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Marzo 1978. Il «boom» della droga in Italia. Chi sono i colpevoli?

Redazione Spazio70

Da un articolo del settimanale «Il Borghese»

Il dieci marzo scorso si è concluso a Milano il processo contro gli organizzatori e i responsabili del Circolo «Macondo». I 13 imputati, tutti appartenenti all’ultrasinistra, erano accusati di aver favorito l’uso di sostanze stupefacenti, di aver distribuito la droga a minori, di aver costituito un’associazione a delinquere per lo spaccio di droga, di aver violato il divieto di propaganda alla droga. Tutte queste accuse sono state confermate dal processo, almeno per quanto riguarda il consumo di hashish e di marijuana.

Gli imputati si sono difesi invocando le teorie sociologiche avanzate, care alla sinistra radical-chic. Hanno avuto la solidarietà di avvocati «progressisti», di famiglie miliardarie i cui figli possono facilmente disintossicarsi «a spese di papà» e dei reclusi del carcere minorile Beccaria, dove la quinta sezione si è ribellata appena informata della chiusura del «Macondo».

I «BOSS» DELLA DROGA PUNTANO SULLE PERIFERIE

Una copertina de «Il Borghese», marzo 1978

Il tribunale, pur avendo riconosciuto gli imputati colpevoli di favoreggiamento del consumo della droga, li ha puniti soltanto con una condanna a 3 mesi di reclusione e 300 mila lire di multa. Il rappresentante della Pubblica accusa è rimasto completamente isolato. Gli imputati hanno avuto anche il beneficio delle attenuanti generiche «per avere agito in base a motivi di particolare valore morale e sociale».

Invitati da un redattore del Manifesto a dire quali fossero state «le cose più belle della loro vicenda», due degli imputati, Sergio Israel e Mauro Rostagno, hanno risposto: «La cosa più bella è stata la replica del Pubblico Ministero che ha detto: io sono qui da solo e mi sento solo, ma rappresento gli interessi dello Stato». Parole amare, sulle quali è doveroso riflettere: parole che danno il quadro dell’isolamento in cui si trovano i pochi uomini di legge che ancora trovano il coraggio e la forza di opporsi al dilagare della droga.

La situazione è tragica, come dimostrano le notizie raccolte in tutta Italia. Ci limitiamo ad alcuni esempi. A Viareggio, nel novembre 1976, dopo la morte per droga di uno studente di 24 anni, la Polizia ha affermato che il 30 per cento dei giovani si droga. A Genova, nel dicembre del 1976, sono stati scoperti spacciatori di droga che entravano negli ospedali dove i drogati si stavano disintossicando, presentandosi come falsi malati o come parenti in visita; nel marzo del 1977, un gruppo di allievi infermieri si è impadronito di stupefacenti e ha cominciato a drogarsi o a spacciare droga agli ammalati. A Roma, già nel 1976, si parlava (secondo statistiche confermate dalla Polizia) di 50 mila «fumatori» e di oltre 3 mila eroinomani; oggi, i consumatori di droghe «pesanti» nella Capitale sono almeno 10 mila, con una età media che oscilla sui 22 anni, anche se non sono infrequenti i casi di drogati tra i 10 e i 14 anni. I «boss» della droga puntano ormai sulla periferia, sulle borgate, sui giovani che poi fanno ricorso alla delinquenza in ogni sua forma per procurarsi il denaro necessario al «rifornimento».

«RIUSCIAMO A INTERCETTARE IL DIECI PER CENTO DELLA DROGA IN TRANSITO»

Ancora a Roma un giovane di diciotto anni è stato arrestato mentre distribuiva eroina dinanzi a una scuola: aveva duecento dosi nelle tasche, un’altra cinquantina di dosi le aveva già vendute. A Bologna gli esperti sono convinti che i giovani assuefatti alla droga siano almeno seimila e che almeno mille siano quelli già passati stabilmente all’eroina. Gli spacciatori circuiscono anche i tredicenni. In Liguria i drogati si valutano in «migliaia e migliaia»; sono per l’80 per cento di sesso maschile; son quasi tutti tra i 15 e i 30 anni; appartengono a tutte le classi sociali.

Il nostro Paese, centro di transito della droga diretta dal Sud Est asiatico ad Amsterdam, nel 1977 ha visto morire in sei mesi trenta persone uccise dagli stupefacenti. Il vice-questore Sabatino, dirigente della Divisione stupefacenti della Criminalpol, ha dichiarato: «Con un po’ di ottimismo, si può affermare che riusciamo a mettere le mani sul dieci per cento della droga in transito nel nostro Paese». Ed ha aggiunto: «Non disponiamo di dati di nessun genere»; sappiamo soltanto che «per un drogato dedito all’eroina sono necessarie almeno 100 mila lire al giorno» e che «per procurarsi il denaro necessario per comperare l’eroina, i drogati non esitano di fronte e nulla».

