Qui potrai trovare una vasta rassegna di materiali aventi ad oggetto uno dei periodi più interessanti della recente storia repubblicana, quello compreso tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Ottanta del secolo scorso.
Il sito comprende sei aree tematiche e ben ventidue sottocategorie con centinaia di pezzi su anni di piombo, strategia della tensione, vicende e personaggi più o meno misconosciuti di un’epoca soltanto apparentemente lontana. Per rinfrescare la memoria di chi c’era e far capire a chi era troppo giovane o non era ancora nato.
Buona lettura e non dimenticare di iscriverti sulla «newsletter» posta alla base del sito. Lasciando un tuo recapito mail avrai la possibilità di essere costantemente informato sulle novità di questo sito e i progetti editoriali di Spazio 70.
Giangiacomo Feltrinelli: un editore alla moda, un protagonista della contestazione. È stato lui a scoprire, e a accaparrarsene i diritti, Pasternak, il diario di Guevara, i saggi, violenti e un po’ confusi, dei ribelli dell’ultima generazione. In Bolivia si è fatto arrestare per difendere il diritto alla rivoluzione. Ora è tornato sulle cronache per avere invitato ad un lungo soggiorno nella sua lussuosa villa sul lago il giovane eroe della protesta universitaria tedesca, Dutschke. È l’uomo del dissenso, l’editore dei quaderni da cinquanta lire che vanno a ruba tra i giovani. Dalle pareti, all’ingresso del suo ufficio nel quartiere chic di Milano, guardano truci e barbuti i ritratti di Marx, Lenin, Castro, Guevara, col motto a grandi lettere del Che: « Hasta la Victoria siempre». Ha 42 anni, due baffi neri da guerrigliero e, si dice, molti miliardi.
Posso farle un’intervista impertinente?
«Perché mai mi vuole intervistare?»
Perché è un personaggio del giorno d’oggi. Un personaggio contraddittorio.
«Contraddittorio? E perché?»
Ma, per esempio, l’episodio dell’arrivo di Dutschke nella sua villa. Lei ha fatto cacciare i giornalisti con gli stessi metodi di Onassis…
«Hanno tentato di scavalcare i muri del parco, di entrare in una proprietà privata. Una vera sopraffazione, un sopruso… Uno ha diritto alla propria vita privata, no?»
Pensa che Che Guevara risponderebbe così?
«Dutschke ha già subito un attentato. E poi è un uomo fragile, convalescente».
Così anche Dutschke, dopo Cohn-Bendit, si è lasciato vincere dai lussi del “sistema”. E lei, che in Italia è il profeta del dissenso, non rinunzia alle sue ricchezze. Come giustifica queste incoerenze?
«Mi rifiuto di commentare. Gli sviluppi di una rivoluzione sono lunghi e difficili, ci sono contraddizioni, c’è un processo di maturazione. Io presento dei libri, dei contributi, delle cose che si devono capire da sé».
Politicamente come si definisce? Comunista, anarchico, rivoluzionario?
«Non mi definisco. Oggi le definizioni sono arbitrarie, astratte, vecchie parole che si buttano…».
Come immagina la società migliore di domani?
«Non lo so. È una strada lunga. Si deve arrivare a qualcosa in cui le parole abbiano un senso, la vita sia vita, l’uomo e la donna siano esseri vivi liberi sciolti da costrizioni, da terrorismi…».
Quali terrorismi?
«Terrorismi. Terrorismi di vario genere».
Anche queste sono parole. Non vuole spiegarsi in modo più concreto?
«I terrorismi che provocano angoscia».
Quale angoscia?
«Ci sono due livelli di angoscia: quella consapevole, della condizione operaia e contadina, con la sua insicurezza, con la società autoritaria e le sue tecniche di schiavismo raffinato. Poi l’angoscia subcosciente: il rumore, l’inquinamento atmosferico, il dissidio tra i modelli che vengono imposti e l’impossibilità di raggiungerli».
Questo è Marcuse, parola per parola.
«Non ho mai letto Marcuse. Marcuse è soltanto uno che riesce ad esprimere in modo sistematico e coerente quello che tutti sentono».
