Qui potrai trovare una vasta rassegna di materiali aventi ad oggetto uno dei periodi più interessanti della recente storia repubblicana, quello compreso tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Ottanta del secolo scorso.
Il sito comprende sei aree tematiche e ben ventidue sottocategorie con centinaia di pezzi su anni di piombo, strategia della tensione, vicende e personaggi più o meno misconosciuti di un’epoca soltanto apparentemente lontana. Per rinfrescare la memoria di chi c’era e far capire a chi era troppo giovane o non era ancora nato.
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Ultimi giorni di settembre 1975. Daniela Colasanti e Rosaria Lopez, rispettivamente di 17 e 19 anni, vengono invitate a una festa privata da tre ragazzi dell’alta borghesia romana – Gianni Guido, Angelo Izzo e Andrea Ghira – conosciuti presso un famoso locale situato in zona Eur a Roma. Andrea Ghira, figlio di un noto imprenditore della capitale nonché grande ammiratore del cosiddetto clan dei marsigliesi e del loro leader Jacques Berenguer, è già stato condannato per rapina a mano armata nel 1973 scontando venti mesi di reclusione. Angelo Izzo, studente di medicina e figlio di un costruttore, ha invece violentato due ragazzine nel 1974: la condanna è stata per lui particolarmente lieve – due anni e mezzo di reclusione – neppure interamente scontata, grazie alla condizionale. Gianni Guido, studente di architettura e figlio di un dirigente bancario, è l’unico a essere incensurato. La sarabanda di violenza e morte inizia e si conclude nella villa di Ghira a San Felice Circeo, nella zona della Moresca. Secondo il racconto di Donatella Colasanti, uno dei ragazzi avrebbe subito tirato fuori la rivoltella affermando di far parte della «Banda dei Marsigliesi»: l’ordine del leader Berenguer sarebbe stato appunto quello di rapire le due ragazze. A seguito di questa dichiarazione, la Colasanti e la Lopez vengono ripetutamente violentate, percosse e drogate per trentasei ore: la Lopez portata nel bagno, verrà annegata nella vasca. Ghira, Izzo e Guido tenteranno poi di strangolare Donatella Colasanti, tramortendola poi con una sprangata sul capo. Creduta morta, la ragazza verrà caricata, assieme al cadavere della Lopez, dentro il bagagliaio di una FIAT 127 intestata al padre di Guido.
Alcune ore più tardi, Donatella Colasanti, salvatasi miracolosamente, prova ad attirare l’attenzione dei passanti: i carabinieri arrivano sul posto solo grazie a una donna messa in allarme dai lamenti provenienti dal bagagliaio dell’auto. Izzo e Guido vengono catturati nel giro di poche ore mentre Ghira – forse a causa di una soffiata – non verrà mai preso. La Colasanti, ricoverata in ospedale, ha subito gravi lesioni e pesantissimi danni psicologici: sarà rappresentata in giudizio dall’avvocatessa Tina Lagostena Bassi.
Il primo grado si risolve con tre ergastoli a testa per Izzo, Guido e Ghira (quest’ultimo in contumacia). I giudici non concedono alcuna attenuante. Durante il processo di primo grado svoltosi a Latina, Angelo Izzo urla contro la Colasanti affermando che «mente sapendo di mentire». La ragazza risponde davanti alle telecamere del Tg2: «Izzo è un vigliacco, è un vigliacco e basta. Hanno voluto fare i grandi con noi che eravamo delle ragazzine, però adesso tremano quando devono parlare…È una stupida farsa, se vede benissimo che recita, recita pure male». Per il pubblico ministero Vito Giampietro «non vi è follia nel comportamento di Guido e di Izzo e di Ghira, non vi è la follia che ottunde il sentimento, che ottenebra la volontà, che obnubila il cervello. Il delitto è lucido, freddo, spietatamente voluto per il perseguimento di un fine ben determinato!».
Dopo il processo il giornalista Giuseppe Marrazzo intervista il Pm Giampietro.
Lei non ha avuto esitazioni a chiedere l’ergastolo?
