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Dalla contestazione al terrorismo internazionale. La carriera e il fantasma di Ina Siepmann

Redazione Spazio70

Di carattere originariamente riservato e accomodante, Siepmann troverà la sua reale dimensione politica nella Berlino Ovest della seconda metà degli anni Sessanta. I fatti del 2 giugno '67 e l’attentato a Dutschke la trascineranno sul binario della assoluta dedizione alla lotta antimperialista

di Gianluca Falanga*

Il suo nome compare nella lista dei “caduti” in fondo al comunicato, diffuso dalla Reuters il 20 aprile 1998, col quale la Rote Armee Fraktion (RAF) annunciò il proprio autoscioglimento, dichiarando esaurita dopo quasi tre decenni di attentati e omicidi l’esperienza della lotta armata socialrivoluzionaria in Germania. Ina Siepmann è menzionata al terz’ultimo posto nell’elenco dei 26 compagni che diedero la vita per la causa, ordinati cronologicamente per data di morte, sebbene quest’ultima, nel suo specifico caso, non si conosca. Anzi, le stesse circostanze in cui la donna avrebbe trovato la morte all’inizio degli anni ottanta non sono mai state definitivamente accertate. Per questo motivo, il nome Siepmann viene spesso annoverato, e non a torto, anche in un altro elenco, quello dei militanti tedeschi scomparsi, di cui si sono perdute le tracce da molto tempo e fino a oggi non è dato sapere con sicurezza che fine abbiano fatto: Friederike Krabbe, Ingeborg Barz, Angela Luther e appunto Ina Siepmann, per citare solo quelli della prima e seconda generazione.

La sua storia ci rimanda alla fine degli anni sessanta, alle origini della Stadtguerilla nella Germania occidentale. La vasta storiografia tedesca sull’argomento ha da tempo abbandonato il concetto di involuzione o deriva terroristica del Sessantotto per descrivere la stagione del passaggio dalla rivolta studentesca alla lotta armata condotta da organizzazioni clandestine di matrice socialrivoluzionaria. Quest’ultime fecero la loro comparsa alle soglie degli anni settanta come esito di un percorso di legittimazione della violenza quale strumento di lotta politica e “risorsa” rivoluzionaria. Tale processo era già cominciato prima della crisi del movimento studentesco e del riassorbimento della contestazione. Idee e prassi della “guerriglia metropolitana” non maturarono in un’area periferica, le cosiddette “frange estremiste”, bensì al centro, nel cuore del movimento antiautoritario e in relativa autonomia rispetto alla reazione repressiva dello Stato.

ANTISIONISMO E ANTISEMITISMO CATALIZZATORI DELLA LOTTA ARMATA IN GERMANIA

Una immagine giovanile di Rudi Dutschke, ai tempi degli studi in sociologia e filosofia presso la Freie Universität di Berlino (fotografo sconosciuto, fonte: archivio di ateneo della FU, fascicoli studenti, StudA/37814)

Rudi Dutschke, leader e icona del Sessantotto tedesco, fu uno dei primi in Europa a pensare concretamente l’organizzazione clandestina della guerriglia urbana, quale pendant metropolitano di quella rurale latino-americano e nel cosiddetto “Terzo Mondo”. Nel ruolo di ideologo, ispiratore e promotore della violenza politica, Dutschke ebbe un peso determinante nella rapida radicalizzazione della subcultura giovanile nella Berlino ovest degli anni sessanta. Come attestano le annotazioni private conservate presso l’archivio dell’Istituto di Storia sociale di Amburgo, fin dal 1966 Dutschke rifletteva su come adattare la guevarista dottrina dei focolai alle specifiche condizioni di Berlino, organizzando primi nuclei paramilitari clandestini. Dopo i drammatici fatti del 2 giugno 1967, culminati nell’assassinio dello studente Benno Ohnesorg, e per effetto del sodalizio politico con Giangiacomo Feltrinelli, arrivò il cambio di passo, con lo sviluppo di linee di strategia militare per attrezzare il movimento allo scontro frontale con lo Stato. Non è certo un caso che gli epicentri della militarizzazione della lotta politica in Germania ovest furono proprio quelle città (Berlino ovest, Francoforte, Monaco) dove la frazione dutschkiana della Lega studentesca era stata dominante.

