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Tra caos civile e indomita speranza. L’aspetto meno conosciuto nella vicenda dei sopravvissuti delle Ande

Michele Riccardi Dal Soglio

Nel 1972 il difficile contesto sociale e politico di Cile e Uruguay fa da sfondo alla generosità di tutte le persone comuni che, in un modo o nell'altro, contribuirono con i loro sforzi e sacrifici a mantenere viva la speranza di un miracolo poi avveratosi

Ai giorni nostri la sicurezza dei voli commerciali, pur con il loro seccante risvolto fatto di controlli e limitazioni al contenuto del bagaglio a mano, è un dato di fatto ormai acquisito anche per le persone meno informate e più timorose. Cinquant’anni fa il volo aereo, pur restando molto più sicuro di qualsiasi altro mezzo contemporaneo, era una realtà ancora caratterizzata da rischi non trascurabili: nel solo 1972, infatti, si contarono oltre 34 gravi incidenti a voli commerciali nel mondo, un numero oggi impensabile sufficiente a giustificare qualche ansia e rito scaramantico.

Se i passeggeri del volo charter FAU 571 in partenza dall’aeroporto El Plumerillo di Mendoza venerdì 13 Ottobre 1972 non avevano esagerato in scongiuri prima dell’imbarco è semplicemente perché in America Latina la tradizione vuole che il giorno nero sia non il venerdì, bensì il martedì 13: nonostante ciò, lazzi di humor nero e un po’ di autentica ansia avevano pervaso il gruppo partito il giorno precedente da Montevideo per Santiago del Chile, vista l’incertezza che aveva caratterizzato il viaggio sin dall’inizio, anche a causa dell’imprevista sosta forzata a Mendoza causata dalle cattive condizioni meteo sulle Ande.

OTTOBRE 1972: IL CILE È NEL CAOS

Fernando Parrado, uno dei due sopravvissuti che assieme a Roberto Canessa raggiunse il mondo esterno il 21 dicembre 1972

Alle fine, sarebbe stata proprio quella la data di una tragedia destinata a passare alla storia come una vicenda unica nei termini di quella che oggi va di moda chiamare resilienza. Tutti ormai conoscono a grandi linee la storia dei “sopravvissuti delle Ande”, come vengono identificati i superstiti del disastro aereo del Fairchild Hiller 227, precipitati appunto sulle Ande argentine nell’ottobre del 1972 e recuperati tra il 21 e il 23 dicembre dello stesso anno; non fosse altro per la popolare rappresentazione cinematografica diretta dal regista Frank Marshall nel 1993 e uscita con il titolo “Alive”, riduzione dell’omonimo “instant book” dell’inglese Piers Paul Read pubblicato nel nostro paese con il titolo “Tabù”.

Per la maggioranza del pubblico la vicenda dei giovani rugbisti e dei loro accompagnatori è quindi nota e resta impressa appunto per il tema dell’infrazione del tabù del cannibalismo, praticato dai superstiti dell’incidente rimasti per ben 70 giorni isolati e sprovvisti di altro cibo sulle pendici del Monte Seler, nel distretto argentino di Malargüe. Meno noti sono i contorni sociali e politici nei quali l’avvenimento si svolse e che, in qualche modo, possono aiutare a meglio apprezzare il contesto estremamente difficile, ma anche eroico, della vicenda.

Quando la mattina del 14 ottobre in Cile si diffuse la notizia che un volo charter della Fuerza Aerea Uruguaya era andato disperso sulle Ande nel pomeriggio precedente, la cosa probabilmente non aveva avuto l’impatto che potremmo immaginare oggi: rimanendo nell’ambito della sicurezza aerea, infatti, lo stesso giorno il Cile si era svegliato piangendo la morte di 38 concittadini periti a bordo di un Ilyushin 172 di Aeroflot, schiantatosi in avvicinamento a Sheremetyevo, incidente dalle cause mai chiarite e che all’epoca fu la sciagura aerea con maggior numero di vittime nell’aviazione civile.

