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Per risolvere il mistero di Emanuela Orlandi, c’è un’altra domanda-chiave alla quale rispondere: con chi aveva appuntamento Emanuela la sera della scomparsa? Un interrogativo strettamente collegato a un altro sollevato alcuni articoli fa e relativo alle motivazioni che, all’uscita dalla scuola di musica di piazza S. Apollinare, la spinsero ad andare su corso Rinascimento piuttosto che dalla sorella Cristina e dagli amici con i quali aveva appuntamento al Palazzaccio.
Ma se quel dilemma scaturì dalle contraddizioni su fatti avvenuti perlopiù fuori dall’istituto, questo nasce dall’analisi di quel 22 giugno 1983 dentro la T. L. Da Victoria. Dove la giovane cittadina vaticana arrivò intorno alle 17, prendendosi i rimproveri dell’insegnante di flauto per il ritardo, e dove esternò la sua fretta di andar via prima della fine delle lezioni all’amica Laura Casagrande, come raccontò la stessa ai Carabinieri il 4 agosto 1983: «Dopo ciò (il rimprovero, ndg) Emanuela si univa al nostro gruppo, sempre in sala di attesa, parlando della lezione di canto corale che avrebbe dovuto durare più del solito, la stessa diceva che lei doveva assolutamente terminare per le ore 19,00 in quanto doveva uscire».
Quel giorno però la lezione non durò più del solito, ma un po’ meno (18:50). Perché alle 19 proprio il professore di canto corale, monsignor Valentino Miserachs, celebrò nella cappella della scuola le nozze d’argento degli inservienti della struttura, i coniugi De Lellis.
Casagrande non fu la sola a ricordare quell’esigenza di Emanuela, che di lì a poco venne manifestata anche a un’altra studentessa a lei cara: Sabrina Calitti. Questa notizia finì subito agli atti, precisamente nella relazione dell’ispettore della Squadra Mobile, Pietro Dessì, del 27 giugno 1983, che avrebbe meritato ben altri sviluppi investigativi: «La Calitti ha dichiarato, inoltre, che la sera del 22 c.m. la Orlandi, nel corso della lezione dalle ore 18 alle ore 19, le aveva confidato che era sua intenzione anticipare l’uscita in quanto aveva un appuntamento, senza specificare altro». Convocata dalla stessa Squadra Mobile soltanto il 29 luglio 1983, cioè quasi quaranta giorni dopo la scomparsa, Calitti confermò la circostanza: «Durante detta lezione (quella dalle 18 alle 19, ndg) mi ha chiesto che ora fosse, manifestando una certa fretta; mi diceva, appunto, che per le ore 19 era sua intenzione scendere in strada. Non mi ha precisato, però, il motivo di tale fretta». Ma non le venne la curiosità di conoscerlo? E in due inchieste giudiziarie archiviate (una terza è in corso), a nessuno è mai venuto in mente di domandarglielo?
Ma torniamo a Emanuela Orlandi. L’urgenza di uscire anzitempo era così forte che, a pochi minuti dalla fine della lezione, chiese e ottenne da monsignor Miserachs il permesso di lasciare l’aula. Al che si diresse nella cabina della scuola e telefonò a casa per chiedere un parere su un’offerta di lavoro che avrebbe ricevuto da un uomo, un paio di ore prima, su corso Rinascimento, proprio mentre stava andando a lezione: volantinare il successivo sabato 25 giugno per conto della casa di cosmetici Avon, a una sfilata di moda delle Sorelle Fontana, in cambio di una somma astronomica per l’epoca (375.000 o 350.000 lire). Una proposta inverosimile che abbiamo già trattato in un precedente articolo.
Emanuela voleva parlarne alla mamma, che però non era in casa. Così scambiò due parole con la sorella Federica, che la invitò a lasciar perdere: «Le dissi che sarebbe stata sicuramente una “fregatura”, ma lei non mi ha risposto e per concludere diceva che sarebbe venuta a casa», dichiarò ai Carabinieri il 29 luglio 1983. Poi specificò anche come Emanuela le avesse detto che l’appuntamento con quell’uomo avrebbe dovuto tenersi su piazza S. Apollinare. Però, quando vi giunse, di quell’individuo non trovò manco l’ombra. Sennonché lei non si mosse verso la sorella e gli amici, ma nella direzione opposta. Su corso Rinascimento. Alla fermata dell’autobus all’epoca di fronte al Senato della Repubblica. Dove sostò a lungo. Almeno fino alle 19:20, come disse la compagna di musica Raffaella Monzi a suor Dolores, la direttrice dell’istituto, che la interpellò telefonicamente nelle ore successive alla scomparsa, tanto che l’orario finì subito nella denuncia di scomparsa di Natalina Orlandi (23 giugno 1983).
