Qui potrai trovare una vasta rassegna di materiali aventi ad oggetto uno dei periodi più interessanti della recente storia repubblicana, quello compreso tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Ottanta del secolo scorso.
Il sito comprende sei aree tematiche e ben ventidue sottocategorie con centinaia di pezzi su anni di piombo, strategia della tensione, vicende e personaggi più o meno misconosciuti di un’epoca soltanto apparentemente lontana. Per rinfrescare la memoria di chi c’era e far capire a chi era troppo giovane o non era ancora nato.
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di Gianluca Falanga
Il 1965 è ricordato in Germania come l’anno della storica sentenza che chiuse l’Auschwitz-Prozess di Francoforte, un passaggio memorabile perché, al di là delle condanne inflitte agli imputati, più miti rispetto a quelle dei processi di Norimberga, segnò la rottura dell’inerzia della giustizia tedesca nel perseguire i crimini nazisti. Si aprì allora una nuova fase caratterizzata da una maggiore sensibilità non solo della magistratura, ma dell’opinione pubblica tedesca in generale nei confronti del passato nazista e della Shoah. Se ci vollero vent’anni di distanza dalla fine della Seconda guerra mondiale perché maturasse nella società tedesca una consapevolezza diffusa delle dimensioni e della singolarità degli immani crimini nazisti, ne sono dovuti passare più di cento dalla fine della dominazione coloniale tedesca in Namibia perché un governo tedesco riconoscesse come genocidio (il primo del secolo XX) le atrocità commesse nel 1904-1908 contro le etnie Herero e Nama.
Una radicata e condivisa cultura del ricordo delle vittime dei crimini contro l’umanità perpetrati nelle colonie africane, in Cina e Oceania dal Kaiserreich, fra il 1885 e il 1919 la terza potenza coloniale del mondo, è tuttavia a oggi ancora di là da venire.
Con l’apertura degli archivi del Bundesnachrichtendienst (BND) nel 2014 sono emersi documenti del Servizio segreto federale che alimentano il sospetto di una corresponsabilità tedesca in un altro tragico crimine contro l’umanità, uno dei più feroci e sanguinari del Novecento, a molti ancora sconosciuto: il massacro di almeno mezzo milione di comunisti e membri di minoranze etniche e religiose, brutalmente trucidati da militari e paramilitari all’indomani del colpo di Stato che, alla fine di settembre 1965, instaurò in Indonesia la dittatura del generale Suharto. Il sospetto non è nuovo: indizi di relazioni amichevoli intrattenute da Bonn coi militari anticomunisti indonesiani circolano dai primi anni Settanta del secolo scorso, quando, innescato da indiscrezioni provenienti dal BND, se ne occupò il giornalismo di inchiesta. Più avanti se ne sono aggiunti altri dai documenti diplomatici tedeschi e dai dossier declassificati della CIA. Rispondendo a un’interrogazione parlamentare, nel febbraio 2023, il Governo Scholz ha dichiarato che i nuovi file del BND non provano alcuna collaborazione del Servizio tedesco con quelli indonesiani «finalizzata a sostenere direttamente o indirettamente i responsabili degli atti di violenza perpetrati nel 1965-66 o a consentire la sorveglianza di esponenti dell’opposizione in territorio tedesco.»
Mentre si ritiene un fatto storico assodato che furono gli USA, appoggiati da Gran Bretagna e Australia, a incoraggiare e sostenere il colpo di Stato anticomunista a Giacarta, il ruolo della Germania Ovest in quegli eventi è rimasto opaco e viene per lo più ignorato dall’opinione pubblica tedesca e internazionale. Acquisita l’indipendenza nel 1949, dopo oltre 300 anni di dominazione coloniale olandese e tre di occupazione giapponese durante la Seconda guerra mondiale, l’Indonesia ha una storia recente piuttosto turbolenta, tormentata dalle inconciliabili differenze tra le varie fazioni sociali, politiche, religiose ed etniche. Il suo primo presidente, il leader nazionalista Sukarno, fu iniziatore, insieme al premier indiano Nehru, al cinese Zhou Enlai, al presidente egiziano Nasser e al dittatore jugoslavo Tito, del movimento dei paesi non allineati che rifiutavano di schierarsi con una delle due superpotenze della Guerra fredda, ospitando nel 1955 la Conferenza di Bandung. Il suo regime autoritario della cosiddetta democrazia pilotata si appoggiava sull’esercito e sul sostegno del Partito comunista indonesiano, per iscritti il terzo partito comunista più grande del mondo dopo quelli di Urss e Cina. Nella prima metà degli anni Sessanta, il paese fu scosso da una profonda crisi economica. Nel 1964 i comunisti furono accusati di stare preparando un colpo di Stato e quando, nella notte del 30 settembre 1965, sei alti ufficiali delle forze armate indonesiane furono rapiti e assassinati, scattò la purga anticomunista ordinata dal generale Suharto, che mise fine al regime di Sukarno, eliminò i comunisti come forza politica e instaurò la dittatura del cosiddetto Nuovo ordine.