La coppia Kunzelmann-Siepmann, a Berlino Ovest, durante il concerto di Jimi Hendrix (24 gennaio 1969)

Nell’inquieto catino della mezza città murata, culla della contestazione nonché laboratorio dei primi esperimenti di guerriglia urbana in Europa, Ina ci arrivò nel 1966, quando il fermento cominciava a montare. A Berlino ovest ci venne per seguire il marito, un ex compagno di scuola sposato pochi mesi prima, il filosofo marxista Eckhard Siepmann, una delle teste d’uovo del movimento studentesco. Ina (per l’anagrafe Ingrid Trautwein) era nata il 12 giugno 1944 a Marienberg, in Sassonia, ed era cresciuta a Schwelm, un piccolo centro della Vestfalia, in una famiglia pietista di farmacisti, il padre era un politico locale del CDU. Nel 1964 era rimasta incinta, aveva abbandonato gli studi di letteratura greca e si era iscritta a un corso di formazione per tecnici di laboratorio farmaceutico. Di carattere riservato, accomodante, era un tipo che passava inosservato. Berlino la trasformò e non solo nel look: nella leggendaria Kommune 1 conobbe l’anarchico Dieter Kunzelmann, di cui divenne la compagna. Le proteste contro la guerra in Vietnam e il regime dello scià di Persia, la sproporzionata durezza della reazione poliziesca e giudiziaria alle clownesche provocazioni dei comunardi, ma soprattutto il 2 giugno e l’attentato a Dutschke, la trascinarono sul binario della radicalizzazione. Kunzelmann la convinse a liberarsi del figlio, il piccolo Fritz, che affidò alle cure dei nonni, per dedicarsi completamente alla lotta antimperialista.

Faruq al-Qaddoumi all’ONU

Nell’estate 1969, Kunzlemann venne espulso dalla comune, Ina lo seguì alla ricerca di opportunità per una più incisiva e radicale militanza. Alla fine di luglio, insieme a una ventina di compagni, partirono per Roma, dove furono ospiti per un mese del gruppo anarchico degli Uccelli. Poi, con Georg von Rauch, Albert Fichter e Lena Conradt decisero di proseguire verso i Balcani, fino al Medio Oriente. A finanziare la spedizione pare sia stato Feltrinelli, che fornì le credenziali per presentarsi alla dirigenza palestinese. I cinque raggiunsero Amman il 5 ottobre 1969, incontrarono Arafat e più volte Faruq al-Qaddumi, nome di battaglia Abu Lutf, cofondatore di Fatah, membro del Comitato esecutivo OLP e futuro “ministro degli Esteri” di Arafat, aveva organizzato il servizio segreto palestinese (Rasd), poi affidato al comando di Salah Khalef alias Abu Ayad. In un campo alla periferia della capitale giordana ricevettero addestramento militare, con attenzione particolare al confezionamento di ordigni esplosivi e detonatori a tempo. Il 22 ottobre 1969 il gruppo di Kunzelmann fece ritorno in Germania per formare l’organizzazione terroristica Tupamaros West-Berlin (TWB). Ina Siepmann, invece, fu lasciata ad Amman, a lavorare in un ospedale da campo per profughi, ma soprattutto a fungere da “residente” dei TWB e coordinatrice dell’intesa operativa tedesco-palestinese concordata con Qaddumi.

