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«Le justicier». Vita e morte del giudice Pierre Michel

Redazione Spazio70

Ricordare e approfondire la figura di Michel, ucciso a Marsiglia il 21 ottobre 1981, permette di comprendere meglio quanto anche in Francia, a cavallo tra anni Settanta e Ottanta, vi fosse un sistema criminale profondamente radicato

di Tommaso Minotti

In Italia, la figura del giudice-martire è qualcosa di molto familiare. La lotta alla mafia e contro il terrorismo hanno causato numerose vittime tra le file della magistratura nostrana. In Francia, dove negli anni non sono mancati eventi criminali legati al banditismo, gli attentati ai giudici rappresentano avvenimenti rari. Sono infatti due gli esponenti della magistratura assassinati dal dopoguerra a oggi.

Il primo è Francois Renaud, ucciso a Lione il 3 luglio 1975 da killer ancora ignoti. Il secondo è Pierre Michel, ucciso il 21 ottobre 1981 a Marsiglia. Il caso di Michel è tanto tragico quanto interessante. Approfondire la sua figura e le sue indagini permette di comprendere meglio quanto, a cavallo tra anni Settanta e Ottanta, fosse profondamente radicato il sistema criminale transalpino.

UN INSEGNANTE DI SCIENZE CHE SCEGLIE DI DIVENTARE GIUDICE

Il giudice Pierre Michel

Il giudice Pierre Michel

Pierre Michel nacque nel 1943 in Occitania. Cresciuto in una famiglia di avvocati, si trasferì a Marsiglia nel 1973 per seguire la moglie insegnante. Il passaggio dalla piccola cittadina di Saint-Amans-Soult alla metropoli provenzale fu molto importante. Michel era stato, fino a quel momento, insegnante di scienze naturali in un liceo. Tuttavia, con l’arrivo a Marsiglia, decise di cambiare radicalmente la propria vita diventando uditore giudiziario. Nel corso di questa sua esperienza, conobbe il giudice René Saurel, un vero e proprio maestro per Michel. Saurel aveva lungamente combattuto la cosiddetta French Connection e i suoi insegnamenti si rivelarono decisivi nel corso della carriera di Michel. Quest’ultimo, dopo la necessaria formazione universitaria, divenne giudice istruttore di Marsiglia nel 1974. Trascorse il primo periodo da magistrato nel tribunale dei minorenni e poi nell’antidroga. Ma i primi casi di caratura nazionale che lo coinvolsero riguardavano rispettivamente un omicidio e lo smantellamento di una rete di prostituzione.

Tra il 1974 e il 1976 Pierre Michel, infatti, indagò sul rapimento e l’uccisione di Maria-Dolores Rambla, una bambina di otto anni, da parte di Christian Ranucci. Egli fu il terzultimo condannato a morte della storia francese e la sua vicenda ebbe una fortissima risonanza mediatica. Non furono pochi coloro che ritenevano Ranucci innocente, ma Michel, nonostante qualche dubbio, si dimostrò sempre sicuro della sua colpevolezza. Il giovane giudice riuscì anche a fermare un giro di prostituzione organizzato dal secondo reggimento dei paracadutisti della Legione Straniera di stanza a Calvi, in Corsica. Il cosiddetto pouf, mascherato da centro culturale, vedeva coinvolti sia militari sia civili.

L’ASCESA NELLA MAGISTRATURA

Nello stesso anno in cui teneva banco la questione del pouf di Calvi, Michel approdò al Tribunale di grande istanza di Marsiglia. Avrebbe dovuto sostituire momentaneamente René Saurel, come responsabile della lotta alla criminalità organizzata. Tuttavia, da incarico temporaneo, il ruolo di Michel divenne definitivo. Saurel era stato il protagonista di una decisiva offensiva giudiziaria contro la cosiddetta French Connection. Il mondo criminale marsigliese era stato messo in seria difficoltà. Anche a causa delle capacità di Saurel, gli anni Settanta furono un periodo di rimodulazione del milieu. A differenza dell’Italia, dove si andava strutturando il potere verticistico di Cosa Nostra, a Marsiglia e in Francia il panorama era caratterizzato da una certa frammentazione. L’unico elemento comune alle varie bande che componevano la galassia criminale transalpina era l’avversione per la polizia e i suoi metodi.

