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Inchiesta sull’omicidio di Antonio Annarumma (parte seconda)

Redazione Spazio70

Un lungo approfondimento, in tre parti, sull'omicidio della guardia di pubblica sicurezza della Celere di Milano, avvenuto per mano ignota il 19 novembre 1969

di Gianmarco Calore*

A seguito di colloquio telefonico avvenuto con il sig. Giovanni Magliocca (in data 1 dicembre 2013), dobbiamo apportare alcune importanti precisazioni che aiutano a comprendere meglio l’esatto svolgersi dei fatti.

LE PRECISAZIONI DI MAGLIOCCA

Magliocca ha tenuto infatti a precisare di non avere mai fatto parte dell’autocolonna impiegata in via Larga e che quel giorno, assieme ad altri militari, si trovava fin dalle 4:30 del mattino in via Pantano di fronte all’Assolombarda impegnato nell’analogo servizio di ordine pubblico che Annarumma stava disimpegnando presso il vicino teatro Lirico.

Egli smentisce conseguentemente di essersi trovato a bordo del gippone condotto da Annarumma, ma conferma di essere intervenuto in ausilio di quei militari verso mezzogiorno quando iniziarono gli scontri veri e propri.

Raggiunse pertanto via Larga in tempo per vedere la tragedia appena compiuta, con il giovane collega già steso a terra con la testa sfondata e chiaramente morto. Magliocca partecipò attivamente alle successive cariche per disperdere i facinorosi, adoperandosi con abnegazione per salvare la vita agli altri colleghi che nel frattempo erano stati affrontati anche con l’uso di stracci imbevuti di acido e bottiglie incendiarie.

La versione precedentemente riportata è stata estrapolata da alcuni quotidiani che evidentemente hanno utilizzato il nome di Magliocca per avvalorare determinate posizioni, essendo stato proprio quel militare a balzare agli onori della cronaca facendosi portavoce presso i suoi colleghi del messaggio dell’allora questore Guida che era intervenuto presso la caserma Sant’Ambrogio per sedare il principio di rivolta dei poliziotti: avendo infatti il questore una voce piuttosto roca, non riusciva a farsi sentire. Magliocca riferisce inoltre che nel tardo pomeriggio, quando i militari furono recuperati con alcuni torpedoni militari per essere ricondotti in caserma, tali veicoli dovettero passare tra due ali di folla i cui partecipanti, nonostante sapessero della morte di un Poliziotto, non esitarono a investire di sputi i suoi colleghi.

Su Antonio Annarumma, Magliocca offre un ulteriore precisazione: il giovane era un poliziotto particolarmente esperto nella conduzione dei gipponi nei cosiddetti «caroselli» dal momento che aveva frequentato il corso per autista consegnatario alla scuola di Foggia prima di essere assegnato al Terzo Celere di Milano.

IL «BIONDINO» DAL MAGLIONE ARANCIONE

Via Larga. Un’immagine degli scontri con la Polizia

Un particolare che non venne preso in debita considerazione nell’immediatezza dei fatti fu quello raccolto da Giampaolo Pansa da un giornalista presente sulla scena dei fatti (di cui però non viene citato il nome) e che riportiamo integralmente.

«Poi spostai lo sguardo verso il fondo di via Larga, dalla parte che sbuca in via Albricci,e mi accorsi di un gippone che correva rasente il marciapiede e che aveva già il lato sinistro del parabrezza infranto. Ad un tratto vidi un gruppo di dimostranti lanciare un gran numero di tubolari. Fu una questione di secondi: il gippone lo potevo vedere di fronte e osservai che l’autista aveva lo sguardo fisso, la bocca aperta, contratta e le braccia tese sul volante. Pensai: deve avere preso una botta. Poi il gippone passò davanti a me e osservai che dietro la nuca del pilota pendeva un lungo tubo di ferro. L’arnese, di color ruggine, era rimasto incastrato fra la nuca e il sedile di guida, era lungo e sfiorava l’asfalto perché lo sportello dell’automezzo era aperto.. Ebbi la percezione che stesse per accadere qualcosa di grave e seguii ancora la marcia del gippone. Il veicolo fece ancora una decina di metri, poi lo vidi improvvisamente sbandare: puntò a sinistra, poi a destra, poi ancora a sinistra verso il lato opposto della strada. Il gippone attraversò via Larga per tutta la sua larghezza e quindi si scontrò frontalmente con una jeep che sopraggiungeva in quel momento sull’altro lato della via. L’autista colpito venne raccolto dai colleghi. Sull’asfalto, accanto al veicolo, c’era una chiazza di sangue con tracce biancastre di materia cerebrale».

Un testimone, la cui deposizione venne ripresa dal giornalista Libero Montesi su L’Espresso, con la garanzia dell’anonimato dichiarò:

«Ero a pochi passi. Ho visto un gruppo di persone con sbarre di ferro. Quando è sopraggiunta una camionetta della Polizia, uno di loro ha alzato la sbarra contro l’agente che era al volante. L’agente ha abbassato la testa ma non è riuscito a evitare il colpo.  L’aggressore era un biondino giovane che indossava un maglione arancione, molto vistoso».

Quali furono le verifiche fatte su questa testimonianza e i tentativi di identificare il soggetto in essa descritto?

