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«Ho combattuto contro i palestinesi in Libano»: parla l’ex NAR Walter Sordi

Redazione Spazio70

Stralci della deposizione rilasciata da Walter Sordi al processo a Paolo Bellini per la strage di Bologna (11 giugno 2021)

Romano, classe 1961, Walter Sordi è un giovanissimo terrorista nero approdato al pentitismo subito dopo l’arresto, avvenuto nel 1982. Passato da «guerriero senza sonno» a «infame» nel giro di qualche giorno, il ventunenne Sordi si mostra estremamente loquace con gli inquirenti che lo interrogano, travolgendo con le proprie dichiarazioni l’intero mondo neofascista e ritrovandosi in breve tempo agli arresti domiciliari (in una località segreta) nonostante le numerose imputazioni per omicidio. Dal MSI a Terza Posizione, da Terza Posizione ai NAR, l’escalation estremistica del precoce militante passa attraverso una «latitanza bellica» in Medio Oriente. Nel 1980, dopo la strage di Bologna, per sfuggire ai mandati di cattura e per provare l’esperienza del fronte, Sordi si reca in Libano in compagnia di Alessandro Alibrandi e altri estremisti neri, arruolandosi tra le file dei falangisti cristiani.

«L’anno prima io e Alibrandi avevamo intenzione di andare in Sudafrica — rivelerà Sordi ai giudici — poi per tutta una serie di motivi il progetto sfumò. Da parte nostra però era rimasta sempre abbastanza forte l’intenzione di provare l’esperienza di un combattimento diretto rispetto alla guerriglia che poteva esserci in Italia. Da un lato per migliorare la preparazione tecnica e dall’altro proprio per delle concezioni, diciamo etiche, che potevamo avere in quel periodo. Si presentò l’occasione del Libano visto che l’anno precedente, appunto nell’estate del 1979, Livio Lai, un triestino, c’era andato e tramite un altro triestino, Cettin Roberto, aveva preso contatti con questi militanti della Falange e ci aveva presentati».

«Noi non pensavamo ad una resa — aggiungerà in seguito — volevamo comunque evitare il carcere, poi, sicuramente c’erano proprio due fronti, nel senso che proprio la scelta di andare in Libano da parte di molti venne criticata perché noi combattevamo con la Falange e quindi, praticamente, al fianco di Israele e questo non era molto ben visto, soprattutto dai nazisti “duri e puri”, però il fatto che la terra sotto i piedi stesse finendo lo si sapeva».

L’esperienza del Libano dura un anno. Al rientro in patria Sordi partecipa a numerose azioni armate con i NAR per poi finire in manette il 17 settembre 1982, rilasciando in breve tempo importanti dichiarazioni sul conto dei suoi ex camerati. Ammesso ad un programma di protezione, dopo centinaia di interrogatori e udienze, l’11 giugno 2021 l’ex militante neofascista depone nuovamente in tribunale al processo per la strage alla stazione di Bologna che vede tra gli imputati Paolo Bellini, rispondendo alle domande del pubblico ministero.

«SONO ANDATO UN ANNO IN LIBANO E SONO ENTRATO NEI NAR»

— In via assolutamente generale, se vuole riferire alla Corte la sua esperienza nella destra eversiva romana a fine anni Settanta. Come comincia, a quali formazioni aderisce…

«Ho iniziato proprio giovanissimo, ho fatto prima un brevissimo tratto di militanza con il Movimento Sociale dell’epoca, dopodiché sono transitato in Terza Posizione. In Terza Posizione sono stato un paio di anni abbondanti e poi c’è stata la strage di Bologna che ha dato… come dire, un cambiamento epocale rispetto a tutto il nostro ambiente, per cui io sono diventato latitante, sono andato un anno in Libano e praticamente sono entrato nei NAR, diciamo. Ero già nei NAR, stavo per entrare nei NAR, quella è stata la spinta finale che mi ha portato…».

— La strage di Bologna.

«Sì».

— Intanto collochiamo nel tempo la sua adesione a Terza Posizione. Ricorda, grosso modo, l’anno?

«Il Settantotto, settantanove, più o meno».

— Chi ha conosciuto di Terza Posizione? I vertici di Terza Posizione chi erano? Lei li ha conosciuti, immagino.