In questo panorama così sfaccettato, le alleanze erano un fattore fondamentale. Tenendo ben presente questo elemento, si può facilmente spiegare l’ascesa di Gaetan Zampa, personaggio fatale nella storia del giudice Michel. Zampa, figlio di un malavitoso campano che si faceva chiamare Mathieu, una volta trasferitosi in Francia, fu capace di costruire attorno a sé una rete di amicizie decisive. Paolo Monzini, nel saggio breve Il caso Marsiglia, in cui parla delle organizzazioni mafiose presenti nella città provenzale, definisce Zampa «l’occhio della mafia» perché la sua affermazione può essere vista come «un riflesso dell’egemonia siciliana nell’area mediterranea» e il suo clan, capace di cooperare «con gruppi criminali di Palermo e milanesi», sarebbe stato «un rappresentante degli interessi mafiosi» in Francia. E aggiunge: «L’ascesa di Zampa, che impone una nuova forma di controllo del territorio, è favorita dall’alleanza con i trafficanti siciliani, e dall’accesso a mercati illegali molto ricchi».

Gaetan Zampa estese la sua influenza, oltre che su Marsiglia, anche su Aix-En-Provence e sulle zone circostanti. Era un uomo violento, duro e capace di partecipare in prima persona agli omicidi che commissionava. Riuscì, in un tempo relativamente breve, a far rinascere un sistema criminale unitario, attorno al suo clan. Il pizzo sui locali notturni, le macchinette per il gioco d’azzardo e il racket sugli hotel del turismo marsigliese erano, insieme alla droga, le sue principali fonti di ricchezza. Zampa non si faceva problemi a ostentare la sua ricchezza e questo gli attirò non poche attenzioni, anche da parte dell’autorità giudiziaria.

LA LOTTA CONTRO LA MAFIA

Una foto giovanile di Gaetan «Tony» Zampa

Una foto giovanile di Gaetan «Tony» Zampa

Come si accennava in precedenza, il traffico di droga rappresentava un altro settore dove la collaborazione franco-italiana era proficua. I clan marsigliesi avevano perso da decenni il controllo sul traffico dell’eroina verso gli Stati Uniti, ma si erano efficacemente riciclati come esperti tecnici di laboratorio, necessaria manovalanza per la mafia siciliana. Gran parte dell’eroina che inondava il mercato nordamericano era prodotta da tecnici francesi, in laboratori sparsi per l’Europa che avevano il proprio centro gestionale nel quartiere Opera di Marsiglia, sede di numerosi traffici. Proprio per queste ragioni, Pierre Michel collaborò a più riprese con i magistrati italiani che stavano lottando contro Cosa Nostra. Il giudice francese si fece aiutare anche dalla DEA —l’agenzia antidroga statunitensecon la quale cooperò nel caso Zampa.

Per combattere questa complessa galassia criminale, Michel adoperò un metodo nuovo. Decise, infatti, di stringere un rapporto più stretto con la polizia. Due suoi importanti collaboratori furono Gerard Girel e Lucien Aimé-Blanc. Girel è stato commissario del Service Regional de Police Judiciarie dal 1976 al 1982. Aimé-Blanc guidò la squadra narcotici della polizia marsigliese. La costante presenza tra commissariati e poliziotti rese Pierre Michel molto amato in questo ambiente, come suffragato da numerose testimonianze. E i successi non si fecero attendere. Decine furono i trafficanti arrestati, da record i sequestri di eroina e molte le reti criminali inevitabilmente devastate dall’azione indagatrice del giovane giudice.

