Qui potrai trovare una vasta rassegna di materiali aventi ad oggetto uno dei periodi più interessanti della recente storia repubblicana, quello compreso tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Ottanta del secolo scorso.
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«Quella che stiamo combattendo non è una guerra privata della famiglia Calvi. Noi vogliamo sapere tutta la verità sulla morte di mio marito e siamo disposti a tutto per raggiungere questo obiettivo». Clara Calvi, 56 anni, vedova del banchiere trovato impiccato un anno fa sotto un ponte londinese, replica, duramente, alle critiche nate dopo la «fuga» di documenti dalla cassaforte di suo marito, nelle isole Bahamas. La vedova dice che «molti di quei documenti sono fuori dal nostro controllo» perché sparsi tra Nassau, Nicaragua e Perù; Clara Calvi sostiene di non sapere come siano finiti sulle pagine di un settimanale a grande tiratura, ma aggiunge che i familiari di Roberto Calvi daranno tutta la pubblicità possibile a carte o documenti sul caso del crac del Banco Ambrosiano. La vedova conferma: monsignor Marcinkus, lo IOR, banca vaticana, è l’obiettivo principale degli attacchi dei Calvi, sempre più convinti che la morte del loro congiunto nasconda un retroscena che porta a San Pietro o nelle vicinanze immediate.
Signora Calvi, troppi documenti, magari scelti con cura, finiscono sui giornali e tutti riguardano soltanto i rapporti Banco Ambrosiano-IOR.
Non chiedete a me, la famiglia Calvi, come nascono queste fughe. Ci sono documenti, appartenenti a mio marito, che sono fuori dal nostro controllo. Comunque la magistratura ha a disposizione questi ed altri documenti. E noi siamo sempre stati a disposizione.
Dicono che voi avete dato il via a una guerra privata indiscriminata, attaccando lo IOR, per coprire le responsabilità del presidente dell’Ambrosiano.
Ma quale guerra privata. Come si può chiedere ad una famiglia duramente colpita, come la nostra, di smettere di combattere? Vogliamo giustizia, anche noi Calvi, e lo facciamo pubblicamente.
Ma intanto i documenti segreti usciti dalle casseforti riguardano solo Marcinkus e lo IOR. Sembra una battaglia a senso unico.
Contro Marcinkus sono sempre disposta a battermi, con mezzi legali. In Italia e fuori.
C’è chi dice che i documenti delle Bahamas vengano fuori non per caso, ma per danneggiare la trattativa Vaticano-Italia, in fase già avanzata, per la restituzione dei crediti del Banco Ambrosiano, ormai liquidato.
Su questo punto dico soltanto: noi Calvi non taceremo più. Siamo stanchi di essere minacciati, ricattati. No, non taceremo più. Tireremo fuori tutto quello che è necessario. Se mio marito avesse potuto viaggiare, prima di essere arrestato, se mio marito avesse potuto avere a disposizione i documenti delle Bahamas, molte cose sarebbero cambiate, molti drammi non sarebbero accaduti. Roberto andò alle Bahamas, l’ultima volta, alla fine del 1980. Poi fu costretto a rimanere in Italia, perché gli tolsero il passaporto. Se avesse avuto il passaporto, se avesse potuto prendere dei punti di riferimento, ecco, non ci sarebbe stata una lunga catena di avvenimenti.
Torniamo allo IOR, a Marcinkus. Lei non perde occasione per attaccarlo. A Londra, al processo per stabilire come è morto suo marito, ha addirittura sostenuto che ad un certo punto delle sue disavventure finanziarie, il presidente del Banco Ambrosiano venne ricevuto dal Papa, con la presentazione di Marcinkus.
L’ho detto e lo riconfermo. Roberto fu ricevuto dal Papa e gli fu promesso che, finiti i problemi, sarebbe diventato responsabile delle finanze vaticane. Su questo problema dello IOR sono in troppi a non voler sentire, a chiudere le orecchie. Ad esempio il «Wall Street Journal» continua a sostenere che il Banco Ambrosiano ha dato i soldi per una crociata anticomunista in Polonia. Altri preferiscono agganciare il caso Ambrosiano al caso Sindona. Ora io dico: può darsi che mio marito abbia fatto crociate in Polonia, od altrove, ma attraverso lo IOR. Quanto a Sindona, per favore, dopo un certo periodo di tempo non c’erano quasi più rapporti tra i due. Roberto mi disse: «Quello lì non lo voglio più vedere. Ci ha dato troppe fregature».
Sindona è qui in carcere. Gelli invece è in libertà, fuggitivo.
E potrebbe anche essere da queste parti. Gelli ha ancora molti appoggi. Qui ci sono tante logge segrete, magari di rito scozzese.
Ci sono altri documenti di cui si parla, signora Calvi. Quelli della borsa di suo marito, scomparsa. Il contrabbandiere Silvano Vittor ed il suo amico, il biondino di Trieste, si dice, ne sanno qualche cosa.
Mi stupirei davvero che un tipo come Vittor fosse in possesso di quei documenti di mio marito. Ho letto da qualche parte che qualcuno ha tentato di vendere la borsa per trenta milioni. Non scherziamo. La borsa, forse, verrà ritrovata: bisogna vedere se sarà vuota, piena o a metà.
Quali sono, ora, i vostri programmi signora Calvi?
Negli Stati Uniti mio figlio Carlo continua il suo lavoro di ricostruzione del passato e del presente delle finanze del Banco Ambrosiano. La nostra società di Washington, una società di raccolta ed analisi di dati economici, è stata smantellata; abbiamo venduto tutto, anche la moquette. Ora aspettiamo che da Londra venga diffuso il testo del processo di luglio; tutto il testo trascritto diventerà pubblico. Là dentro ci sono le prove che molti testimoni hanno mentito sulla morte di mio marito e che, se si vuole, si può scavare ancora. Ma dalla polizia londinese non ho notizie in questo senso.