«Sì, li ho conosciuti tutti. I vertici erano Adinolfi, Fiore e Dimitri. Dimitri probabilmente, anzi, senza probabilmente, era anche di Avanguardia Nazionale ed era quello che si occupava un po’ più dell’ambito militare. Poi, ecco, l’ambito militare era gestito da Roberto Nistri».

— Per ambito militare cosa intende? quello operativo?

«Sì, quello operativo per le rapine di autofinanziamento o armi».

— Ecco, brevemente, in quegli anni, diciamo prima della strage del 2 agosto, insieme a lei in Terza Posizione c’erano altri soggetti che poi sono transitati anche loro nei NAR? Se vuol riferire chi sono…

«Sì, c’era Nistri, appunto, poi Belsito, Ciavardini, e…».

— Vale? Giorgio Vale?

«Vale, Giorgio Vale, e…»

— Soderini?

«Soderini più che altro… beh sì, lui era in Terza Posizione però era anche molto legato al gruppo di Signorelli, Costruiamo l’Azione. Comunque sì, anche Soderini era di Terza Posizione. Diciamo che c’erano alcuni che erano un po’ ai limiti, appunto. Dimitri ad esempio era di Avanguardia Nazionale ma era uno dei vertici di Terza Posizione. Soderini in Costruiamo l’Azione non aveva un ruolo dirigenziale però comunque conosceva molta di quella gente che veniva dall’ambito di Vigna Clara».

— Se vuole riferire alla Corte che cos’è l’ambito di Vigna Clara.

«Vigna Clara era un po’ una cosa, se così si può dire, elitaria, perché c’era Signorelli Paolo che era il capo, che era uno molto più grande di noi, insomma, e c’era tutta una serie di persone, alcune delle quali io poi ho solo sentito nominare, non le ho conosciute di persona, e poi in realtà con i NAR poco avevano a che fare, infatti non parecchi di loro non li ho conosciuti di persona se non in maniera proprio episodica e Soderini, anche proprio per una questione di quartiere, perché lui era di Vigna Clara, si era approcciato agli ambienti dell’estrema destra attraverso Signorelli».

— Siamo nel 1978-79 ha detto?

«Sì, grosso modo, sicuramente prima del 1980. Tutto questo fermento qua, tutta questa area composita dove la gente si incontrava e poi andava da una parte piuttosto che un’altra, c’è stata fino al 2 agosto 1980, perché poi c’è stato chi è andato in carcere, chi è stato ricercato, latitante e quindi la situazione si è focalizzata di più».

— Quindi, se ho capito bene, fino al 2 agosto 1980, pur essendoci delle diversità di sigle, in realtà c’era un humus abbastanza omogeneo o mi sbaglio?

«Sì, allora, se torniamo un attimo indietro, proprio nella genesi storica, numericamente a Roma i neofascisti erano, in proporzione, forse uno a dieci rispetto all’estrema sinistra, quindi oggettivamente ci si conosceva tutti perché eravamo divisi in quartieri ma pochi per ogni quartiere, per cui ogni qual volta c’era da difendere un quartiere ci si ritrovava più o meno tutti quanti. Questo al di là dell’area di provenienza. Questo parlando proprio dell’estrema destra, c’era un certo snobismo nei confronti di quelli del Movimento Sociale però in alcune circostanze anche con loro ci si ritrovava, ecco».

— E anche con l’ambiente del Fuan?

«Sì, anche con gente del Fuan, certo, sì. Pedretti, Morsello, quella gente lì».

— Ha detto Pedretti? Morsello?

«Sì, Pedretti era forse più influente, adesso neanche me li ricordo proprio tutti».

— Però ha introdotto un tema importante che è quello della, chiamiamola così, collaborazione, laddove è necessario, tra personaggi di matrice estremista di destra al di là dell’appartenenza. Avanguardia Nazionale, Ordine Nuovo, quello che è.

«Sì, sì. Ma proprio perché comunque era tutta gente che si conosceva da prima di usare le pistole per fare le rapine o contro lo Stato. Magari le prime pistole sono state usate contro l’estrema sinistra quindi tutta questa area qua aveva come obiettivo unico quello di difendersi o offendere l’estrema sinistra, poi tutto il resto verrà dopo, ecco».

