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«I servizi segreti tedeschi sapevano già?» Lotta Continua all’indomani del sequestro Moro (1978)

Redazione Spazio70

Dal quotidiano Lotta Continua del 17 marzo 1978

Sono le 9,10. Aldo Moro, come ogni mattina, esce di casa da via Cortina d’Ampezzo, alla Camilluccia. Ad attenderlo, due macchine: una Fiat 130 blu su cui sale; segue una Alfetta bianca con tre agenti di polizia. Percorrono alcune centinaia di metri quando arrivati all’altezza dell’incrocio tra via Fani e via Stresa le due macchine sono costrette a fermarsi poiché una 128 bianca familiare che li precedeva, si ferma costringendo l’auto di Moro a fermarsi. Dietro l’Alfetta di scorta arriva una 132 blu, e avviene un tamponamento a catena fra le tre prime macchine.

UN’AZIONE DA PROFESSIONISTI

A questo punto ricostruire esattamente la sequenza dei fatti è difficile visto l’accavallarsi di versioni differenti che continuano ad arrivare mentre scriviamo. Sicuramente i terroristi sono scesi da ambedue le macchine e pare che siano stati appoggiati da almeno un elemento che avrebbe sparato da dietro la siepe del bar Olivetti.

Dalla 128 familiare targata «Corpo diplomatico» sarebbero scesi due uomini che indossavano divise azzurre dell’aviazione civile, o simili, che avrebbero estratto le pistole (probabilmente Machine pistole calibro nove lungo) e sparato nell’abitacolo della macchina in cui si trovava Moro, uccidendo sul colpo l’appuntato dei CC Domenico Ricci di 43 anni e il maresciallo dei CC Oreste Leonardi di 51 anni che gli sedeva accanto.

Un’altra ricostruzione parla degli uomini in divisa dell’aeronautica come se si trovassero a ridosso della siepe del bar Olivetti. Contemporaneamente, dalla 132 ferma alle spalle dell’Alfetta di scorta sarebbero scesi altri terroristi che avrebbero eliminato due dei tre agenti dell’antiterrorismo: il vice-brigadiere Francesco Zizzi di 24 anni e l’agente Giulio Rivera anche lui ventiquattrenne: il terzo agente, Raffaele Iazzino di 25 anni, l’unico riuscito a scendere dall’auto e a sparare alcuni colpi di pistola contro i terroristi, sarebbe stato ferito gravemente dai terroristi in divisa che avevano già eliminato i due CC nella macchina dove si trovava Moro.

A questo punto il presidente della DC sarebbe stato caricato a viva forza sulla 132 blu (poi ritrovata a via Licinio Calvo, a poca distanza dal luogo dell’agguato), mentre la 128 familiare rimaneva in via Mario Fani.

Secondo le ultime dichiarazioni del Sostituto Procuratore Infelisi, recatosi subito sul posto insieme ai massimi responsabili della polizia e dei carabinieri, e che conduce l’inchiesta, l’azione sarebbe stata condotta da almeno una quindicina di persone, tra cui una donna, che si sarebbero allontanati, oltre che con la 132 blu su cui avevano caricato Moro, a bordo di un’altra 128 bianca, una blu e una moto Honda.

L’agente lazzino, l’unico sopravvissuto all’agguato, veniva ricoverato al policlinico Gemelli e sottoposto a un difficile intervento chirurgico per l’estrazione dei proiettili che l’avevano raggiunto al fegato e alla regione cardiaca: a partire dalle 11,30, però il bollettino medico lo dichiarava «clinicamente morto». Si apprendono intanto altri elementi sugli accorgimenti usati dai terroristi per prepararsi il terreno per l’azione: una mini verde, rubata, sarebbe stata parcheggiata all’incrocio fra via Fani e via Stresa allo scopo di impedire all’auto di Moro di superare la «128» dei terroristi che gli si è fermata davanti; inoltre sarebbero state forate le ruote del furgone di un fioraio che solitamente si ferma proprio nel punto dell’agguato. Evidentemente tutto questo dimostra che minuziosi pedinamenti e ricognizioni erano state necessarie per preparare l’azione.

Nella ridda di versioni fornite dalle più disparate fonti, si registrano notizie diffuse dalle autorità e dai grandi mezzi di informazione, alcune rivelatesi dopo poche ore come false e altre non ancora confermate, che sono state fatte circolare evidentemente per accrescere la tensione e il panico in città: il presunto isolamento dei telefoni dell’intera zona circostante il luogo dell’attentato, attribuito a un sabotaggio di terroristi, altro non era che un ovvio intasamento delle linee per le chiamate dei cittadini, una presunta bomba collocata a bordo della mini verde si è rivelata inesistente, e le ultime dichiarazioni del PM Infelisi sul ritrovamento di armi russe sul posto non trovano finora alcun riscontro. E così pure non si è ancora chiarita la provenienza della targa «corpo diplomatico», della 128 familiare; appartenente al parco macchine dell’ambasciata venezuelana a Roma: alcune voci la danno per rubata, mentre all’ambasciata sostengono di averla restituita alla fine del ’77 al ministero degli esteri italiano.

La prima telefonata di rivendicazione dell’attentato è arrivata alle 10,10 ad un organo di stampa romano: la firma è Brigate rosse. Quindi altre due, con la stessa firma, all’Ansa di Milano e di Torino. Un secondo lungo messaggio telefonico è stato dettato verso le 11 all’Ansa di Torino: in esso la «Colonna armata Walter Alasia», chiede la «liberazione di tutti i compagni detenuti a Torino, la liberazione dei compagni di Azione rivoluzionaria… », precisando che il messaggio doveva essere letto entro 48 ore su tutte le reti nazionali e preannunciando un prossimo comunicato. Quindi una sequela di telefonate simili in varie città. Dopo l’allarme le forze di polizia e dei carabinieri hanno organizzato centinaia di posti di blocco in tutta la città, stato di emergenza all’aeroporto di Fiumicino, mobilitazione di tutti i reparti dell’antiterrorismo, sospese licenze e libere uscite per agenti di PS e CC, impiegati nelle ricerche anche reparti dell’esercito.

«I SERVIZI SEGRETI TEDESCHI SAPEVANO GIÀ?»

Un portavoce del «BKA», la polizia criminale della Germania Occidentale, ha dichiarato a Wiesbaden, che loro sono « evidentemente informati e interessati » alla vicenda del rapimento di Aldo Moro. Evidentemente l’antiterrorismo tedesco è stato interpellato dai colleghi italiani in seguito alla notizia diffusasi nella mattinata, secondo cui un membro del commando si sarebbe rivolto in tedesco ai suoi complici. Fra le testimonianze sono state raccolte quelle di due coniugi:

«Un uomo che faceva parte del gruppo dei terroristi ci ha detto con un accento strano, sicuramente straniero: ‘Scappate, scappate’. Il suo accento era tedesco o slavo, ma non siamo riusciti a capire la sua nazionalità ». Secondo gli investigatori le caratteristiche dell’uomo sarebbero simili a quelle del terrorista tarchiato e robusto, la cui presenza è stata notata negli attentati contro Palma, Fiori, Coco. Secondi voci non controllate e circolate in queste ultime ore, il «BND» tedesco (controspionaggio) avrebbe segnalato nella giornata l’imminenza di una grossa azione terroristica in cui elementi tedeschi avrebbero affiancato terroristi italiani.