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«La prepotenza del PCI cacciata dall’Università»: i disordini al comizio di Lama secondo Lotta Continua (1977)

Redazione Spazio70

Dal quotidiano Lotta Continua del 19 febbraio 1977

Giovedì 17 febbraio 1977: l’università è occupata da quindici giorni da migliaia di studenti e lavoratori precari contro la riforma Malfatti, contro i fascisti che hanno sparato a Bellachioma, contro le squadre speciali che hanno sparato in p.zza Indipendenza. Di mano in mano si sono unite altre facoltà: da Palermo, a Bari, da Milano a Torino, da Venezia a Bologna, da Firenze, Pisa, Cagliari, Napoli. Negli ultimi giorni sono cominciati a mobilitarsi gli studenti medi. Ci sono stati imponenti cortei, come non si vedevano da diverso tempo a Torino, a Milano,’ a Firenze: una sensazione comune di un movimento che cresce, contro la disoccupazione, contro l’arroganza di un governo che crede di poter restaurare il vecchio potere dei baroni universitari, di selezionare l’accesso alla scuola, di condannare la massa dei giovani alla disoccupazione e all’emarginazione. Un movimento di massa, il primo movimento di massa dopo il 20 giugno che comincia a mettere in causa tutto; nei luoghi di organizzazione degli studenti ci sono forme nuove, abbattimento di etichette, volontà di non delegare, c’è molta creatività.

«LA DC HA PASSATO LA MANO AL PCI»

Il governo non parla molto; si è fatto sentire per ora solo con la voce dei suoi mitra, avvolge questo movimento cercando di farlo apparire come parte dell’irrazionalismo, quando non della criminalità dilagante. Malfatti aspetta, Andreotti non dice nulla. In realtà la DC ha passato la mano al PCI, in tutto e per tutto. Se lo gestisca lui, faccia tornare la normalità (cioè il funzionamento utile al capitale), convinca, smorzi, attenui, e se non ce la fa, reprima. I dirigenti del PCI sembrano raccogliere con piacere il compito. D’altra parte sono promotori di un progetto di legge sull’università che non si discosta molto da quello democristiano, che rivendica la selezione negli studi, il numero programmato, l’efficienza dell’ “azienda universitaria” così come l’efficienza e la competitività delle fabbriche. Il linguaggio e i fini non sono certo molto distanti. È per questa ragione che il PCI si presenta in molte parti, a Roma in particolare, come controparte. È per questo che contro le posizioni del PCI in tutta Italia gli studenti reagiscono pesantemente, spesso frontalmente: è forse il primo diretto banco di prova del nuovo partito di governo.

Posizioni arroganti sull’Unità, attacchi espliciti all’occupazione, muro duro, aberrazioni poliziesche di Pecchioli (l’equivalente di Cossiga per il PCI che ossessivamente chiede la chiusura dei covi che nella sua mente evidentemente sono dappertutto, e vagheggia un grande stato di polizia), della famiglia Trombadori (il padre sostiene — non è la prima volta! — che bisogna essere più duri spazzare via; il figlio Duccio che muove i suoi passi come cronista dell’occupazione ad un livello di aberrazione e settarismo altissimi). Ma ci sono anche voci contrarie; la FGCI non sta certo bene e Massimo D’Alema, il segretario, in un’intervista fa autocritica; ci sono dimissioni nella CGIL-Scuola a Napoli, linee diverse in molte città; c’è il professor Asor Rosa che tenta di spiegare, di far capire che queste occupazioni sono una cosa seria e non un problema di ordine pubblico, che consiglia prudenza e possibilmente un po’ di intelligenza. Ma, come si vedrà, non sono queste le posizioni che vinceranno.

Siamo all’inizio della settimana; c’è una riunione della segreteria del PCI; ci sono state dure contestazioni al sociologo Ferrarotti e allo stesso Asor Rosa; si sono rovesciate alcune provette all’istituto d’Igiene e c’è una campagna di stampa contro il pericolo del contagio. Titoloni, quasi come per Vallanzasca. L’Unità tra i migliori. Prevalgono i duri, quelli per cui il pluralismo va bene fino a un certo punto, e poi devono spuntare le mani callose. Viene organizzata una prima “spedizione” di attivisti dentro la città universitaria per ristabilire l’ordine, condotta con arroganza e ottusità. Gli studenti la condannano tutti. Il PCI non riesce a crearsi una base di massa e di consenso e allora va alla ricerca di soluzioni cecoslovacche.