E non basta. Nel 1977, in Italia sono state sequestrate 3 tonnellate di droga; il rapporto con la droga che è riuscita a «passare» ed entrare in circolazione è di uno a dieci, per ammissione degli stessi uffici della Polizia, dei Carabinieri, della Guardia di Finanza. Quindi almeno 27 tonnellate di droga sono andate al consumo.

«GLI EROINOMANI ITALIANI? NON MENO DI 35 MILA»

Un tossicomane in riva al Tevere

Il dirigente della terza sezione stupefacenti della Criminalpol, Di Francesco, afferma: «Si sta assistendo a un fenomeno preoccupante ed è il riciclaggio dei piccoli trafficanti, dei contrabbandieri di sigarette, delle piccole organizzazioni criminali in grossisti e spacciatori di droga. Non vuol dire solo maggiore afflusso, ma anche potenziamento attraverso i profitti della organizzazioni criminali. Il mercato si fa sempre più ampio. Non esistono dati certi, ma si suppone che in Italia gli eroinomani siano non meno di 35-40 mila. Si va da chi si “buca” saltuariamente — ma si passa presto di categoria — a chi si buca quattro, cinque volta la settimana, fino all’ultimo stadio di quattro, cinque iniezioni al giorno. Molte volte i trafficanti cercano di preparare il mercato con le droghe leggere. Anche se solo diecimila su centomila passano all’eroina, per loro è un successo. È il discorso delle caramelle all’uscita delle scuole. Solo uno sciocco può pensare che siano veramente drogate. Ma servono a far scattare un meccanismo, a sbloccare un’inibizione. Togliere la carta alla caramella vuol dire anche a livello subconscio, rendersi disponibile».

Non v’è dubbio, dunque, che il fenomeno sia in espansione in misura addirittura paurosa. Ma all’origine di questo «boom della droga» c’è in larga parte la responsabilità di coloro che nel 1975 (le sinistre per demagogia, i democristiani accettando per viltà le tesi delle sinistre) vararono la nuova legge sull’uso e il consumo degli stupefacenti. Fu la ripetizione di quanto si era fatto con la famosa «legge Merlin», nel settore della prostituzione, come la chiusura della «case» e l’abolizione del meretricio controllato aprì la strada alle grandi organizzazioni di sfruttamento internazionale fino allora quasi sconosciute nel nostro Paese; così la legge sulla droga del 1975 (definita dai radicali «una vittoria», dall’Unità «una delle più avanzate d’Europa») abolendo la schedatura, stabilendo che il drogato non dovesse essere più considerato come socialmente pericoloso, aprì il mercato agli spacciatori. I dati sono eloquenti.

«I CENTRI ANTIDROGA? MOLTE VOLTE CAPITA CHE IMPARINO A DROGARSI GLI INFERMIERI»

Alla fine del 1975, fu varata la nuova norma che aboliva la legge del 1954: quella che era stata approvata dietro suggerimento del Narcotic Bureau americano (dove l’Italia già allora veniva considerata come una potenziale «portaerei della droga») e che prevedeva la condanna minima a due anni per chiunque fosse trovato in possesso di sostanze stupefacenti. Il primo risultato della nuova legge fu il ritorno in circolazione di innumerevoli drogati. «Centinaia di tossicomani ora usciranno dal carcere», scriveva tutta soddisfatta La Stampa il 19 dicembre 1975. Ma l’entusiasmo durò poco. In data 6 agosto 1976, lo stesso quotidiano torinese era costretto ad ammettere che «a Milano prospera l’industria della morte» e a denunciare con titolo a quattro colonne «le pecche della legge sulla droga». Nel testo il professor Alberto Madeddu, vicedirettore dell’ospedale psichiatrico «Antonini», fra i maggiori esperti europei di tossicomanie, criticava la legge senza mezzi termini, dicendo: «La condanna del proselitismo, così com’è enunciata, cancella di fatto la depenalizzazione, equiparando ai trafficanti giovani drogati, certamente lontani da programmi e scopi imprenditoriali. Altri errori: la mancata definizione della quantità di “sostanze proibite” consentite per uso personale: l’obbligo di dubbia utilità e di moralità piuttosto opinabile, per i drogati, di deporre come testimoni; il dovere per i medici di segnalare all’autorità giudiziaria i pazienti che non si sottopongono a cura volontaria o la interrompano».

Intanto il disastro provocato dalla nuova legge continuava. L’8 settembre 1976, Il Messaggero di Roma informava che invece di guarire gli eroinomani molte volte nei centri antidroga «imparano a drogarsi gli infermieri». E il cronista rilevava che la nuova legge metteva a disposizione del Lazio appena 80 milioni per combattere questo fenomeno in cui la criminalità organizzata impegna miliardi.