L’evoluzione politica, giudicata sempre più apertamente filocinese e filosovietica del presidente Sukarno, nonché la forza e le capacità di mobilitazione di massa del partito comunista indonesiano avevano fatto temere a Washington, nel contesto della contrapposizione globale fra i blocchi della Guerra fredda, un’ulteriore espansione dell’influenza comunista nel sudest asiatico (nel 1965 partirono anche i bombardamenti americani sul Vietnam). Sin dalla guerra d’indipendenza contro le forze olandesi, gli USA si erano interessati all’Indonesia come base fondamentale per operare nella regione e, appoggiandone la lotta di decolonizzazione, si erano assicurati posizioni strategiche in funzione dei loro interessi politici, militari ed economici. La minaccia di quest’ultimi aveva indotto l’amministrazione americana ad affidare alla CIA il dispiego di un’intensa attività di interferenza politica con operazioni coperte e già nel 1958 vi era stato un primo tentativo, fallito, di rovesciare Sukarno. Nella crisi del 1964-65, il Servizio segreto statunitense, attraverso l’ambasciata USA e soggetti non istituzionali come i gestori delle piantagioni di proprietà di imprese americane, fornirono alle forze anticomuniste del generale Suharto sostegno tecnico e finanziario. Ciò sarebbe avvenuto prima durante e dopo il golpe e i seguenti massacri. Secondo fonti d’intelligence, giudicate però controverse da storici e analisti, sarebbero state fornite all’esercito indonesiano anche liste di comunisti e sindacalisti, poi effettivamente rastrellati e assassinati.
Il generale indonesiano Abdul Harris Nasution in una foto del maggio 1971 (autore: W. Punt per l’agenzia di stampa fotografica olandese Anefo – Nationaal Archief, CC BY-SA 3.0)
I nuovi documenti del BND sono significativi ma non decisivi per stabilire definitivamente le corresponsabilità tedesche. La commissione di storici indipendenti, cui il Governo Merkel ha concesso l’accesso agli archivi segreti dell’intelligence federale per studiarne e scriverne la storia limitatamente al periodo 1945-1968 (presidenza Gehlen), deve accettare il veto sull’ostensione di documenti riguardanti operazioni all’estero che può essere posto da altri Servizi segreti amici del BND eventualmente coinvolti in quelle stesse operazioni. E questo è sicuramente il caso del complesso indonesiano. Due documenti resi pubblici nel 2020 hanno destato clamore, ma sono due tessere di un mosaico che ancora non è completo. Un rapporto interno del Servizio tedesco datato 3 novembre 1965 descriveva «un vero e proprio massacro di comunisti», attestando la piena conoscenza dell’agenzia di Gehlen della qualità e delle dimensioni delle violenze in corso. Solo cinque giorni dopo, mentre in Indonesia si continuava a uccidere e morire, un secondo documento riportava una «richiesta urgente» avanzata dai generali golpisti indonesiani alla Germania:
«Il generale NASUTION [ministro della Difesa indonesiano e capo della Sicurezza di Stato] ha bisogno di fondi per portare avanti l’epurazione anticomunista, che è diretta esclusivamente dal suo stretto staff, risorse che per ovvie ragioni non possono essere prelevate dalle casse del Tesoro indonesiano. Il denaro serve principalmente per la conduzione di azioni speciali contro i funzionari del Partito Comunista e per organizzare manifestazioni pilotate. I fondi saranno utilizzati anche per stampare e distribuire una quantità limitata di materiale di propaganda anticomunista. A tal fine, il generale NASUTION richiede alla Repubblica federale tedesca la somma di 1.200.000 marchi in contanti, ritenendo che queste risorse gli consentiranno di approfondire ed estendere i successi che già si stanno profilando nella lotta contro i comunisti.»