Tra le sue azioni più memorabili non si può non citare quella avvenuta l’8 luglio 1981. In quella occasione Michel, aiutato dalla sezione narcotici di Marsiglia e dalla DEA, guidò i gendarmi in un raid contro un laboratorio finalizzato alla trasformazione della morfina in eroina. Questa sorta di opificio della droga era gestita dal clan Zampa. Dieci le persone arrestate, ventisette kg di eroina sequestrati e innumerevoli le armi tolte dalle strade. Tra gli arrestati c’era un tale Mitzigar Nazarian. Personaggio criptico, millantò l’appartenenza al Partito socialista francese, di cui si disse che aveva simpatia anche Michel. Nazarian vantava un legame di parentela stretto con un consigliere comunale di Marsiglia. Era, infatti, fratello di Ralfi Nazarian, considerato all’epoca molto vicino al sindaco Gaston Defferre. Venne anche arrestato uno dei soci d’affari di Zampa, Homère Filippi. Il cerchio attorno al boss, grazie alle abilità investigative di Michel, si faceva così sempre più stretto.

La soffiata decisiva su Gaetan Zampa arrivò, tuttavia, all’orecchio di Pierre Michel grazie a Marc Chambault, uno dei numerosi arrestati nel corso del raid dell’8 luglio. Sulla sua agenda, rinvenuta nel laboratorio, si trovava il numero del boss. Grazie alla mediazione della DEA, che assicurò a Chambault una nuova vita e una nuova identità negli Stati Uniti, il tecnico di laboratorio si disse pronto a parlare con il giudice Michel. Era il 21 ottobre 1981. Ma ora occorre fare un passo indietro.

IL CONTESTO MARSIGLIESE TRA ANNI SETTANTA E OTTANTA

Come già detto, i clan marsigliesi degli anni Ottanta e Novanta si erano adattati al nuovo mercato e avevano abbracciato la carriera di tecnici dell’eroina, il cui traffico era oramai in mano alle famiglie siciliane. La cooperazione si sviluppava a livello europeo, tant’è che Pierre Michel e i suoi omologhi italiani, sul cui rapporto si tornerà a breve, smantellarono laboratori nell’Alta Loira, a Palermo, a Milano e persino a Ginevra. Erano operazioni che avevano permesso di demolire parti importanti di quella che venne definita French-Sicilian connection. L’oppio arrivava dalla Turchia, veniva raffinato in giro per l’Europa dai tecnici francesi, specialmente gravitanti attorno al milieu marsigliese, per poi essere venduto dai siciliani negli Stati Uniti. Il giudice Michel, grazie al suo lavoro, scoprì e smantellò ben sei laboratori.

Nel frattempo, doveva occuparsi anche dell’ondata di violenza che colpì Marsiglia tra la fine degli anni Settanta e gli inizi degli anni Ottanta. Il caso del massacro del cosiddetto Bar du telephone, avvenuto il 3 ottobre del 1978, è paradigmatico del clima che si respirava in quella città. Tre killer entrarono in un bar e uccisero dieci persone. I poliziotti intervenuti sul luogo della carneficina descrissero la scena come un episodio dell’inferno dantesco, con il sangue che arrivava alle caviglie. Il massacro sembrava senza senso. Sei delle dieci vittime erano conosciute dalla polizia, ma erano ritenuti criminali di poco conto. Inoltre, quattro assassinati erano totalmente ignoti alle forze dell’ordine non avendo precedenti penali. L’ipotesi che emerse era quella di un omicidio mirato sfuggito tragicamente di mano. Fu un errore? Il delitto non è mai stato risolto e quando Michel fu assassinato il dossier dell’omicidio era ancora sulla sua scrivania.

I LEGAMI CON L’ITALIA

Gerlando Alberti, detto «U'Paccarè», in una foto risalente agli anni Settanta

Gerlando Alberti, detto «U’Paccarè», in una foto risalente agli anni Settanta

Michel, nel corso dei primissimi anni Ottanta, approfondì anche la collaborazione con i suoi colleghi italiani, molto attivi nella lotta alla mafia. Nell’estate del 1980, mentre il giudice francese smantellava vari laboratori grazie all’aiuto di DEA e magistratura del Belpaese, venivano uccisi il giudice Gaetano Costa —procuratore capo di Palermo che fu tra i primi, tra il gennaio del 1978 e l’agosto del 1980, ad approfondire i legami finanziari ed economici dei clan mafiosi— e Carmelo Iannì, collaboratore della polizia. Iannì fu decisivo per l’arresto di Gerlando Alberti, detto U’Paccarè, ex amico di Buscetta e punto di riferimento di Cosa Nostra a Milano.