— Bene. Senta, nel ‘79 (ci concentriamo un attimo su alcuni episodi che non sono di autofinanziamento, non sono rapine) avvengono alcuni attentati: in particolare mi riferisco a quattro fatti che fecero scalpore, l’attentato al Campidoglio, al Consiglio Superiore della Magistratura, a Regina Coeli e alla Farnesina. Si concentrano tutti nella primavera del ’79, giusto?

«Sì».

— Rispetto a questi fatti, lei che cosa ha saputo? E da chi?

«Allora, tutte le cose che riguardano quel tipo di mondo lì io le ho sapute da Cavallini. Sicuramente tutte quante e va detto che noi eravamo, come estrazione culturale, contro le stragi».

— Noi chi?

«Terza Posizione sicuramente sì, era contro le stragi, si può dire. E tutte le persone che più o meno frequentavo io. Scoprirò dopo che alcuni di loro non erano così contro le stragi, ma io l’ho saputo dopo. Quindi, questi quattro episodi qua, ricordo particolarmente quello del CSM perché mi sembra che veramente si arrivò a un pelo dalla strage. Adesso, io comunque ho reso dichiarazioni anni fa sicuramente molto più circostanziate».

— Sì, sì, adesso la aiutiamo noi con i verbali. Allora, però prima che lei vada avanti ed entri su quello che le è stato riferito, lei ha detto poc’anzi che queste informazioni lei le ha apprese da Gilberto Cavallini.

«Sì, la maggior parte».

«SIAMO ENTRATI A FAR PARTE DELLA FALANGE»

— Bene, allora, lei fino a adesso questo nome non lo ha fatto, quindi la domanda è questa: quand’è che lei conosce Gilberto Cavallini?

«Sì, infatti non l’ho fatto perché io Cavallini l’ho conosciuto al ritorno dal Libano».

— Dal Libano. Lei parte in Libano quando?

«Io vado in Libano nel 1980. Nel settembre ‘80».

— Immediatamente dopo la strage di Bologna, in particolare gli ordini di cattura.

«Sì, sì, io direi proprio i primi di settembre, comunque l’ho dichiarato, comunque secondo me i primi di settembre e torno un anno esatto dopo quindi, io questo lo dico perché faccio gli anni il 23 settembre e sono partito prima del mio compleanno e sono tornato prima del mio compleanno. Sono stato un anno, comunque. Nel frattempo in Libano era venuto Belsito che era rimasto in Italia, quindi lui aveva già conosciuto questo Cavallini e quindi me ne aveva parlato, in sostanza. Però fisicamente io conosco Cavallini quando torno da Libano, quindi nel settembre o ottobre ’81».

— Benissimo. Senta, giusto per fare un “flash”, lei si reca in Libano insieme a chi? Va da solo o con qualcuno?

«Io, Alessandro Alibrandi… mi sembra che eravamo in quattro. Allora, io e Alessandro Alibrandi sono sicuro, poi Fabrizio Di Iorio e Stefano Procopio. Noi siamo andati in Libano perché c’era un triestino che si chiamava Livio Lai che c’era stato l’anno prima, allora immediatamente dopo la strage di Bologna chiaramente nessuno di noi ha fatto ritorno nella propria abitazione, a parte che alcuni erano già fuori casa, quindi ci venne paventata questa ipotesi di andare in Libano sulla scorta delle conoscenze di Livio Lai che c’era andato l’anno prima…».

— Mi scusi, “ci venne paventata” da chi? Come mai la destinazione fu proprio il Libano? Glielo chiedo perché “ci venne paventata” vuol dire che qualcuno vi ha consigliato…

«Sì, sì. Adesso io non ricordo chi conosceva Livio Lai perché io l’ho conosciuto dopo. Non ricordo chi lo conosceva, non me lo ricordo proprio. Sicuramente l’ho dichiarato. Comunque noi andammo in Libano attraverso Livio Lai. Livio Lai non venne con noi secondo me, però lì trovammo un altro triestino, mi sembra Cettin o qualcosa del genere, che fu quello, tra virgolette, che ci “accolse” insomma. Era il nostro riferimento».