Quando prese l’autobus 70, Monzi lasciò Emanuela a terra. Raffaella fu l’unica delle studentesse della Da Victoria a sapere del lavoro per la Avon. Agli inquirenti riportò che Emanuela si sarebbe trovata a quella fermata proprio per rispondere a chi glielo aveva proposto. Però alla Squadra Mobile, il 9 luglio 1983, specificò anche come la cittadina vaticana le avesse detto di averlo ricevuto «insieme ad una sua amica, senza precisarne il nome, a una sfilata, senza chiarire che tipo di sfilata era». Un’affermazione per un duplice contrasto: con la versione che collocherebbe quella proposta al giorno stesso su corso Rinascimento prima di giungere a lezione e con le parole apprese da Federica Orlandi poc’anzi citate (appuntamento su piazza S. Apollinare).
Sul 70 salirono anche altri iscritti alla Da Victoria: Maurizio Cappellari, Tina Vasaturo (mai sentiti dagli inquirenti, ci parlai rispettivamente nel luglio 2010 e nel gennaio 2011: non ricordavano nulla di quella sera) e soprattutto Maria Grazia Casini. Al pari di Casagrande e Calitti, anche lei quel pomeriggio fu al corrente dell’impazienza di Emanuela Orlandi. Nel nostro primo incontro, 26 novembre 2009, si ricordò come, prima dell’inizio della lezione di canto, le avesse chiesto «a che ora sarebbe finita la lezione, perché aveva urgenza d’andare via». Secondo Casini, Emanuela disse anche «d’avere un appuntamento, un impegno…».
In quel periodo, stavo conducendo le ricerche per la mia tesi di laurea sul caso. Parlai anche con un’altra ex studentessa della Da Victoria, mai sentita dagli inquirenti, S.C. Pure lei rammentò la necessità di Emanuela – «A un certo punto, mancava poco alla fine della lezione, chiese d’andare via in anticipo. Tanto che pensammo avesse un appuntamento» – che vide per l’ultima volta durante la lezione. Casini invece la ritrovò alla fermata del 70. Dove la lasciò. Non da sola, ma insieme a un’altra allieva della scuola: poco più bassa di Emanuela, capelli corti, ricci e neri. La rosa blu di Atto di Dolore. L’ultima persona insieme alla giovane cittadina vaticana, ma mai identificata in oltre quarant’anni.
Casini ne parlò in tutte e tre le sue audizioni con gli inquirenti tra il 13 e il 29 luglio 1983. Nella prima rilevò un aspetto interessante: «Sembrava che le due ragazze fossero in attesa di qualcuno e l’atteggiamento di Emanuela era molto teso». Parole che, richiamando la domanda di apertura, inducono anche a chiedersi: Emanuela si trovava a quella fermata perché era il luogo di quell’appuntamento che tanto le premeva? E anche l’amica era lì per lo stesso motivo? Se si conoscesse la rosa blu, queste domande avrebbero una risposta.
Fra le testimoni dell’impellenza di Emanuela quel giorno fin qui trovate, Casagrande e Calitti sono le uniche che hanno dato versioni contraddittorie su quando videro per l’ultima volta la loro amica. Se nella relazione di Dessì si legge che entrambe e Casini l’avevano «notata ferma, in corso Rinascimento davanti alla fermata del 70 in direzione di Corso Vittorio», singolarmente Calitti disse che «né alla fermata dei mezzi pubblici, né durante il tragitto da scuola a corso Vittorio ho più notato la Emanuela». L’ultima volta era stata all’uscita dalla Da Victoria: «Mi sono fermata qualche minuto sul portone della scuola. Subito dopo ho visto Emanuela scendere le scale; mi è passata davanti, ci siamo salutate e quindi l’ho vista allontanarsi verso corso Rinascimento».
Casagrande addirittura ribaltò la dinamica. Da vedere Emanuela alla fermata dell’autobus a salutarla su piazza S. Apollinare insieme ad altri studenti: «Terminata la lezione, siccome io andavo di fretta e in compagnia della mia amica Maria Teresa P., abbiamo preceduto sia l’Emanuela che tutto il gruppo. […] Quando ci siamo riuniti, nel cortile esterno della scuola, vedendo che il gruppo si attardava a parlare, ho deciso di avviarmi verso la mia abitazione, sempre in compagnia della mia amica M. T. Durante il tratto di corso Rinascimento che ho percorso a piedi, mi sono girata diverse volte per controllare se il gruppo si era mosso. Durante tali controlli ho appurato che Emanuela era circa venti metri più indietro di me e che più indietro venivano tutti gli altri. Arrivata quasi alla fine di corso Rinascimento mi sono di nuovo girata vedendo solo gli amici, mentre Emanuela non vi era più».