«Assolutamente»
Non le è passato per la mente neanche per un momento il bisogno di una perizia psichiatrica di tre giovani che uccidono in quel modo?
«Assolutamente no»
Perché?
«Perché li ritengo del tutto sani di mente”».
Intanto Ghira, che è latitante, scrive a Izzo e Guido: «Non mi avranno mai. Vi assicuro che quella bastarda la faccio fuori, per voi non c’è pericolo, a fine anno ’76 uscirete per libertà provvisoria. Anche se sanno tutto, questi bastardi faranno una brutta fine anche loro. Comunque non vi preoccupate per la mia latitanza ho circa 13 milioni di lire, forse andrò via da Roma. Per quanto riguarda quella stronzetta, farà la fine della Lopez. State calmi, a presto».
Sulla sorte di Ghira vi sono stati a lungo dei dubbi: si sarebbe arruolato presso la legione straniera spagnola per poi essere espulso a causa dell’abuso di stupefacenti. L’espulsione sarebbe avvenuta nel 1994, anno della presunta morta per overdose. Sarebbe dunque stato seppellito sotto falso nome nel Marocco spagnolo. Esiste però una foto del 1995 che ritrae un uomo con le fattezze del Ghira, scattata presso la periferia romana dai carabinieri, sottoposta ad analisi computerizzata con esito finale positivo. Diverse segnalazioni circa la possibile presenza del Ghira sono pervenute da varie parti del mondo.
Guido e Izzo durante una rivolta carceraria nel 1977 prenderanno in ostaggio una guardia tentato, senza successo, di evadere dal penitenziario di Latina. La sentenza per Guido viene modificata nel 1980 e ridotta a trent’anni di reclusione, considerando il pentimento dell’uomo e l’accettazione da parte delle famiglie offese di un risarcimento danni. Lo stesso Guido evade dal carcere di san Gimignano nel 1981 e ripara in Argentina, Paese nel quale viene catturato nel giro di due anni. In attesa dell’estradizione in Italia, riesce nuovamente a far perdere le proprie tracce nel 1985 per poi essere definitivamente riacciuffato a Panama nel 1994.
Anche Izzo farà parlare di sé: nel 1985 fa sapere agli inquirenti che è deciso a collaborare: diventa un pentito «buono per tutte le stagioni», rilasciando dichiarazioni che vanno dall’eversione di destra alla mafia. Nell’agosto del 1993, approfittando di un permesso, non rientra nel carcere di Alessandria e fa perdere le proprie tracce. Dopo quindici giorni viene arrestato a Parigi. Nel 1995 ricomincia a fare rivelazioni. Nel 2004 i giudici di Palermo decidono di concedergli la semilibertà. Non appena fuori, uccide due donne: Maria Carmela Linciano (49 anni) e Valentina Maiorano (14 anni), rispettivamente moglie e figlia di un pentito della Sacra Corona Unita che Izzo aveva conosciuto durante la sua permanenza presso il carcere di Campobasso. Nell’aprile del 2005 le due donne vengono legate e soffocate per poi essere sepolte presso il giardino di una villetta in provincia di Campobasso. Nel 2007 Izzo viene condannato, per questo nuovo fatto di sangue, all’ergastolo (confermato in appello).
Donatella Colasanti muore nel 2005 a 47 anni. Avrebbe voluto assistere al nuovo processo a carico di Izzo. Nel 2008 Gianni Guido è affidato ai servizi sociali dopo quattordici anni di carcere a Rebibbia. Ha finito di scontare la pena ad agosto 2009. A fronte di una condanna a trent’anni di reclusione, ne ha scontati ventidue: più volte fuggito all’estero, ha trascorso undici anni latitante fuori dai confini nazionali.
Letizia Lopez, sorella di Rosaria: «Il signor Guido non ha affatto scontato la sua pena: è andato in Argentina, è scappato all’estero, ha fatto gran parte della condanna ai servizi sociali, ha usufruito di permessi. Ma insomma mi chiedo con quale coraggio una persona così con quello che ha fatto, e senza mostrare pentimento, ora giri libero per Roma?».