— Siete stati ospiti in qualche campo particolare lì in Libano? Fisicamente chi è che vi ha ospitati?

«All’epoca la Falange libanese era divisa in due tronconi, diciamo. Uno, come se fosse proprio un servizio militare effettivo e un altro come se fossero dei riservisti, in sostanza. Allora noi all’inizio siamo andati con i riservisti in un appartamento normale, praticamente. Dopo qualche tempo siamo entrati proprio in una caserma della Falange».

— Erano i maroniti? I cristiani maroniti?

«Erano cristiani maroniti, sì, sì».

— I cristiani maroniti vi hanno messo a disposizione questa caserma?

«Sì, sì. Cioè noi siamo proprio entrati a far parte del Katāʾib, che sarebbe la Falange, che nulla ha a che vedere con la “Falange Armata”, insomma. Ed era dislocata in numerose caserme sul territorio».

— Dunque, lei sta un anno e torna.

«Sì».

[…]

«ERAVAMO DELLE BESTIE»

— Senta, passiamo ad un episodio per il quale lei è stato anche giudicato e condannato, l’omicidio Galluzzo. Lei se lo ricorda?

«Sì».

— Se vuol dire alla Corte quando avvenne questo omicidio.

«Era quasi estate, sarà stato secondo me giugno ‘82».

— Giugno’82. Era il 24 mi pare.

«Me ne vergogno, ho cercato di rimuoverlo».

— Partecipò anche Cavallini a questo episodio?

«Sì».

— E Cavallini venne appositamente dal Sud America per questo episodio?

«Se l’ho dichiarato è così, però non mi ricordo».

— Non se lo ricorda, allora cerco di recuperare il verbale, però lei ricorda il movente di questo fatto?

«Bisognava disarmare. In pratica era di guardia ad un ufficio dell’OLP. Secondo me neanche lo sapevamo che era di guardia ad un ufficio dell’OLP».

— E perché decideste di fare questo fatto?

«Per prendere gli M12».

— Quindi per disarmare e impossessarsi dei mitra del…

«Sì».

— E poi l’azione non andò a buon fine perché ci fu…

«Sì, perché uno dei due poliziotti reagì e quindi ci fu una sparatoria».

— Una sparatoria. Ecco, però dalle risultanze di quel procedimento e in particolare dalle modalità risulta che uno dei due, se non sbaglio proprio Galluzzo, fu colpito mentre scappava.

«Sì, probabile».

— Quindi alla schiena, no?

«Sì».

— Come al gluteo, mi dice il collega, l’altra vittima. Perché fu un duplice omicidio più un tentato omicidio del terzo. No. Un omicidio e un tentato omicidio. Ecco, la domanda è questa: come si colloca il movente rispetto a questo tipo di modalità, cioè, se dovevano essere solo disarmati perché uno è stato ucciso e l’altro gravemente ferito alla schiena?

«Perché eravamo delle bestie».

— Per il movente lei sa solo questo oppure, vista la localizzazione, che era in prossimità di un ufficio di rappresentanza dell’OLP…

«No, no, no».

— C’era qualche altro motivo che giustificasse questo fatto?

«No, no, no».

— No, che lei sappia.

«Sì, che io sappia no».

— Non c’è un altro motivo. Lei ha riferito, adesso ma anche allora, che il movente era quello di disarmare gli agenti.

«Sì».

— Allora disse anche che non volevate uccidere, non avevate intenzione ulteriore rispetto al disarmamento. Fatto sta che uno viene colpito anche alla schiena e l’altro, mentre fugge, viene colpito a un gluteo.

«Sì».

— Quindi ormai… lei dice: “erano delle bestie”.

«Eravamo!».

— Eravate delle bestie. La domanda è: chi aveva deciso l’operazione e chi aveva deciso che questo era lo scopo dell’operazione?

