” c’era già. Egli, un giorno scendendo la prima volta nell’ossario, lo trovò macabramente rivestito con un abito da sposa, in piedi, su un grande mucchio di ossa. Ritta con le braccia aperte, le mani coperte da candidi guanti, una corona di fiori d’arancio sulla testa, essa stava lì, sola come un incubo. Non erano più su questa terra l’altro cappellano, don Francesco Pennasilico e il custode che ebbero l’incarico prima di lui e dell’attuale guardiano Francesco Paolo Oresti. E poi il ’44! Tutto allora appariva sconvolto, con la guerra in corso. Era già così difficile andare avanti per i vivi da non potersi certo dedicare alle indagini sui morti!

Intanto gli anni passavano, dall’alto della botola piovevano nell’ossario altri corpi e lei, la fanciulla che il popolo volle chiamare “Maria la sposa” rimaneva ad accoglierli vestita in quel modo. Quello scheletro con l’abito da sposa faceva orrore ma anche pietà. E man mano, la fantasia popolare si accese. Un giorno un artigiano disse di averla implorata ottenendone una grazia e di volerle perciò donare una bara. Fu il primo passo di un vero culto. Infatti la gente cominciò a frequentare l’ossario accendendovi lumini, ponendovi fiori e rimanendovi a pregare. Un commerciante, Salvatore Cirillo, disse di aver ottenuto un miracolo e volle sostituire la bara di legno con un’altra di cristallo. Fu così che quell’orrenda figura diventò come un altare dinnanzi al quale fiumi di gente si inginocchiano, recitando litanie e deponendovi offerte: cuori, braccia, gambe, occhi sempre d’oro e d’argento, monili, banconote e monete estere (Torre Annunziata e Torre del Greco sono serbatoi inesauribili di naviganti). Ad un certo momento la massa degli oggetti fu tale che don Scafa pensò di sottrarli alle tentazioni ponendoli in varie cassette di sicurezza presso qualche banca. Ma la reazione dei “fedeli” di “Maria la sposa” fu così violenta che egli dovette rinunciarvi».

Il culto si diffonde rapidamente in tutta l’area vesuviana. Con il passare del tempo diventano sempre più numerose le testimonianze di chi afferma di aver «parlato in sogno con la sposa» e i pellegrini, convinti di aver ricevuto grazie da questa Maria, trasformano quella bara in un autentico tesoro, un tesoro molto allettante. Durante la notte tra il 13 e il 14 maggio 1965 le preoccupazioni di Don Felice diventano realtà: la tomba di «Maria» viene svaligiata e i ladri portano via circa cinque chilogrammi di oro e numerosi gioielli, tuttavia, in breve tempo prende forma un altro tesoro, con nuove offerte votive accumulate dai pellegrini fino al 1968.

Attualmente la bara non è più visitabile e nonostante i divieti ufficiali del clero, il culto di Maria la sposa non è del tutto estinto.