Alberti venne fermato dalle autorità italiane in un laboratorio di eroina insieme a tre tecnici marsigliesi, —Daniel Bozzi, Dominique Quilichini e Jean-Claude Ranem— su cui stava indagando proprio Michel. Quest’ultimo, a fine luglio, era arrivato in Sicilia di persona e aveva scoperto che i tre cittadini francesi alloggiavano a Carini, nel palermitano, dove si trovava il laboratorio, capace di produrre fino a mezza tonnellata di eroina al mese. Sull’isola si trovava anche André Bousquet, chimico esperto nella raffinazione dell’eroina.

Così, a fine agosto, si decise di intervenire. Le forze dell’ordine irruppero nel laboratorio di Carini dove arrestarono proprio i tre tecnici marsigliesi e Alberti. Questa operazione arrivò al culmine di un periodo di crescente collaborazione tra il giudice francese e quelli italiani, soprattutto Giovanni Falcone, Giovanni Barrile e Giusto Sciacchitano. Sulla figura di Sciacchitano, parecchio discussa, vale la pena soffermarsi. In un’intervista apparsa sulla testata telematica Linkiesta, il 5 dicembre 2012, Michele Costa, figlio di Gaetano Costa, accusò l’allora nuovo procuratore aggiunto della Direzione Nazionale Antimafia, di essere «una potenza clericale» che aveva ostacolato il lavoro del padre.

Tornando a Pierre Michel e ai giudici italiani, l’importanza dei loro contatti è fondamentale se si tiene presente che il rapporto tra i criminali marsigliesi, in primis Zampa, e Cosa Nostra era profondo e duraturo. Prima dell’agosto del 1980, con il già citato arresto di Alberti in un laboratorio di eroina, ci fu lo smantellamento di un centro per il traffico degli stupefacenti vicino a Milano, territorio di U’Paccarè. Tutte queste operazioni erano frutto di una proficua collaborazione tra magistratura transalpina e cisalpina.

L’OMICIDIO MICHEL

Mercoledì 21 ottobre 1981 Pierre Michel era concentrato sulla prossima confessione di Marc Chambault. Arrivato in Procura a metà mattinata, sua figlia Beatrice aveva cercato di contattarlo senza successo, come gli riferì Michel Debacq, il suo uditore. I due parlarono per svariati minuti finché Michel lo lasciò per incontrare Etienne Ceccaldi, sostituto procuratore di Marsiglia e suo amico. Ceccaldi e Michel si sarebbero dovuti incontrare nuovamente nel pomeriggio, per discutere di un caso. Ceccaldi aveva proposto a Michel di uscire a mangiare assieme, ma quest’ultimo aveva promesso di tornare a casa da moglie e figlie. Abitavano al 4 di boulevard Marin. Michel, che viaggiava in motocicletta, aveva preso l’abitudine di cambiare percorso per tornare a casa. Una sorta di precauzione autoimposta, conscio dei pericoli che correva a causa delle sue indagini. Nonostante ciò, attorno alle 12.45, per la precisione alle 12.49, una Honda rossa di potente cilindrata affiancava il mezzo di Michel davanti al 280 di boulevard Michelet. Uno dei due killer sparò tre colpi, due di essi colpirono il giudice alla testa, uno al petto. Le justicier era morto, a soli 38 anni.

L’omicidio Michel scosse la Francia, ma l’inchiesta, affidata a Patrick Guerin, languiva. L’unico indizio in possesso degli inquirenti era un’impronta digitale su un adesivo della moto usata per l’assassinio, ritrovata 48 ore dopo l’agguato in un parcheggio. Il primo fermato, Charles Giardina, proprietario della Honda rossa, risultava legato a Gilbert Ciaramaglia e Daniel Danty, considerati vicini a Zampa. I due vennero arrestati, ma non risultava nessuna prova decisiva a loro carico. Furono, così, rilasciati. La svolta ci fu solo quattro anni dopo l’omicidio.