Non può esservi dubbio che l’estensore del documento del BND comprendesse esattamente di che genere di «azioni speciali» si trattava. E quanto alle «manifestazioni pilotate» e ai materiali di propaganda, questi ebbero effettivamente un peso importante nei massacri dell’epoca, perché servirono a fomentare la collera delle masse, aizzandole contro i comunisti, accusati dai generali di volere attentare alla sicurezza dello Stato, servirono a creare un’atmosfera di feroce violenza che in talune località sfociò in autentici pogrom. L’esercito, controllato dai generali golpisti, laddove non intervenne direttamente, assunse un ruolo di coordinamento delle milizie armate alla meglio e in poco tempo. Dell’estrema delicatezza della richiesta proveniente da Giacarta era perfettamente consapevole il funzionario del BND che la riportò nel documento dell’8 novembre 1965, tant’è che, sottolineando come sul concreto utilizzo dei fondi non potessero esserci equivoci, si sentì in dovere di avvisare circa i notevoli rischi che l’operazione comportava:
«Qualsiasi aiuto del genere di quello qui presentato, qualora trapelasse, avrebbe conseguenze imprevedibili, sia per chi lo presta che per chi ne beneficia. Pertanto, un tale sostegno può essere concesso solo se i canali di trasmissione del denaro saranno rigorosamente tenuti segreti.»
Non sappiamo se e come il governo tedesco di allora decise di rispondere e gestire la cosa. Il documento citato reca l’annotazione manoscritta Abgelehnt Nichteinmischung («Respinto. Non interferenza»), tuttavia il BND impiegò più giorni per informare l’autorità politica della richiesta indonesiana, avanzata già a fine ottobre. Si è inoltre a conoscenza dell’esistenza di una cosiddetta Beschaffungsbitte («Richiesta di approvvigionamenti»), anche questa datata 8 novembre 1965 e probabilmente legata al precedente documento, di cui però non si conosce l’esatto contenuto, avendo posto il Servizio il veto alla sua diffusione, adducendo motivi di protezione della riservatezza del proprio modus operandi.
Diversamente dal Governo Scholz, la stampa tedesca giudica molto probabile che il BND, a conoscenza dei piani dei generali anticomunisti indonesiani alla vigilia del golpe del 1965-66, abbia prestato attivamente assistenza agli autori dei massacri. D’altronde, è un fatto incontestabile che dagli anni Sessanta fino ad oggi la Repubblica federale ha sempre intrattenuto relazioni particolarmente intense di carattere politico, economico e inerenti alla sfera della sicurezza (leggi: stretta collaborazione fra i Servizi segreti dei rispettivi paesi) con l’Indonesia: a lungo da Bonn, oggi da Berlino, le autorità indonesiane hanno ricevuto e ricevono sistemi d’arma e addestramento speciale del personale militare e dei corpi di polizia, a dispetto delle gravi e sistematiche violazioni dei diritti umani compiute nei decenni dalla dittatura di Suharto, superata solo nel 1998.
I nuovi documenti declassificati del BND sembrano confermare in sostanza le notizie pubblicate a più riprese negli anni Settanta e Ottanta a riguardo, per esempio che «il Servizio segreto militare indonesiano» sarebbe stato rifornito nel 1965 «di fucili mitragliatori, apparecchiatura radio e denaro» dalla Germania Ovest per un valore complessivo di circa 300.000 marchi. Inoltre, sarebbero state messe a disposizione «armi da fuoco di fabbricazione sovietica e munizioni finlandesi», mentre l’azienda controllata dal BND, Telemit, avrebbe invece provveduto alla cessione di dispositivi elettronici. Ciò mentre personale del BND di stanza a Giacarta si premurava di addestrare i colleghi indonesiani nonché di assistere quelli della CIA. Un ruolo significativo l’ebbero sicuramente l’ambasciata tedesca e il Ministero degli Affari Esteri di Bonn, che nel periodo dell’instaurazione del regime militare di Suharto (1966-67) trattò coi generali indonesiani la concessione di crediti. Un documento diplomatico tedesco conferma che il Segretario di Stato agli Esteri Karl Carstens ricevette nei primi mesi del 1966 un alto esponente dell’esercito indonesiano per discutere di aiuti economici. L’anno successivo, un altro diplomatico, Kurt Lüdde-Neurath, appena nominato ambasciatore a Giacarta, tenne un discorso di ringraziamento del regime di Giacarta per avere neutralizzato il pericolo della sinistra indonesiana. Nel 1973, Lüdde-Neurath fu ambasciatore tedesco-occidentale in Cile, dove in attesa del golpe di Pinochet che rovesciò il governo socialista di Salvador Allende, le forze anticomuniste scrivevano sui muri lo slogan «Jacarta se acerca» («Jacarta sta arrivando»).