Ma non fu nemmeno questo il motivo di maggior preoccupazione per i cileni: l’ottobre del 1972 vide infatti il Paese immerso nel caos completo. Scontri di piazza, manifestazioni pro e contro il governo, scioperi dei camionisti e serrate si susseguirono in continuazione, con conseguenze pesanti per la disponibilità di generi di prima necessità e benzina. Il sabato precedente, il presidente Allende aveva annunciato alla popolazione la necessità di una “economia di guerra”, con razionamento di generi alimentari e beni di consumo essenziali, per far fronte alla terribile crisi economica innescatasi già a partire dal 1971. Le riforme di Allende, che avevano comportato la nazionalizzazione dei maggiori settori industriali e terziari (tra l’85 e il 90 per cento di essi furono statalizzati in poco più di un anno), non avevano incontrato nella popolazione un consenso così vasto, ma anzi, nel 1972, rivolte, manifestazioni di protesta, scioperi e serrate si erano succeduti in un crescendo continuo. Inutili i tentativi di gestire la spaventosa inflazione in corso, generatasi in seguito alle riforme a tappe forzate di socializzazione dell’economia nazionale, rivelatesi presto molto poco sostenibili, volute da Unidad Popular.

LA VOLONTÀ STATUNITENSE DI BOICOTTARE ALLENDE

Manifesti sul “desabastecimiento”

La politica di calmieramento forzato dei prezzi, inoltre, aveva solo contribuito ad acuire il “desabastecimiento”, ossia l’irreperibilità dei beni di consumo, anche perché produttori e commercianti erano restii a vendere la merce — quando non addirittura propensi a speculare senza scrupoli in un quadro iperinflattivo — finendo così per fomentare un mercato nero parallelo.

Da parte loro gli USA erano disposti a tutto pur di boicottare la politica di Allende, tanto sul piano dell’immagine politica che su quello economico: la nazionalizzazione del rame, commodity principale per il Paese, fortemente voluta dal presidente cileno e sostenuta da tutto l’arco costituzionale, aveva visto un crollo del valore del minerale e una forte contrazione nelle esportazioni, fonte primaria di valuta pregiata per la nazione.

Lo squilibrio nella bilancia import-export nel 1971 era per il Cile già sconfortante e a questo si aggiunsero manovre come quella della Export-Import Bank, ente di credito pubblico USA, che aveva negato al governo di Allende il credito per l’acquisto di un Boeing 707 necessario alla flotta della Lan Chile: i negoziatori dovettero racimolare in contanti l’enorme cifra in dollari americani per portare a termine la compravendita, essendo impossibile ottenere l’apertura di ogni altra linea di credito. Alle azioni di boicottaggio, legali e no, condotte dal governo USA non riuscirono a sopperire nemmeno gli aiuti dell’URSS, che pur avendo inviato denaro al governo di Allende non intendeva esporsi eccessivamente in un progetto sul quale forse non riponeva troppa fiducia.

Già a marzo il presidente cileno aveva fatto chiudere le Camere per diversi giorni, con la motivazione che la ricerca di nuovi delicati accordi di coalizione avrebbe richiesto una particolare “riservatezza”: la coalizione di maggioranza riunita in Unidad Popular, che con l’appoggio della Democracia Popular di Radomiro Tomic aveva permesso ad Allende di governare nonostante una risicata differenza di voti rispetto al partito di opposizione, era ormai polarizzata da tempo e vedeva infatti allontanarsi il supporto dello stesso Tomic che si era sentito tradito riguardo alle garanzie richieste di un approccio non rivoluzionario al socialismo cileno.

LE RICERCHE UFFICIALI SOSPESE DOPO 10 GIORNI

Cile 1972, code per i beni di prima necessità

Nel frattempo, in strada massaie e altri comuni cittadini protestavano per i rincari e la mancanza di beni: a ottobre, quindi, la situazione era già esplosiva e Allende aveva dichiarato lo stato di emergenza in 13 province su 25, chiudendo anche diverse emittenti radiofoniche, mentre i camionisti si fermavano paralizzando il Paese. In questa situazione, riempire il serbatoio di un’automobile diventava un’impresa e spesso le autovetture che subivano un guasto venivano abbandonate sul posto per l’irreperibilità dei ricambi: è facile immaginare in quali difficoltà si venissero a svolgere le ricerche dell’aereo urugayano da parte delle unità di soccorso cilene.