Lei conosce queste angosce? Ha avuto un’infanzia, una vita privilegiata.
«Sì, ero in una gabbia dorata. Ma la vita entra anche attraverso le sbarre. Fin da bambino mi resi conto dell’esistenza di due situazioni di vita diverse, la mia e quella degli altri».
Mi scusi, le ho preannunziato un’intervista impertinente: ma questa differenza di situazioni di vita permane, no?
«Questo lo dice lei».
Ma non è miliardario?
«No comment. Comunque, servirebbe se invece di fumare americane e bere whisky alla sera, ci rinunziassi?».
Io penso di sì. La rivolta dei giovani è una cosa seria, ma i loro profeti li stanno deludendo. Non crede che l’incoerenza implichi una responsabilità verso di loro?
«Non ho da spiegare niente a nessuno. Devo essere in regola con me stesso e basta. Le ho detto, è in corso un processo di selezione. Alcuni falliscono, altri no. Chi non riesce ad unificare l’ideologia con la prassi, alla lunga viene smascherato. È un processo di selezione storica. Quanto a me, io sono un editore. Questo è il mio mestiere, il mio ruolo, che mi permette di esprimermi, intervenire nella realtà, contribuire a un certo sviluppo, influire sulla società. Ma non mi sopravvaluto. I moti studenteschi ci sarebbero stati anche senza le mie pubblicazioni».
Parliamo di libri. Come mai in Italia non nascono nuovi grandi scrittori?
«Perché la società italiana è in crisi. Gli scrittori sono l’espressione di una società. In Italia non esiste ancora una chiara consapevolezza dei fenomeni che sono in corso dal 1945. Questo determina l’impasse dell’intellighenzia italiana, tirata per i capelli di qua e di là…».
Mi consenta di interromperla. Ma il compito dell’intellighenzia non è proprio quello di chiarire le cose confuse? Se sì lascia tirare per i capelli, che intellighenzia è?
«L’Italia è un povero paese che diventerà sempre più povero, finché non si renderà cosciente e non scatteranno certe molle. Insisto a dire che lo scrittore non può scrivere capolavori se non è cosciente della realtà che lo circonda».
E tuttavia ”Orlando Furioso” è un capolavoro di pura fantasia.
«Lei è una donna presuntuosa. Ma sbaglia anche lei, come tutti. Le avevo messo una domanda sul piatto, ma lei non l’ha raccolta. Doveva chiedermi qual è il fenomeno che ha ridotto l’Italia e la sua intellighenzia in questo stato. Glielo dico lo stesso: la progressiva colonizzazione. Sì, proprio lo scadimento dell’Italia al rango di colonia e il conseguente graduale aumento del divario con i paesi economicamente più sviluppati. Questo è un fenomeno che non ha precedenti. In più, c’è il fenomeno della colonizzazione del Sud da parte del Nord».
È proprio sicuro che nella scomparsa del genio italiano non ci sia, almeno nel campo delle lettere, anche qualche responsabilità degli editori?
«C’è una responsabilità di tutte le strutture culturali. Oggi la cultura è diventata strumento di coercizione, di pressione, di irreggimentazione. L’industria culturale ha il problema di creare dei prodotti per il consumo. Per assurdo, oggi bisognerebbe fare una casa editrice della non cultura… Comunque, io posso dire che pubblico solo i libri che mi piacciono. È un criterio soggettivo, non lo nego. Per me, pubblicare, è un divertimento. Mi sono divertito a pubblicare quei 60 o 70 opuscoli di poche pagine, al prezzo di cinquanta lire. Pareva un’impresa fallimentare, e invece si paga».
Parliamo di lei. È soddisfatto di sé, della sua vita?
«Ma sì, sono soddisfatto, perché nella mia vita c’è una certa linearità, sia pure con momenti di incertezza. Gioia di vivere? Me la danno le cose più disparate: l’amore, l’essere riuscito a fare una certa cosa, ad entrare in rapporto con una certa persona. Non sono il commendatore milanese, io. Non ho bisogno del rumore del motoscafo per essere felice».