I documenti della CIA pubblicati negli scorsi decenni confermano che i diplomatici tedeschi in Indonesia condividevano l’opportunità di un regime chance a Giacarta. In un cablo dell’ambasciata USA del 12 ottobre 1965 si faceva cenno a un uomo d’affari tedesco che teneva i rapporti con i militari indonesiani. Di intermediari sotto copertura devono esservene stati diversi, come trapela dai file del BND desecretati per i lavori della commissione degli storici indipendenti e che ci permettono di comprendere meglio il contesto entro il quale maturò l’impegno indonesiano del Servizio segreto tedesco. Dalla seconda metà degli anni Cinquanta, Gehlen era impegnato, sul fronte politico interno, ad accentrare sotto la sua responsabilità le competenze di coordinamento di tutte le agenzie di sicurezza (interna, esterna e militare) della Repubblica federale. Contemporaneamente, sul fronte estero, Gehlen coltivava l’ambizione di lanciare operazioni su larga scala come la CIA. Col consenso di Adenauer, che vedeva di buon occhio uno smarcamento dell’intelligence federale dalla tutela americana, Gehlen creò una struttura segreta, una sorta di Servizio nel Servizio, che rispondeva a lui direttamente, denominata Servizio Strategico. La direzione era nominalmente affidata a un uomo di fiducia di Gehlen, Wolfgang Langkau, ma il vero capo delle operazioni era Kurt Weiß alias Winterstein.
Sul finire del 1959, dietro autorizzazione del ministero dell’economia, Gehlen aveva fatto creare un’azienda di copertura che si occupasse per conto del BND dell’esportazione di armi e munizioni. L’obiettivo dell’operazione era sorvegliare il traffico internazionale di armamenti sul territorio della Repubblica federale, ma presto il BND aveva cominciato a usare quei canali per trasferire materiali militari dismessi della Bundeswehr, soprattutto armi e munizioni, ma anche equipaggiamento tecnico a Servizi segreti di altri paesi, fra questi l’Indonesia. Quando nell’autunno 1965 s’incendiò la situazione a Giacarta, a Bonn si formava un nuovo gabinetto di coalizione CDU-liberali sotto la guida del cancelliere Ludwig Erhard, il quale risulta che poco si interessasse a Gehlen e al BND. Nelle sue memorie (in verità scritte da uno specifico gruppo di lavoro del BND) l’anziano Gehlen, ormai pensionato, elogiò la dura reazione dell’esercito indonesiano nel mettere fuorigioco i comunisti con radicalità. Per Gehlen, la decolonizzazione, producendo un’estensione del campo di lotta contro il comunismo, rappresentava una sfida molto seria, il pericolo dell’avanzamento globale dell’influenza sino-sovietica doveva essere affrontato con la massima durezza e facendo affidamento sulla forza militare, non su quella dei valori occidentali (ai quali in fondo, da vecchio generale tedesco conservatore, non credeva). Gli sfuggivano completamente il carattere e le implicazioni delle mutazioni del conflitto generale della Guerra fredda, che con la coesistenza pacifica e poi la distensione, entrava in una fase nuova.