Si arrivava al 1977 e si scopriva che nel 1976, primo anno dopo l’entrata in vigore della nuova legge, nel nostro Paese la droga aveva ucciso 34 persone. Dimenticati i suoi colpevoli entusiasmi della fine del 1975, La Stampa di Torino in data 16 novembre 1977 si decideva a ospitare un articolo del professor Michele Torre, direttore della Clinica psichiatrica di quella università. Il titolo, quattro colonne, era esplicito: «La legge del 1975 sulla droga non può essere applicata». A sua volta, in data 8 gennaio 1978, un altro giornale del «progressismo» italiano, La Repubblica, ammetteva: «Due anni dopo l’approvazione della legge sugli stupefacenti, il bilancio appare fallimentare».

«QUANDO LA FGCI SI È OCCUPATA DI DROGA, È STATO UN DISASTRO»

Tossicodipendenti, seconda metà degli anni Settanta

Il 21 febbraio scorso, Il Messaggero tornava sull’argomento mettendo in risalto una delle maggiori assurdità della legge del 1975: quella che lascia ai giudici il diritto di valutare se e quando la detenzione di una certa dose di droga («modiche quantità», dice la norma, favorendo in tal modo l’arbitrio e l’incertezza del diritto) costituisce un reato. Scriveva in proposito il quotidiano romano: «Ci si chiede a questo punto cosa rischiano i trafficanti in “paradisi artificiali”. La risposta è sconcertante: tanto e nulla. Dipende dagli umori dei giudici. Si può infatti essere dichiarati “non punibili” per essere stati trovati in possesso di 178 fiale di morfina e 16 scatole di eroina e condannati a 16 mesi di reclusione per 35 grammi di hashish e 80 di marijuana. Il primo caso è codificato nella sentenza n.202 del 2 febbraio dell’anno scorso emessa dalla Corte di Appello di Firenze; il secondo trova riscontro nella sentenza n.2 del 10 gennaio 1977 emessa dal Tribunale di Grosseto. Una diversità di trattamento macroscopica, ma che tuttavia trova una spiegazione nella estrema genericità della legge 685 sull’uso, la detenzione e lo spaccio di stupefacenti, soprattutto laddove (art.80) essa stabilisce la non punibilità di chi detiene “modiche quantità di sostanze stupefacenti o psicotrope. Non essendo specificato cosa debba intendersi per “modiche quantità”, i magistrati di merito si regolano secondo criteri di valutazione propri. Accade quindi che un Tribunale (Bologna) dichiari non punibile un imputato per il possesso di tre grammi di hashish e tre di marijuana alla stessa stregua (Tribunale di Firenze) di chi è finito in carcere per grammi 22,16 di eroina e grammi 45,47 di cocaina».

La realtà che abbiamo sintetizzato è il prodotto di una politica, di una legge, voluta dalla sinistra radicale appoggiata, nel 1975, dai comunisti. Oggi il PCI vuole darsi un volto «perbene» e si sforza di capovolgere le antiche posizioni o di far dimenticare le sue responsabilità nel grande «sfascio» nazionale: si tratti di sciopero o di droga, tutto il mondo comunista è impegnato a «ripulire» la facciata del partito. Ma con quali risultati?

A Milano, a un convegno organizzato dalla Federazione giovanile comunista per combattere il dilagare della droga, gli esponenti dell’ultrasinistra hanno accusato di «bigottismo» i rappresentanti della Botteghe Oscure. Un cronista della Repubblica ha annotato: «Un gruppo di ragazzi di varie sezioni protestano per l’astrattezza, il moralismo, il formalismo, il fiume di parole inutili del convegno. Giovanni Forti del Manifesto denuncia: “Quando la FGCI si è occupata di droga, è stato un disastro. Voi siete interessati solo a organizzare i ragazzi per bene, a lasciare gli altri, i cattivi, nel ghetto dell’estremismo. Siete dei bigotti, credete che la tossicomania sia un problema degli altri, mentre è anche un problema vostro. Sono in tanti, nella sinistra, a drogarsi, anche se se ne vergognano e la nascondono. Il momento di verità per questi ragazzi educati, viene quando Mauro Rostagno di Lotta Continua li consola. Se i giovani comunisti sono bigotti, la nuova sinistra è ultra-bigotta. Più di un anno fa l’indignato Silverio Corvisieri di Avanguardia Operaia chiese al mio gruppo di espellermi perché fumavo. La sinistra rivoluzionaria ha il terrore degli emarginati, li emargina ancora di più. Se uno di noi si droga, il partito, il gruppo, gli amici, lo espellono, lo costringono a frequentare quelli come lui, i bar di spacciatori, i luoghi infetti».

Così mentre la droga si diffonde tra i giovani di tutte le classi sociali, entra nelle scuole e nei luoghi di lavoro, le varie fazioni della sinistra si scambiano accuse di ogni genere. Il marxismo, che negli anni passati volle distruggere la società libera italiana, ora è costretto a fare i conti con i nuovi errori e si morde la coda.