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«Va studiato a fondo». Julius Evola secondo Massimo Cacciari

Redazione Spazio70

Dal libro «Testimonianze su Evola» a cura di Gianfranco De Turris (Edizioni Mediterranee, 1985)

Massimo Cacciari è nato nel 1944 a Venezia, nella cui Università è docente di Estetica. È stato deputato del Partito Comunista Italiano per due legislature, nel 1976 e nel 1979. È nel comitato di direzione delle riviste Laboratorio politico e Il centauro. Ha pubblicato diversi saggi, tra cui: Krisis (Feltrinelli, 1976), Pensiero negativo e razionalizzazione (Marsilio, 1977), Dialettica e critica del politico (Feltrinelli, 1978), Dallo Steinhof (Adelphi, 1980), Le icone della legge (Adelphi, 1985).

«UN’AVVENTURA EMBLEMATICA»

Dimenticato, ostracizzato, calunniato, misconosciuto: comunque sia, Julius Evola è uno di questi «grandi dimenticati» da parte della cultura italiana di questo dopoguerra. Per quale motivo?

Ben altre sono state le «dimenticanze» della cultura o delle culture ufficiali! Si fossero limitate a rimuovere Evola e avessero «ricordato» Jünger e Guénon, Céline e Drieu e Brasillach — per non dire di Benn, Pound, ecc. ecc. Il fatto è che le cosiddette culture ufficiali sono prosperate lungo tutto il secondo dopoguerra grazie a queste loro essenzialissime «ignoranze» e grazie alla clamorosa leggenda che la cultura europea (e non) del Novecento fosse progressista e democratica naturalier…

Come considera, dunque, questa «dimenticanza», questa «ignoranza» da parte della cultura che si definisce «di sinistra»: è stato un bene o un male? Un evento positivo o negativo?

È stato — e basta. Direi, è stato necessario. Dopo l’esperienza nazista e fascista, e dopo la guerra, sarebbe stato caso ben «meraviglioso» un’autentica capacità di distinzioni, analisi, di giudizio articolato. Alcuni degli autori che sopra ho citato (Schmitt meglio di chiunque altro) sono stati, infatti, da buoni maestri del pessimismo disincantato, gli ultimi a meravigliarsi dell’ostracismo cui erano fatti oggetto. Inoltre, si tratta quasi sempre di scrittori europei… e non era finita anche l’Europa con la seconda guerra mondiale?

Esiste per lei una «molla» che ha fatto scattare nella «cultura di sinistra» quello che mi pare non tanto un vero e proprio interesse per Evola, come per altri autori a suo tempo posti all’indice, quanto perlomeno la fine di un tabù per cui adesso si può affrontare il suo pensiero e al limite «salvarne» anche alcuni aspetti specifici (il lato «esoterico», quello «artistico», quello «filosofico» ecc.) ?

Nella cultura di «sinistra» non vi è nessun segno di interesse né per Evola né per la stragrande maggioranza dei, ben più importanti autori, autori sopra citati. Vi è interesse per queste correnti della cultura europea in studiosi di varia provenienza, ma che ormai, consapevolmente o inconsapevolmente, si muovono al di fuori di questi Termini sacri (Sinistra, Destra). Certo, anche a Sinistra-Sinistra sono rimasti in pochi a mettere all’«indice» — ma da qui a parlare di «vero e proprio interesse»… Quale molla ha fatto cessare il «dagli all’untore»? Null’altro, penso, che il tempo trascorso — ed una comprensibile stanchezza nel ripetere le buone, antiche menzogne.

L’attuale «scoperta» di quegli autori, di cui Evola è stato uno dei massimi interpreti e diffusori in Italia, non ritiene che possa essere considerata come una sua vittoria postuma? Oltre a Nietzsche, penso soprattutto a Spengler, Weininger, Michelstaedter, Bachofen, Meyrink, autori dell’area tedesca e mitteleuropea.

Sì, penso che l’interesse per Evola sia soprattutto un interesse «di riflesso». La «scoperta» dei suoi autori ha comportato anche, almeno in parte, una qualche lettura di Evola (parlo sempre degli ambiti culturali non di destra o non provenienti da destra). Non parlerei, però, di Nietzsche, lo studio del quale si è sviluppato secondo linee del tutto autonome, né di Michelstaedter. Epperò, sono proprio questi, a mio avviso, i temi su cui è più debole il contributo di Evola. I suoi studi su Bachofen (che avrebbe potuto costruire il suo vero apporto alla cultura italiana — anche in questi anni) sono deboli e, a volte, letteralmente mistificanti. L’analisi scientifica è costantemente soffocata dal pregiudizio ideologico. No, non credo proprio che Evola sarebbe una buona guida per la riscoperta dell’ «altro» romanticismo, da Creuzer a Bchofen, e tantomeno per la letteratura mitteleuropea. E neppure per la cosiddetta rivoluzione conservatrice (Spengler).

Ed infine un suo giudizio, un giudizio che mi pare lei possa dare senza partito preso: Evola ha una sua soggettiva importanza nella cultura italiana ed europea? O invece lo si deve considerare un autore «minore»? Ed in questo caso, in che senso?

Evola è senz’altro un «minore» — ma visto nell’ambito europeo. Allora sì, è un «minore» rispetto ai nomi già citati. E ancor più rispetto ai Guénon e ai Coomaraswamy — o ad altri saggisti «tradizionali». Troppo spesso le sue ricerche sono di seconda mano. Ma la definizione non vuole avere nulla di «spregiativo» o svalutativo. A me personalmente dà non poco fastidio l’assillo «politico» di Evola — o, per meglio dire, positivo, fattivo — che spesso comporta paurosi stravolgimenti del senso delle correnti che interpreta. Ma rimane un autore che deve essere collocato a pieno titolo nell’ambito del pensiero tradizionalista europeo di questo secolo. E rimane anche quel personaggio che permette di scoprire, con la massima chiarezza, gli intrinseci rapporti tra questo pensiero e certe correnti delle cosiddette avanguardie. In questo senso, l’esperienza di Evola è rivelatrice, e nient’affatto «minore». Evola va studiato a fondo a partire dagli anni «dada». Allora, sì, la sua avventura assume certi aspetti emblematici, e una statura europea. Un lavoro ancora tutto da fare.