Il 21 ottobre 1985, in Svizzera, furono arrestati i tecnici di laboratorio Francois Scapula e Philippe Wiesgrill. I due, inaspettatamente, vuotarono il sacco sul caso Michel. I mandanti, secondo la loro confessione, erano Homère Filippi, finanziatore di Zampa e suo strettissimo sodale, e Francois Girard detto Francis Le Blond. Gli esecutori materiali erano, invece, Charles Altieri e Francois Checchi. Tutti considerati legati a vario titolo a Zampa, morto suicida in carcere nel 1984. Inizialmente gli accusati respinsero le accuse, ma la confessione di Checchi arrivò nel 1988.

Nel giugno del 2010, si giustificò così in un’intervista a La Provence: «Ammetto senza ombra di dubbio di essere l’autore di questo atto, di cui mi pento profondamente, ma ero convinto di partecipare a un semplice regolamento di conti tra teppisti per aiutare il mio amico d’infanzia, Charles Altiéri, che era stato minacciato da un “libanese” per denaro. Mi hanno mentito, manipolato. È un casino. Irreparabile. Per tutti». Altieri, Checchi, Girard e Filippi furono condannati all’ergastolo —Altieri e Filippi in contumacia visto che all’epoca erano latitanti. Filippi, scappato nel 1981, rimase tale e non fu mai più ritrovato. Non si sa se morì di tumore o fu ucciso in un regolamento di conti. Nel 2014 Checchi e Altieri hanno beneficiato di alcuni sconti di pena, rispettivamente semi-libertà e libertà condizionale. Sia Filippi sia Checchi avevano stretti legami con Zampa e con Cosa Nostra.

LA PISTA ITALIANA

La storia di Michel, nonostante i suoi riflessi sull’Italia per niente trascurabili, è poco conosciuta da questo lato delle Alpi. Tuttavia, ci sono anche coloro che si sono interessati al caso. Il Fatto Quotidiano ha intervistato Michel Debacq, collaboratore sia di Michel sia di Falcone. Egli afferma che fu proprio quest’ultimo, in occasione di una commemorazione di Michel, a dirgli di voler indagare sui mandanti italiani dell’omicidio del giudice marsigliese. Mandanti, si ipotizza, legati al già citato Gerlando Alberti, U’Paccaré, ovvero l’imperturbabile, arrestato proprio grazie alle indagini di Michel.

Debacq, sempre sul Fatto Quotidiano, afferma che Antonino Calderone, pentito di Cosa Nostra, riconobbe nell’omicidio un’impronta anche italiana. Per Debacq, infatti, uno dei moventi dietro l’omicidio di Michel potrebbe essere la vendetta di Alberti e del clan di Porta Nuova che aveva contatti con i chimici marsigliesi. Debacq ipotizza anche una sorta di cooperazione tra italiani e francesi per l’omicidio di Michel. Si tratta di dichiarazioni che hanno un valore particolare se si considera che fu proprio Debacq, dopo Michel, a portare avanti le indagini sulla cosiddetta Pizza Connection.

L’assassinio del giudice Michel è stato il prodotto di quell’isolamento che venne affrontato anche da molti giudici italiani coinvolti in indagini su terrorismo e soprattutto criminalità organizzata. Le justicier usava metodi poco ortodossi, come l’incarcerazione delle compagne dei malavitosi, e amava essere fisicamente presente tra i poliziotti seguendo un modus operandi che molti suoi colleghi non comprendevano. La mafia, in Francia, era un argomento poco approfondito e poco conosciuto. Resta il fatto che la sua figura, persa un po’ nella nebbia di anni estremamente violenti, aveva una profondità internazionale degna di nota. I suoi contatti con l’ambiente giudiziario italiano, con Falcone in primis, rendono Pierre Michel un personaggio molto interessante. Approfondire la cosiddetta pista italiana, adombrata da Debacq, e riconoscere l’importanza storica della figura di Michel sarebbe un modo per rendergli giustizia.