LA CAMPAGNA TERRORISTICA DEL FEBBRAIO 1970

Albert Fichter

In Germania ovest, il fenomeno della lotta armata trovò nella solidarietà con la lotta palestinese il suo principale catalizzatore. I rapporti di scambio, cooperazione e assistenza reciproca che legarono tutte le compagini del terrorismo tedesco-occidentale alle organizzazioni palestinesi in guerra con Israele furono, per ammissione degli stessi militanti, indispensabili ad assicurare la sopravvivenza dei gruppi armati tedeschi. L’esordio del connubio terroristico tedesco-palestinese data 9 novembre 1969 ed è dunque precedente alla costituzione della RAF nella tarda primavera del 1970. Nel trentunesimo anniversario della Notte dei cristalli, Albert Fichter depose una bomba a orologeria nella sede della comunità ebraica a Berlino ovest. L’ordigno doveva esplodere mentre era in corso una cerimonia di commemorazione delle persecuzioni naziste del novembre 1938, ma un difetto tecnico ne impedì la detonazione (dal 2005 sappiamo che a consegnare la bomba a Fichter fu Peter Urbach, agente provocatore del Verfassungsschutz infiltrato nella Kommune 1). Il fallito attentato fu indirettamente rivendicato da Kunzelmann il 13 novembre dalle colonne del foglio agit 883, organo di stampa ufficioso dei TWB, con un pezzo intitolato Schalom + Napalm: «Ogni gesto commemorativo in Germania trascura che la Notte dei cristalli del 1938 si ripete oggi quotidianamente nei territori occupati dai sionisti, nei campi profughi e nelle prigioni israeliane, gli ebrei perseguitati dal fascismo sono divenuti loro stessi fascisti, che d’intesa col capitale americano vogliono sterminare il popolo palestinese.»

Ingrid “Ina” Siepmann

Gli appelli di Kunzelmann pubblicati su agit883, le lettere che Ina Siepmann inviava da Amman e ad altri appunti e annotazioni diaristiche, sequestrati dalla polizia nei covi dell’organizzazione smantellata nell’estate 1970, contengono numerosi ed espliciti riferimenti che spingono a ritenere assai probabile il coinvolgimento dei TWB e della “succursale” bavarese, i Tupamaros München, nella catena di attentati del febbraio 1970, che in soli undici giorni fecero ben 55 morti. L’operazione più sanguinosa, rivendicata dal FPLP-GC di Ahmed Jibril, fu il massacro di Würenlingen del 21 febbraio (un volo Swissair precipitò per l’esplosione di un pacco bomba nella stiva, la cellula palestinese che l’aveva spedita da Monaco era comandata da Sufian Kaddoumi, parente, forse il fratello del dirigente dell’OLP), l’attentato più sconcertante e infame fu invece l’incendio appiccato alla casa di riposo ebraica nella Reichenbachstraße a Monaco, nel quale la sera del 13 febbraio 1970 trovarono la morte sette anziani ebrei, cinque dei quali sopravvissuti alla Shoah.

Olimpiadi di Monaco 72. Un militante di Settembre nero appare sul balcone dell’appartamento con all’interno gli ostaggi della squadra olimpica israeliana (Kurt Strumpf/AP)

Dalle indagini emersero gli intensi contatti, subito instaurati dai tedeschi al rientro dalla spedizione giordana, con Nabil Nasser, Amin al-Hindi, Hayel Abdel-Hamid e Hani Hassan ovvero i dirigenti dell’Unione generale degli studenti palestinesi (GUPS) a Francoforte, la principale testa di ponte delle strutture clandestine di Fatah in Germania ovest (Arafat li chiamava la “banda dei tedeschi”). Da una lettera di Georg von Rauch sequestrata in un appartamento utilizzato da Kunzelmann a Berlino si poté apprendere inoltre che, già nell’estate 1970, i TWB progettavano azioni contro le Olimpiadi di Monaco del 1972, fra queste un assalto armato alla cerimonia d’apertura e un attacco al villaggio olimpico. Nessun riferimento agli atleti israeliani: i Tupamaros tedeschi volevano protestare contro la commercializzazione e la strumentalizzazione politico dello sport, nonché vendicare la strage degli studenti massacrati nel 1968 a Città del Messico, a dieci giorni dall’ultima edizione dei Giochi olimpici. Appare tuttavia assai probabile che furono i tedeschi a richiamare l’attenzione dei palestinesi sul più grande evento sportivo internazionale e a suggerire l’idea di una spettacolare operazione, magari proprio un sequestro di atleti. Operazione alla quale Kunzelmann e compagni non poterono però partecipare, perché nel 1972 si trovavano tutti in prigione da oltre un anno (ed è forse anche per questo motivo che i capi di Settembre nero si rivolsero a una cellula neonazista per la cura dell’organizzazione logistica).

