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Processo e assoluzione per Delle Chiaie. Un cittadino giapponese di origine italiana: Delfo «Roy-Hagen» Zorzi

Redazione Spazio70

La dodicesima parte di una serie di articoli di approfondimento sulla strage di piazza Fontana

Nel gennaio del 1985 il processo vede la comparsa di decine di nuovi testimoni. In base alle dichiarazioni di alcuni pentiti dell’area neofascista, i mandanti della strage sarebbero identificabili in Franco Freda e Stefano Delle Chiaie mentre l’esecutore materiale risponderebbe al nome di Massimiliano Fachini. Spuntano anche testimonianze in merito a presunte complicità malavitose che agevolarono la latitanza del Freda in Sud America nel 1978. Tuttavia, il 1° agosto 1985 la corte conferma nuovamente l’insufficienza di prove. La strage di Piazza Fontana è ancora una volta senza colpevoli. Assoluzione per Freda, Ventura, Valpreda, Merlino e Tanzilli. Confermate le condanne, se pur con pena ridotta, a Labruna e Maletti. Sentenza ribadita in cassazione nel 1987, anno in cui a Catanzaro ha inizio il sesto processo. Questa volta gli imputati sono i neofascisti Massimiliano Fachini e Stefano Delle Chiaie, quest’ultimo arrestato in Venezuela e trasferito in Italia il 31 marzo.

«VOGLIO USCIRE DA QUEST’AULA CON LA MIA DIGNITÀ»

«Presidente, io vorrei fare una dichiarazione preliminare. Come ho già detto nell’aula di Bologna e come ho detto nelle mie numerose interviste, ripeto in quest’aula il mio sdegno per essere sospettato e accusato per strage. Non ho la vocazione né del macellaio né del boia e lo stragismo è un fatto, un atto criminale che è estraneo e ai miei principi etici e alla mia militanza politica. Quindi, da questo processo intendo uscire non con insufficienza di prove ed ecco perché ho detto ai miei avvocati che qualsiasi ampliamento del dibattito non mi preoccupa, perché io voglio uscire da quest’aula con la mia dignità salva per me comunque ma anche di fronte al popolo, al mio popolo, verso il quale io non ho mai pensato in nessun momento di compiere stragi come quelle che si sono verificate in Italia. In altra sede sono i responsabili, non qui in quest’aula».

Con queste parole Stefano Delle Chiaie esordisce in aula proclamando la sua totale estraneità in merito ai fatti del processo. Ma le aspettative del leader avanguardista non verranno pienamente esaudite poiché l’assoluzione, nel febbraio del 1989, giungerà proprio per insufficienza di prove. Assolto anche Fachini. Sentenza confermata anche in appello nel 1991. Ad oltre vent’anni di distanza, la strage di Piazza Fontana resta ancora impunita. Le indagini e i processi, tuttavia, non finiscono qui. Tra confessioni e testimonianze, tra faldoni giudiziari e vicende legate ad altri processi, fanno la loro comparsa vecchi personaggi legati all’area neofascista. Alcuni di essi hanno rivelazioni molto interessanti da fare.

Nell’ambiente veneto spunta un nuovo indagato che negli anni della strage militava negli ambienti dell’estrema destra eversiva. Per il giudice istruttore potrebbe essere lui l’esecutore materiale dell’attentato. È un cittadino giapponese di origine italiana, ex militante di Ordine Nuovo da tempo trasferitosi nel paese del Sol levante che lo ha visto fare fortuna come imprenditore. Si fa chiamare Hagen-Roi ma il suo vero nome è Delfo Zorzi, classe 1947, nativo di Arzignano, in provincia di Vicenza. Le più complesse vicende giudiziarie dell’ordinovista con la passione per l’Oriente hanno inizio nel 1984 a partire dall’accusa di ricostituzione del disciolto partito fascista, ma «il samurai», come erano soliti chiamarlo i suoi camerati, è un personaggio noto alle cronache italiane fin dal 1968, anno del suo primo arresto per detenzione di armi. Assieme ad altri neofascisti è presente ai famosi scontri di Valle Giulia contro la polizia. Zorzi ha la fama del duro, del picchiatore intransigente che ama l’azione e che non si tira indietro. Interessato alla cultura giapponese ne studia la lingua presso l’Istituto Universitario Orientale di Napoli: è appassionato di esoterismo, pratica arti marziali e frequenta il Centro Studi Ordine Nuovo.

IL PENTITO MARTINO SICILIANO

Nel 1970 il suo nome finisce sui quotidiani nazionali per una violenta rissa avvenuta in strada contro alcuni militanti antifascisti intervenuti a un comizio di Pino Romualdi. Nel 1974 si laurea sotto la supervisione del noto orientalista Pio Filippani Ronconi, ex miliziano delle Waffen-SS, presente nel 1965 al convegno sulla guerra rivoluzionaria organizzato all’Hotel Parco dei Principi di Roma dall’Istituto di studi militari Alberto Pollio. Tale evento, che per alcuni rappresenta un punto fondamentale nella nascita della cosiddetta «strategia della tensione», vide la partecipazione di personaggi legati a vario titolo alle inchieste su Piazza Fontana.

Il pentito Martino Siciliano, ex militante di Ordine Nuovo, parla di Zorzi come di un individuo violento ed estremamente determinato. Davanti ai giudici racconta il coinvolgimento del suo ex camerata in diverse azioni illegali, tra le quali figurano alcuni attentati dinamitardi come quello del 4 ottobre 1969 alla scuola slovena di Trieste.

A causa di un disguido di natura tecnica la deflagrazione programmata per mezzanotte non ha luogo. Il mattino seguente il materiale esplosivo viene rinvenuto intatto da un bidello dell’istituto scolastico. Attentato fallito. Ma Siciliano parla anche del coinvolgimento di Zorzi nella strage di Piazza Fontana e lo fa ricordando un evento ben preciso: la cena del 31 dicembre 1969 durante i festeggiamenti di capodanno che seguirono di diciannove giorni l’eccidio alla Banca dell’Agricoltura. Il racconto ha del grottesco. L’ambientazione è la residenza mestrina di Giancarlo Vianello, un giovane ordinovista della località veneta che approfittando dell’assenza dei genitori mette a disposizione il proprio appartamento per festeggiare il nuovo anno in compagnia dei suoi camerati. Oltre al padrone di casa sono presenti anche Zorzi e Siciliano. Dopo essersi intrattenuti con delle prostitute, i tre banchettano con massicce dosi di alcolici e carne di tacchino, mentre ascoltano a tutto volume i dischi delle marce naziste che Siciliano ha portato con sé da casa. Tra gli argomenti di conversazione della serata saltano fuori inevitabilmente anche i recenti attentati di Roma e Milano.

«Delfo ci fece chiaramente capire che gli anarchici non c’entravano. Non si attribuì personalmente la responsabilità, ma disse in sostanza: “Siamo stati noi a fare quella roba, noi come organizzazione”».

Diversa la versione di Vianello che non colloca la cena in questione nel 1969 e nega il dettaglio della rivelazione in oggetto. A ogni modo non è la prima volta che il nome di Zorzi emerge nel corso di un’inchiesta sui fatti di Piazza Fontana. Il neofascista veneto è stato cercato dai giudici in più occasioni e durante differenti indagini sul terrorismo nero, dalle prime inchieste del 1969 fino a processi più recenti.