Il racconto di Donatella Colasanti, pochi giorni dopo la liberazione: «Tutto è cominciato una settimana fa, con l’incontro con un ragazzo all’uscita del cinema che diceva di chiamarsi Carlo, lo scambio dei numeri di telefono e la promessa di vederci all’indomani insieme ad altri amici. Con Carlo così, vengono Angelo e Gianni, chiacchieriamo un po’, poi si decide di fare qualcosa all’indomani, io dico che non avrei potuto, allora si fissa per lunedì. L’appuntamento è per le quattro del pomeriggio. Arrivano solo Angelo e Gianni, Carlo, dicono, aveva una festa alla sua villa di Lavinio, se avessimo voluto raggiungerlo… ma a Lavinio non arrivammo mai. I due a un certo punto si fermano a un bar per telefonare a Carlo, così dicono; quando Gianni ritorna in macchina dice che l’amico avrebbe gradito la nostra visita e che andassimo pure in villa che lui stava al mare. La villa era al Circeo e quel Carlo non arrivò mai. I due si svelano subito e ci chiedono di fare l’amore, rifiutiamo, insistono e ci promettono un milione ciascuna, rifiutiamo di nuovo. A questo punto Gianni tira fuori una pistola e dice: “Siamo della banda dei Marsigliesi, quindi vi conviene obbedire, quando arriverà Jacques Berenguer non avrete scampo, lui è un duro, è quello che ha rapito il gioielliere Bulgari”. Capiamo che era una trappola e scoppiamo a piangere. I due ci chiudono in bagno, aspettavano Jacques. La mattina dopo Angelo apre la porta del bagno e si accorge che il lavandino è rotto, si infuria come un pazzo e ci ammazza di botte, e ci separano: io in un bagno, Rosaria in un altro. Comincia l’inferno. Verso sera arriva Jacques. Jacques in realtà era Andrea Ghira, dice che ci porterà a Roma ma poi ci hanno addormentate. Ci fanno tre punture ciascuna, ma io e Rosaria siamo più sveglie di prima e allora passano ad altri sistemi. Prendono Rosaria e la portano in un’altra stanza per cloroformizzarla dicono, la sento piangere e urlare, poi silenzio all’improvviso. Devono averla uccisa in quel momento. A me mi picchiano in testa col calcio della pistola, sono mezza stordita, e allora mi legano un laccio al collo e mi trascinano per tutta casa per strozzarmi, svengo per un po’, e quando mi sveglio sento uno che mi tiene al petto con un piede e sento che dice: “Questa non vuole proprio morire”, e giù a colpirmi in testa con una spranga di ferro. Ho capito che avevo una sola via di uscita, fingermi morta, e l’ho fatto. Mi hanno messa nel portabagagli della macchina, Rosaria non c’era ancora, ma quando l’hanno portata ho sentito chiudere il cofano e uno che diceva: “Guarda come dormono bene queste due».
Edda Billi, Associazione Federale Femministe Italiane: «Questo processo ha dato una presa di coscienza a una nazione intera, ci sono stati uomini che si sono vergognati di essere uomini, questo vuol dire molto; è cambiato il costume. Fino ad allora lo stupro era considerato delitto contro la morale, da quel momento furono gettate le basi per la futura legge che all’Articolo 1 dice: La violenza sessuale è delitto contro la persona».
Anita Pasquali, Associazione Federale Femministe Italiane: «Per esempio fare una ferita al braccio è un delitto contro la persona, lo stupro invece non era un reato contro la persona, ma contro la dignità che sappiamo che, come la morale, è un concetto astrattissimo che si può tirar di qui, tirar di là…».
Lo storico Giordano Bruno Guerri, a proposito della costituzione del movimento femminile al processo: «È evidentemente un assurdo giuridico perché le donne avevano comunque dignità pari agli uomini già dal ’46 quando si votava ecc…Quindi non ha senso; però ha un senso storico perché le donne erano oggettivamente in uno stato di inferiorità, nonostante le leggi, per tradizione e per abitudini, e il movimento femminista del ‘68 stava alzando il tiro pretendendo di più per una parità vera. Individuò quindi nella violenza del Circeo un punto di attacco per creare un problema».