Alcune domande: ma se ci preme raggiungere una meta, perché perdere tempo con un’azione come il voltarsi indietro (e più volte)? E poi: perché questo bisogno di «controllare se il gruppo si era mosso»? Dinamica più da gara ciclistica che da spostamento a piedi. Normale poi che non avesse più visto Emanuela, dato che era rimasta alla fermata del 70 che, dalla fine del corso, distava circa quattrocento metri.
L’unica testimone coerente con gli accertamenti svolti da Dessì fu Maria Grazia Casini. Sia nelle dichiarazioni dirette che de relato. Perché la rosa blu è presente fin dalla denuncia di scomparsa di Natalina Orlandi, sorella di Emanuela, del 23 giugno 1983: «Mia sorella Federica ha telefonato a un’altra compagna di scuola di Emanuela, Casini Maria Grazia, che ha riferito di aver lasciata mia sorella, verso le ore 19:20, alla predetta fermata dell’autobus in compagnia di altra coetanea della quale non si conosce il nome». Come pubblicato inedito in Atto di dolore, suor Dolores riuscì a individuarla. Ma non gli inquirenti.
In diversi, nel corso degli anni, le hanno dato un nome. Peccato lo abbiano fatto senza lo straccio di un riscontro. Anzi, nella documentazione giudiziaria sulla vicenda, si trovano informazioni nella direzione opposta. «All’uopo il Reparto Operativo dei CC procederà ad una ricognizione fotografica allo scopo di identificarla» scrisse il Sisde il 30 luglio 1983. E nella sentenza di archiviazione della prima inchiesta giudiziaria (1997) si legge che Emanuela fu lasciata alla fermata del 70 «in compagnia di altra ragazza, sconosciuta alla Monzi e comunque anche in seguito mai identificata». Da sottolineare, infine, quanto detto da Calitti alla Squadra Mobile: «Il fatto che Emanuela è stata vista alla fermata di corso Rinascimento con una ragazza dopo che altre ragazze avevano preso l’autobus 70, mi è del tutto nuovo».
Lei e Casagrande sono anche le uniche ex studentesse della Da Victoria, testimoni note di quella sera, che hanno rifiutato di incontrarmi. Non che la cosa abbia un particolare significato, ma è un altro dato di fatto da inserire nel contesto della vicenda, se si considera che ho parlato con oltre cento persone tra ex allievi, docenti e personale della scuola. Casagrande reagì infastidita già alla prima richiesta tra la fine del 2010 e l’inizio del 2011, per poi imboccare la comoda strada dell’indifferenza. Invece Calitti, che aveva inizialmente mostrato una interessante apertura a incontrarci, cambiò rapidamente idea per poi farmi contattare da persona a lei cara affinché non la disturbassi più. Le risposi che mi sarei basato sui documenti.
Questi silenzi non cancellano però le domande su che cosa Casagrande e Calitti videro quella sera e perché rilasciarono versioni differenti. Non dimentichiamo poi che Antonio Vignera, altro studente della Da Victoria e amico di Emanuela Orlandi, il 20 luglio 1983 alla Squadra Mobile riferì che a quella fermata vi sarebbe stata anche un’altra studentessa della scuola, tale Federica. Lo apprese dalla stessa, che però non fu mai interrogata e di cui, perché non verbalizzato, non conosciamo il cognome. Come per la Federica del diario di Emanuela. Erano la stessa persona? Era lei la rosa blu?
Domande a non finire, alle quali si può e si deve dare una risposta, una volta per tutte. Emanuela Orlandi quel 22 giugno si dimenticò della sorellina e degli amici al Palazzaccio per dirigersi dalla parte opposta. Dove si persero per sempre le sue tracce. Nella sua audizione davanti alla Commissione Parlamentare di Inchiesta, lo scorso 30 maggio, Pietro Meneguzzi ha ipotizzato che la cugina potrebbe aver seguito qualcuno di cui si fidava. Uno scenario logico e condiviso da molti. Forse la stessa persona dell’appuntamento di cui Emanuela parlò a diverse compagne della scuola di musica? Ancora non lo sappiamo.
Nessuno notò alcunché di anomalo e diversamente non avrebbe potuto essere, visto che corso Rinascimento è uno dei luoghi più trafficati di Roma e soltanto un pazzo penserebbe di portar via qualcuno con la forza. Federica Orlandi di fronte ai Carabinieri nel 1983 non seppe spiegarsi la scelta della sorella, che quella sera ebbe un valido motivo per andarsene per proprio conto. Un motivo, in quel momento, ai suoi occhi di quindicenne, più importante degli affetti più cari e forse connesso all’appuntamento di cui sopra? Siamo ancora nel campo delle incognite. Ma risolvendo questa, si potrebbero risolvere le altre. Per arrivare finalmente alla verità.