LE PERIZIE MEDICO-LEGALI E L’ESAME AUTOPTICO

Le indagini furono condotte da subito con la massima scrupolosità. Furono sequestrate decine di tubi innocenti da impalcatura lasciati nei pressi dei mezzi della Polizia coinvolti nella tragedia. Tutti uguali, tutti di due metri di lunghezza e di un diametro di 6 centimetri.

Fu accertato che i manifestanti si erano armati già prima di sferrare l’attacco alle Forze dell’ordine, prelevando quel materiale da un ponteggio in allestimento che si trovava circa alla metà di via Larga, quasi all’incrocio con via Rastrelli. Furono sequestrati anche bastoni e grosse aste di legno quadrangolari, nessuna tuttavia compatibile con le lesioni al cranio di Annarumma.

L’esame autoptico fu condotto subito dai medici legali più noti di Milano (professori Cattabeni, Luvoni e Pozzato) e la perizia non lasciò dubbi: la testa di Annarumma subì una perforazione circolare tondeggiante esattamente di 6 centimetri di diametro che comportò lo sfondamento della base cranica, del nucleo del cervelletto e la lussazione del rachide cervicale con fuoriuscita di materia cerebrale.

Ne riportiamo le esatte parole: «L’oggetto, probabilmente un tubo o una sbarra di metallo, ha colpito la vittima con violenza alla regione parietale destra, poco sopra l’occhio, procurandogli una vasta ferita con fuoruscita di materia cerebrale».

Il corpo contundente penetrò nella teca cranica per undici centimetri con andatura antero-laterale e con inclinazione di circa quindici gradi rispetto al piano longitudinale della strada. Il decesso di Annarumma fu pressoché istantaneo. Il medico legale individuò una compatibilità del novantacinque per cento tra la ferita letale riscontrata sulla vittima e i tubi innocenti sequestrati sul posto. Inoltre, il professor Staudacher (direttore del reparto di neurochirurgia del Policlinico), dopo il primo esame del cadavere, affermò senza mezzi termini (testuali parole): «E’ stato un vero e proprio colpo di lancia».

Anche in questo caso, a fronte di una valutazione scientifica super partes, molta carta stampata cercò di individuare come causa del decesso la collisione della testa di Annarumma contro il montante metallico del veicolo da lui condotto. E a suffragio di una tale teoria lanciò la prima grande mistificazione storica che ha accompagnato questa tragedia fino ai giorni nostri: l’artefatta confusione sui mezzi occupati dai singoli poliziotti.

 

JEEP O GIPPONE?

Il momento in cui Annarumma viene caricato su una Giulia della Polizia. Al Policlinico, un luminare della chirurgia d’urgenza, Vittorio Staudacher, ne constaterà la morte coniando l’efficace immagine del «colpo di lancia».

I veicoli coinvolti nello scontro furono due: un Gippone OM52 e una Campagnola AR59. Quale mezzo guidava Annarumma?

Chi volle accampare la tesi dell’incidente stradale, sostenne fino allo spasimo la teoria che Annarumma fosse alla guida della Campagnola AR59, che riportò i danni maggiori e il cui parabrezza era interamente chiazzato di sangue. Secondo queste versioni, Annarumma avrebbe quindi sbattuto contro il montante metallico che costituiva l’intelaiatura del parabrezza. In realtà, a bordo della Campagnola si trovava un brigadiere del Terzo Celere che occupava il posto del passeggero, mentre alla guida si trovava una guardia: entrambi rimasero contusi. Nelle panche posteriori c’erano altre tre guardie di P.s., a loro volta rimaste contuse nello scontro. Annarumma invece guidava il gippone OM52: non lo diciamo noi, lo dicono le foto scattate subito prima della tragedia, ma soprattutto lo dice l’ordine di servizio del Terzo Reparto Celere di Milano datato 18 novembre 1969 che comandava i singoli militari per quel servizio di ordine pubblico dislocandoli nei singoli mezzi.

L’autocolonna era composta da una jeep AR59 con a bordo il capo contingente e da cinque gipponi OM-CL e partì dalla caserma Mediterraneo alle 4:45 di quel 19 novembre 1969. Ciò non bastò a soffocare il fuoco della menzogna, visto che tuttora la tesi di Annarumma a bordo della jeep viene ancora accampata con forza e seguita con altrettanta veemenza.

Inoltre, un piccolo particolare che però può fare la differenza. Un particolare che era sotto gli occhi di tutti ma che a molti è apparentemente sfuggito. Guardate la foto che ritrae i mezzi coinvolti in primo piano. Cosa notate sul gippone di Annarumma? Il parabrezza lato guida è sfondato, ma all’esterno del veicolo non c’è la presenza di una sola scheggia di vetro. Non credete che, se effettivamente quel vetro fosse stato sfondato da una testata del conducente, almeno qualche frammento si sarebbe dovuto vedere? Invece non c’è assolutamente niente: i vetri sono caduti all’interno del mezzo perché furono sfondati da qualcosa che proveniva da fuori. Magari proprio un tubo innocenti…

 

*Gianmarco Calore è Assistente Capo presso la Polizia di Stato e amministratore del sito (e omonima pagina FacebookPolizianellastoria che, a tutt’oggi, rappresenta il più importante database videofotografico sulla storia della Polizia italiana