«RIFLETTORI ACCESI SU LUCIANO LAMA»

I giornali della borghesia gli danno spago: sul Corriere della Sera, Giuliano Zincone (16 febbraio, terza pagina, grande rilievo) scrive : “siamo vicini all’epilogo dell’occupazione, scontato, inevitabile: gli sprinter del Movimento hanno esaurito le riserve di ossigeno, i maratoneti del PCI avanzano con passo rotondo e regolare, si apprestano a celebrare il trionfo”. Il giorno dopo La Stampa di Torino fa eco, prima pagina, apertura, Giovanni Trovati: “impreparato a capire la contestazione del 1968, subito all’inizio degli anni Settanta ha cominciato a lavorare per un recupero e per questo, a differenza degli altri partiti, si è trovato pronto all’appuntamento del 1977”. Potete andare, anche se il giornale della FIAT è in genere materialone, questa volta gli da’ pure il crisma della cultura. Poi c’è il disincantato ex militante di Potere Operaio, Paolo Mieli giornalista dell’Espresso che disserta sugli “indiani” e analizza, a prezzo di saldo, la disoccupazione intellettuale; c’è Giorgio Bocca che sforna il pezzo settimanale vomitando su Mario Capanna, sul 1968, sulla Scala, sulla Bussola. C’è gente che perde il pelo, ma non il vizio. Si era tanto parlato di come i comitati di redazione dei giornali avessero capito che non era più il tempo di “Valpreda mostro” e “la polizia ha trovato l’università piena di preservativi e devastata con scritte blasfeme”, ma molti hanno pensato bene di rispolverare il vecchio armamento.

Nel pomeriggio di mercoledì il sindacato si mostrava disposto a permettere che alcuni compagni dei collettivi parlassero. La proposta appariva insufficiente (pare che il sindacato intendesse tentare una selezione “politica” dei collettivi cui concedere il diritto di parola!) ma andava comunque nel senso di quanto contenuto in due successive mozioni approvate in assemblea dagli studenti. Sta di fatto che all’appuntamento previsto con alcuni compagni a lettere alle ore 21 Misin, segretario provinciale della CGIL-Scuola ha pensato bene di non presentarsi rendendosi successivamente del tutto irreperibile. Era chiaro il tentativo intanto di innescare la rabbia, studentesca e poi di non offrire alcuna contropartita. E così, riflettori accesi su Luciano Lama, arriva il maratoneta
con passo rotondo e regolare.

Ore 9, il sindacato entra nel viale. Striscioni, bandiere, duemila persone con appuntato al cappotto il tesserino CGIL-CISL-UIL. alcuni che sapevano cosa fare, moltissimi altri venuti per vedere e per discutere. Si monta il palco, due camioncini a sinistra della statua della Minerva. Ci saranno circa diecimila studenti ad ascoltare. C’è un gruppo di compagni che si chiamano «indiani metropolitani » che aveva montato una struttura con pupazzi con scritte ironiche e facevano folklore. Per esempio scandivano: “sa-cri-fi-ci” e “La-ma” tra battimani come allo stadio, storpiavano gli slogan dell’ideologia dei sacrifici in questo modo: “più orario, meno salario”, “case no, baracche sì”, «Argan e Paolo VI uniti nella lotta, il Concordato non si tocca”, “Andreotti è rosso, Fanfani lo sarà”, “C’è chi non Lama”, oppure mostravano il petto e gridavano “Lama, frustaci”. Gli studenti ridevano, alcuni con il tesserino sindacale sorridevano, il servizio d’ordine del PCI faceva il muso duro…

Sono stati i primi ad essere attaccati, schiaffoni, pugni e i pupazzi distrutti con accanimento. Ironia e patto sociale non vanno d’accordo. II servizio d’ordine del PCI si schiera, provoca, insulta, spinge via gli studenti lontano dal palco, forma cordoni. Ma non tutti ci stanno, molti si mettono da parte. Lama incomincia a parlare e in tutto il suo discorso l’accento è contro “i parassiti”, “i devastatori e gli irrazionali che devono essere apertamente combattuti”, “i luddisti”, spiega che nella resistenza “gli operai italiani morirono per difendere il patrimonio di attrezzi e macchinari delle fabbriche”, poche cose e scontate sulla lotta, sugli obiettivi. Crescono i fischi, gli slogan coprono la voce; il servizio d’ordine del PCI usa gli estintori che si era portato appresso e spruzza vernice sugli studenti, abita bastoni. Incominciano a volare i primi sassi, poi pezzi di legno, una bottiglia vuota, tra spruzzi di vernice, c’è una tensione enorme. Vengono trasportati via i primi feriti: giovani con la testa spaccata dalle pietre, da bastonate, col sangue, portati via da compagni. C’è una rabbia enorme contro questo sistema di prevaricazione usato dal PCI, ci sono molti studenti giovani che urlano “tornate da Andreotti”, altri che cercano di formare cordoni per arginare la zuffa, altri ancora feriti. Lama tronca il comizio e scappa.

Una grande massa degli studenti distrugge il camioncino da cui parlava. La maggior parte degli operai a questo punto 0 se ne va oppure apostrofa violentemente il servizio d’ordine del PCI. C’è un operaio di Pomezia che prende per la collottola un attivista e gli dice “adesso facciamo i conti in sezione, io a queste cose non mi presto più”, altri sono smarriti, altri tristi. Ma ci sono un duecento duri, non tanto mani callose quanto uomini di palestra che insultano provocano, mostrano le mani guantate. Uno insulta pesantemente una giovane compagna, lei gli dà un’ ombrellata in faccia. Poi altri compagno lo scacciano pesantemente. C’è veramente una rabbia enorme. Il modo, l’arroganza del PCI offendono tutti. Mentre i feriti vengono trasportati a lettere, trasformata in una grande infermeria, molti parlano di Praga, c’è una reazione di massa per cacciare il servizio d’ ordine dall’università. Lo si fa con violenza e con rabbia fino a che tutti sono espulsi.