Le ricerche ufficiali vennero infatti sospese dopo 10 giorni. Il Servicio Aereo de Rescate cileno, aiutato dalla Fuerza Aérea Argentina, aveva perlustrato l’area di ricerca invano: non poteva essere altrimenti, perché nel momento in cui il Fairchild aveva impattato contro il crinale di una montagna, il suo equipaggio era convinto di trovarsi in territorio cileno, sulla verticale di Curicò in Cile, fornendo in tal modo delle coordinate errate al controllo aereo locale. Per questa ragione i soccorritori avevano cercato invano per giorni, semplicemente nel posto sbagliato, dal momento che il turboelica giaceva in territorio argentino, ad est del confine di Stato.

I genitori dei ragazzi dispersi tuttavia non si erano dati per vinti: alcuni di essi, benché messi su una falsa pista dal popolare chiaroveggente olandese Gerard Croiset, continuarono per settimane a organizzare ricerche autonome nelle valli cilene, mettendo a rischio la propria stessa incolumità, contro ogni ragionevole speranza.

IL SOSPETTO E LA DIFFIDENZA VERSO POTENZIALI TERRORISTI

Uno degli aerei Fairchild Hiller FH-227B utilizzati nella produzione del film del 1993 “Alive”, ridipinto per apparire come l’aereo coinvolto nell’incidente del 1972

Recarsi in un Cile in pieno caos e dissesto economico, con il timore di una incombente guerra civile e in cui mancava di tutto, comportava oltre alle comprensibili difficoltà pratiche anche rischi per la libera circolazione. Aspetti tipici di un Paese in stato d’emergenza sperimentati dal celebre pittore uruguayano Carlos Paez Vilaro, padre di uno dei ragazzi dispersi, che durante la sua ininterrotta e disperata ricerca del figlio in lungo e in largo per le Ande cilene si era guadagnato la fama di “pazzo”: arrestato assieme al suo accompagnatore uruguayano aveva passato un’intera giornata in carcere poiché i due, a causa dei loro continui e apparentemente inspiegabili spostamenti in aeree impervie del Paese, erano stati fermati e sospettati di essere dei terroristi.

Il sospetto e la diffidenza verso potenziali terroristi erano in quegli anni frutto di paranoie tutt’altro che individuali: il discorso rivoluzionario e le attività più o meno violente con cui esso si concretizzava erano moneta corrente non solo in Cile, ma anche nello stesso Uruguay — Paese dal quale provenivano i passeggeri del volo FAU 571 — al punto che, nelle ore e nei giorni immediatamente successivi alla scomparsa del Fairchild, si era ipotizzato un possibile dirottamento del volo.

Il sospetto era caduto, tra i passeggeri, su una certa signora Mariani che si era aggiunta all’ultimo momento alla comitiva benché non facesse parte del gruppo di familiari e amici presenti sul volo 571. La donna era lì semplicemente perché gli organizzatori della trasferta avevano allargato la vendita dei biglietti a chiunque fosse interessato pur di riempire il volo e ottenere così una tariffa conveniente, considerati i tempi di grave inflazione e crisi economica. La signora Mariani, dal canto proprio, desiderava raggiungere la figlia che si era rifugiata in Cile con il marito, ricercato per attività sovversive: sarebbe invece morta il giorno successivo all’incidente, in seguito alle gravi ferite riportate.

Non mancarono neanche le ipotesi di un sequestro per riscatto, in quanto alcune voci indicavano i giovani cugini Strauch, tra i passeggeri del volo, come nipoti dell’allora presidente uruguayano Juan Marìa Bordaberry: in realtà i ragazzi erano solo lontanamente imparentati con il politico, cosa non infrequente nel ceto medio-alto di un Paese piccolissimo come la Repubblica Orientale.