«Mah, guardi, sinceramente quelle lì erano cose che si decidevano insieme, nel senso, noi passavamo il tempo girando per Roma per vedere gli obiettivi che potevano essere le banche per fare delle rapine di autofinanziamento o dei posti abbastanza agevoli dove poter disarmare appartenenti alle forze dell’ordine o qualsiasi altra cosa. Adesso veramente, una cosa del genere, forse avrà lavorato anche un po’ la mia psiche, io non mi ricordo esattamente i dettagli di chi decise, di chi non decise. Quello che è certo è che nel momento in cui c’era una sparatoria noi sparavamo. Credo non sia stata la prima volta in cui è stato ferito qualche rappresentante delle forze dell’ordine alle spalle».

— Voi decidete di fare questo disarmamento, quindi sapevate che i poliziotti erano lì.

«Assolutamente sì».

— Non è che siete passati lì e per caso li avete…

«Addirittura, quello me lo ricordo, Cavallini si avvicinò con un passeggino dentro al quale nascondeva le armi, per cercare di coglierli più di sorpresa».

— Poco fa mi sembra di aver capito che lei abbia detto: “non sapevamo neanche che c’era la delegazione dell’OLP”.

«Sì».

— E allora che cosa stava a fare la polizia lì sotto? A guardare le vetrine?

«No».

— Quindi, se voi sapevate che la polizia era lì sotto avrete immaginato anche la ragione per cui quella polizia stava lì. Cioè la polizia era proprio di guardia all’OLP, tanto è vero che agenti dell’OLP vennero fuori dalla finestra e cominciarono a sparare.

«Io questo fatto qua l’ho saputo dopo».

— Ci fu una sparatoria.

«Sì, sì. Io non me lo ricordo che hanno sparato quelli dell’OLP dalle finestre, sinceramente. Io ero lì e non me lo ricordo, l’ho saputo dopo».

— Le dico una cosa, è brutto, è una contestazione ma è così. Risulta dagli atti che furono sparati colpi anche verso… hanno trovato fori di proiettili nel balcone finestra dove viveva la delegazione palestinese, che poi era il più alto rappresentante dell’OLP a Roma. Siamo nel 1982, in un periodo in cui c’è grande polemica sul fatto che l’Italia accolga ufficialmente una delegazione palestinese e soprattutto riconosca come diplomatico un rappresentante del popolo palestinese. C’era all’epoca chi considerava i palestinesi, e non solo in Italia, soprattutto nel mondo occidentale, come una banda di delinquenti, di terroristi. Quindi un’operazione del genere, fatta sotto il luogo di dimora dei palestinesi nei confronti degli agenti di scorta… non vi siete posti il problema del valore simbolico?

«No, io personalmente no. E le dico che io ero reduce da un anno in Libano nel quale avevo combattuto contro i palestinesi quindi se l’avessi saputo probabilmente avrei avuto anche un altro approccio ma no. Io non lo sapevo».

— Un altro approccio in che senso?

«Io sono stato in Libano e ho visto cosa facevano i palestinesi».

— Non si sarebbe tirato indietro.

«No».

— Forse sarebbe stato più…

«Questo credo proprio di sì ma non lo sapevo, veramente, mi creda. Non ho motivo per dire…».

— Allora scusi, Sordi, sono il dottor Candi [avvocato, ndr] in quel momento lei chi credeva che stesse proteggendo la polizia lì sotto?

«Non ce lo siamo mai chiesto. Almeno io non me l’ero mai chiesto. Io l’ho saputo dopo che c’era l’OLP lì. Roma comunque era piena di posti protetti, poteva essere casa di un magistrato, poteva essere casa di un qualche politico…».

— Sì, però lei capisce che a seconda del destinatario della protezione la reazione di chi viene attaccato può essere diversa.

«Sì, è naturale».

— Questo lo dico per cercare di sollecitare la sua memoria, cioè siccome se esce un agente un conto è se uno è lì da solo e un altro conto se invece esce un plotone che mi spara dietro e un terzo conto… questa problematica non si ricorda che ve la siate posta?

«Prima? No».

— Quindi non vi siete posti neanche il problema delle conseguenze che poteva avere un attentato del genere, che potesse colpire il rappresentante di quella che era considerata una comunità estera riconosciuta.

«Non ce lo siamo posto. Voglio dire, poteva essere, per dire, l’ambasciata del Cile piuttosto che la casa di un politico eccetera. Noi, in quel momento, quello che avevamo visto erano gli M12. Non sapevamo che c’era l’OLP».