RAJA, UNA FEDAYN TEDESCA

Emblema del Movimento 2 Giugno (M2G)

Ina Siepmann, che continuava a fare la spola fra Berlino e Amman, fu arrestata il 23 luglio 1970. Non riuscirono a provare il suo coinvolgimento nel fallito attentato alla Gemeindehaus ebraica e venne presto rilasciata. Ina ne approfittò per entrare in clandestinità aderendo al Movimento 2 Giugno (M2G), compagine spontaneista, estranea alla rigidità ideologica e organizzativa di matrice leninista della RAF, e formata quasi esclusivamente da elementi provenienti dall’underground anarcoide berlinese. Forte dell’esperienza in Medio Oriente, i compagni la giudicarono un elemento capace di gestire i collegamenti esterni con altre organizzazioni. La mandarono in Italia (perché pare parlasse italiano) a imbastire rapporti con Potere operaio e le Brigate rosse attraverso la struttura di raccordo in Svizzera. Di lei si ricordano Alberto Franceschini e il pentito Carlo Fioroni, che la identificò, nel febbraio 1980, con la compagna tedesca che aveva conosciuto nel 1973 a casa del direttore di Controinformazione, Antonio Bellavita. Dalla corrispondenza di Toni Negri con la storica Gisela Bock, all’epoca assistente universitaria a Berlino ovest, sempre nel 1973 avrebbe incontrato anche il professore padovano.

Peter Lorenz

L’arrestarono di nuovo appena rientrata in Germania, alla fine di ottobre del 1973. Questa volta la condannarono a tredici anni per la partecipazione a varie rapine di finanziamento. Il 27 febbraio 1975, un nucleo del M2G rapì il candidato sindaco di Berlino, il cristiano-democratico Peter Lorenz, a tre giorni dalle elezioni. Il governo federale cedette alle richieste dei sequestratori, scarcerando sei terroristi in cambio della liberazione dell’ostaggio. La mattina del 3 marzo 1975 un Boeing 707 della Lufthansa decollò dall’aeroporto di Francoforte con destinazione Yemen, a bordo Rolf Heissler e Rolf Pohl della RAF, Verena Becker, Gabriele Kröcher-Tiedemann e Ina Siepmann del M2G (Horst Mahler rifiutò lo scambio, abbandonando la lotta armata). Il pastore Heinrich Albertz, che li accompagnò (a garanzia della loro incolumità), fu impressionato dai modi e dal carisma di Ina: «Si scusò per l’insolenza dei suoi compagni maschi che avevano voluto per forza perquisirmi e, sorvolando la Svizzera, mi invitò a godermi il meraviglioso panorama delle Alpi. Più la osservavo, durante le dieci ore di stremante traversata, più mi convinsi che fosse lei la più tenace e resistente del gruppo. Mentre gli altri si eclissavano per la stanchezza, la Siepmann redigeva concentrata il testo di una comunicazione in inglese da consegnare al governo yemenita.»

Wadie Haddad

Ad Aden, capitale della Repubblica democratica popolare dello Yemen del Sud, si trovava allora la principale struttura di addestramento per militanti delle organizzazioni rivoluzionarie e mercenari del terrore. La gestivano il Fronte popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP) e l’organizzazione di Wadie Haddad, il mastermind del terrorismo internazionale. L’ex colonia britannica, indipendente dal 1968 e rapidamente sovietizzata, pullulava di consiglieri militari e agenti del KGB e della Stasi tedesco-orientale. In cambio dell’assistenza prestata da Mosca e Berlino est all’organizzazione delle forze armate e dell’apparato di sicurezza, il regime comunista sud-yemenita aveva permesso alla Marina sovietica di impiantare nel Golfo di Aden una base navale di grande importanza strategica. Nel corso del 1974, per effetto della collaborazione concordata con Haddad, i servizi sovietici avevano consentito l’apertura del campo di addestramento, del quale i tedeschi erano assidui frequentatori (la RAF ci preparò il sequestro Schleyer e le operazioni del cosiddetto Deutscher Herbst).