LA GUERRIGLIA DEI TUPAMAROS IN URUGUAY

L’attentato al Bowling Carrasco in cui intervenne Gustavo Zerbino

Per quanto l’ipotesi di un attentato a parenti di un capo di Stato o quella di un coinvolgimento di una innocua signora possano oggi apparire remote per non dire ridicole, va ricordato come il terrorismo nell’Uruguay del 1972 fosse una realtà tutt’altro che trascurabile: le azioni di guerriglia dei Tupamaros, come rapine, sequestri, omicidi e bombe, erano all’ordine del giorno e trovavano il tragico contrappunto negli squadroni della morte clandestini costituitisi per “dare la caccia” ai sovversivi con altrettanta violenza.

Pensare che i giovani ragazzi del volo 571, per quanto provenienti da famiglie del ceto “acomodado” di Montevideo, vivessero spensieratamente senza sentirsi toccati da quanto avveniva nel loro Paese, sarebbe ingiusto e certamente inesatto: almeno uno di loro, Gustavo Zerbino, aveva toccato con mano la dura realtà della violenza politica nel 1971, quando all’alba di un giorno di fine settembre alcuni membri del MLT-Tupamaros avevano fatto saltare per aria il Bowling Carrasco, un club alla moda sito all’angolo di casa sua, nell’ambito del cosiddetto “Plan Cacao” — che prevedeva una serie di attentati a strutture e locali, considerati “borghesi”, utili a spaventare la classe media cittadina.

Gustavo, allora diciasettenne, con una buona dose di coraggio e forse di incoscienza, si era precipitato all’interno del locale semidistrutto e in fiamme per portare in salvo alcuni dipendenti rimasti intrappolati tra le macerie; tra questi c’era la custode del club, la signora Quirino, una vedova di 48 anni che, nonostante il salvataggio in extremis, avrebbe riportato ferite orrende e danni permanenti per tutta la vita.

LA GENEROSITÀ DEI CILENI

Detto questo, sarebbe però sbagliato lasciar credere che le pur oggettive difficoltà e il clima di tensione e violenza vissuti tanto in Cile come in Uruguay abbiano generato indifferenza o peggio diffidenza nei confronti di coloro che erano impegnati in questa disperata ricerca: le testimonianze dei parenti dei giovani rugbisti dispersi ci riportano una realtà fatta di gesti di grandissima generosità e disinteressato altruismo da parte di molti cileni, che non esitarono a rifiutare il pagamento delle corse in taxi e delle notti in albergo, a mettere a disposizione l’ultimo pieno di benzina reperibile, pur di aiutare i genitori e i fratelli dei dispersi in quella che pure veniva ritenuta una ricerca ormai inutile. Gli stessi superstiti, una volta soccorsi e portati in salvo, raccontarono come tutti, anche le persone più umili, si fossero prodigati cedendo loro il proprio cibo o l’indumento che indossavano; rinuncia tutt’altro che banale in un momento in cui viveri e prodotti di qualsiasi genere in Cile erano severamente razionati.

Se quindi i “sopravvissuti delle Ande” vengono ancora oggi ricordati per la loro incredibile tenacia ed eroica resistenza alle avversità, non va certo dimenticata la generosità di tutte le persone comuni che, in un modo o nell’altro, contribuirono con i loro sforzi e sacrifici a mantenere viva la speranza di un miracolo poi avveratosi.

Miracolo di un ritorno alla normalità che, purtroppo, si sarebbe realizzato solo per i superstiti di questa tragedia. Di lì a pochi mesi avrebbero avuto luogo, nel giugno 1973, il colpo di Stato civico-militare di Bordaberry in Uruguay e quello del generale Pinochet in Cile a settembre, dando inizio a una lunga e tristissima notte dei diritti umani e civili all’interno delle due repubbliche sudamericane.

michele.riccardidalsoglio@spazio70.com