Dalla documentazione desecretata apprendiamo che nei giorni della destituzione del presidente Sukarno, Gehlen incontrò Sir Charles Spry, direttore dell’intelligence australiana, per scambiare informazioni e valutazioni sullo scenario indonesiano. Gehlen non faceva segreto dell’orgoglio per il contributo prestato dal suo Servizio, evidentemente tutt’altro che marginale, come confermano altri due documenti di recente desecretazione: il primo, un rapporto di Kurt Weiß a Gehlen del 30 gennaio 1967, nel quale si menzionano doni del sultano di Yogyakarta come ringraziamento per gli aiuti ricevuti dalla Germania Ovest nella lotta contro i comunisti; il secondo, un verbale di una relazione fatta dal successore di Gehlen alla guida del BND, Gerhard Wessel, davanti alla commissione parlamentare di controllo dei Servizi nel giugno 1968. In quella occasione Wessel riferì che il dittatore Suharto riconosceva al BND il merito di avere aiutato in misura determinante i generali indonesiani ad annientare il partito comunista tramite l’invio di danaro, equipaggiamento e consiglieri militari.
La coincidenza temporale dei massacri indonesiani non solo con la sentenza dell’Auschwitz-Prozess di Francoforte nell’agosto 1965 ma anche con il dibattito che incendiò il Bundestag nella primavera di quello stesso anno intorno alla scabrosa questione della decorrenza dei termini di prescrizione dei crimini nazisti, in scadenza proprio nel 1965, è un dato non trascurabile, anzi molto significativo. Il BND di Gehlen, all’epoca in cui intervenne nel complesso indonesiano, era un’organizzazione imbottita di nazisti, ma non nazisti qualunque, bensì – come è stato accertato e accuratamente documentato attingendo a materiali inediti – di almeno 200 veterani SS degli apparati del terrore nazista direttamente responsabili degli eccidi perpetrati nei paesi occupati e sui vari fronti della Seconda guerra mondiale. Uno di questi, l’ex tenente colonnello delle SS Rudolf Oebsger-Röder, era stato nel 1942-43 capo operativo del Programma Zeppelin, operazione del SD (servizio segreto delle SS) per reclutare agenti collaborazionisti fra i prigionieri di guerra sovietici da impiegare dietro le linee del fronte in operazioni di spionaggio militare, sabotaggio e guerra coperta. I collaborazionisti russi, ucraini e georgiani venivano spesso liquidati, se si dubitava della loro lealtà o quando non servivano più. Arruolato studente dal SD all’Università di Lipsia, dove si era laureato in giornalismo, Oebsger-Röder era stato uno dei principali organizzatori ed esecutori della liquidazione dell’élite polacca e della germanizzazione dei territori polacchi occupati. Aveva comandato Einsatzgruppen SS in Polonia e Transilvania, collaborando attivamente alla deportazione degli ebrei ungheresi nei lager di sterminio.
Ricercato per crimini di guerra, arrestato e internato dagli Alleati, Oebsger-Röder aveva vissuto sotto falso nome fino al 1948, quando l’Organizzazione Gehlen (dal 1956 BND) lo aveva aiutato a passare indenne la denazificazione e infine cooptato nel Servizio segreto come elemento esperto. Fu Oebsger-Röder che acquisì al Servizio la collaborazione di Walther Rauff, uno dei criminali nazisti più ricercati al mondo, iniziatore dei famigerati Gaswagen, furgoni trasformati in camere a gas mobili per accelerare lo sterminio di ebrei e altri prigionieri. Per proteggerlo dalle indagini dalla procura di Monaco per gli eccidi in Polonia, Gehlen e Kurt Weiß decisero di inviare Oebsger-Röder in missione in Indonesia, dove fu operativo per il Servizio strategico dal 1958 al 1966 sotto la copertura di giornalista e corrispondente dei maggiori quotidiani tedeschi. In quel periodo, col nome in codice Roeder, fu capocentro del BND in Indonesia e Tailandia. A Giacarta riuscì a conquistarsi la fiducia del generale Suharto, di cui divenne consigliere e biografo. Molto conosciuto e apprezzato nella community dei tedeschi in Indonesia, ebbe rapporti molto stretti con diplomatici e uomini d’affari. Negli anni Settanta, il BND meditò a più riprese di riattivarlo come agente, ma seppure mai condannato dalla magistratura si preferì evitare. Fece ritorno in Germania negli anni Ottanta. È morto a Monaco nel 1992, impunito come tutti i responsabili degli eccidi indonesiani.