Un’altra immagine di Ina Siepmann

Non sappiamo quanto a lungo Ina Siepmann si trattenne ad Aden. Secondo taluni sarebbe passata alla RAF come Verena Becker. A Wiesbaden il BKA la sospettò di partecipazione all’assassinio del procuratore generale Buback a Karlsruhe. Altri sostengono che fosse diventata a tutti gli effetti una fedayn del FPLP o che comunque lavorasse per loro, vivendo fra Aden e Bagdad. Di sicuro il rapporto con i palestinesi e le loro strutture clandestine a cavallo fra Europa e Medio Oriente era rimasto molto stretto dai tempi della Giordania. Il suo profilo era evidentemente quello di un quadro internazionale, paragonabile alla Gabriele Kröcher-Tiedemann, anche lei del nucleo storico del M2G e inserita nel commando che agli ordini di Carlos assaltò la sede dell’Opec a Vienna nel dicembre 1975. Stando alle testimonianze dei compagni, Ina premeva per un maggiore impegno internazionalista di una formazione clandestina che preferiva invece conservare un forte radicamento sul territorio. Vale a dire, si era prodotta anche nel M2G, intorno agli orizzonti internazionali dell’azione, una tensione simile a quella che si creò nelle Cellule rivoluzionarie, fino a provocarne la scissione in un’ala internazionalista e un’altra nazionale nella seconda metà degli anni settanta. L’agilità con la quale Ina Siepmann si muoveva in una dimensione transazionale fa pensare che svolgesse funzioni di raccordo fra le organizzazioni tedesche e la galassia palestinese. Molto lascia presuppore che fosse inserita nella rete europea del FPLP gestita da Haddad, di cui Carlos fu il capo militare almeno fino alla fine del 1975.

INA SIEPMANN E LA STASI 

Il rapimento Palmers sulla stampa austriaca

Alla fine degli anni settanta, Ina Siepmann era una delle terroriste tedesche ricercate da più tempo. Dalle prime molotov lanciate dalle barricate a Berlino ovest, la sera dell’attentato a Dutschke, agli attacchi incendiari dei Tupamaros, alle rapine e infine agli addestramenti nel deserto yemenita era trascorso ormai quasi un intero decennio. Continuava a muoversi e operare in clandestinità quando quelli della sua generazione, la prima dei “guerriglieri metropolitani” tedeschi, erano quasi tutti morti, in carcere o avevano preferito lasciare la lotta armata. Nel 1981 compariva ancora fra i ricercati ma il BKA l’aveva persa di vista dalla fine del 1977. Con tutta probabilità, partecipò al sequestro Palmers nel novembre di quell’anno. Per l’antiterrorismo di Bonn, infatti, le ultime tracce della donna erano impronte digitali individuate a Vienna in un appartamento utilizzato dal M2G per preparare il rapimento del magnate austriaco. Il sequestro fruttò alle casse dell’organizzazione un forte riscatto (circa 30 milioni e mezzo di scellini), in parte condiviso con la RAF e il FPLP.

Till Meyer in una foto degli anni Settanta

Se Bonn aveva perso le tracce, la Stasi ne sapeva di più. I terroristi tedeschi erano marcati molto stretti dalla Divisione antiterrorismo della Germania orientale, che per anni garantì loro anche protezione e sostegno logistico, per esempio consentendo loro l’utilizzo dell’aeroporto di Berlino-Schönefeld per raggiungere i paesi arabi. Ina Siepmann fece parte del commando che mise a segno l’evasione di Till Meyer dal penitenziario di Berlino-Moabit e il suo trasferimento oltrecortina. Il 27 maggio 1978, infatti, le autorità della DDR permisero a sette terroristi tedeschi armati di entrare in Germania est e riparare in Bulgaria. Quattro di loro furono catturati a Burgas il 21 giugno da un nucleo speciale del BKA. Ina Siepmann, Inge Viett e Regina Nicolai riuscirono invece a sfuggire all’arresto e a raggiungere Praga, dove furono però a loro volta fermate per i documenti falsi, identificate e interrogate dalla polizia segreta cecoslovacca StB. Dal 1977 Inge Viett teneva i contatti con la Stasi per conto del M2G e della RAF. Fu lei a esortare i funzionari cecoslovacchi a chiamare il colonnello Harry Dahl, capo dell’antiterrorismo di Berlino est (Divisione XXII), il quale non esitò a intervenire, inviando due suoi uomini a Praga per prelevare le tre donne e portarle in una base coperta del servizio nel sud del Brandeburgo.

Inge Viett

Siepmann, Viett e Nicolai alloggiarono in quella base per due settimane. In cambio dell’ospitalità, la Stasi pretese di venire aggiornata sullo stato delle cose. Gran parte dei temi toccati nelle approfondite conversazioni confluì nella relazione presentata da Dahl ai vertici politici della DDR il 3 maggio 1979, un documento chiave, col quale gli esperti dell’antiterrorismo tedesco-orientale diedero l’allarme: si stava preparando una nuova campagna terroristica palestinese, paragonabile a quella che aveva investito l’Europa all’inizio del decennio. Gli estensori del documento segnalarono il compattamento di un vasto fronte politico-militare arabo-palestinese contro gli accordi di Camp David e l’uscita dell’Egitto dal blocco anti-Israele. La nuova offensiva su larga scala mirava a colpire sia il regime di Sadat, per vendicarne il “tradimento”, sia i governi europei per i loro atteggiamenti ambivalenti nei confronti della causa palestinese e gli insufficienti progressi sulla via del formale riconoscimento politico-diplomatico dell’OLP in sede internazionale.

Ilich Ramírez Sánchez, detto “Carlos lo Sciacallo”, in una foto degli anni Settanta

Più concretamente, nel dicembre 1978 si era tenuto a Dubrovnik, in Jugoslavia, un vertice del servizio segreto palestinese con i principali gruppi armati europei e latinoamericani. Riprendendo il modello di Settembre nero, il capo del Rasd Abu Ayad e Abu Daud, regista del massacro alle Olimpiadi di Monaco 1972, avevano appaltato a Carlos l’organizzazione di un’articolata struttura clandestina, che coinvolgeva e integrava pezzi della rete internazionale ereditata da Haddad, militanti europei (soprattutto svizzeri e tedeschi) e agenti dei servizi segreti dei paesi arabi filosovietici (Libia, Siria, Iraq e Sudyemen) e doveva fungere da braccio militare del Fronte del Rifiuto. A interessare e allarmare la Stasi fu soprattutto il fatto che Carlos e il suo “stato maggiore” avevano preso quartiere a Budapest e Berlino est e tutti i segnali inducevano a ritenere che i palestinesi intendessero abusare della solidarietà della DDR per sfruttarla come base logistica, campo di manovra e rampa di lancio per attacchi contro obiettivi in Europa occidentale. Il rischio di danneggiare la sicurezza e la reputazione dello Stato, faceva presente Dahl, era molto elevato.

Johannes Weinrich da giovane

Il 12 luglio 1978 la Stasi lasciò ripartire le tre terroriste, che furono messe su un aereo in direzione Bagdad. La capitale irachena era stata indicata da loro come la loro nuova base. La Stasi continuò a seguire le tracce dei movimenti di Ina Siepmann, con un occhio alla sua non chiara connessione con l’organizzazione di Carlos. Indagando sulle circostanze dell’arresto di Verena Becker e Günter Sonnenberg a Singen (zona Stoccarda) il 3 maggio 1977, gli inquirenti occidentali avevano scoperto che i due militanti della RAF erano in viaggio verso Zurigo. Portavano con sé l’arma con la quale era stato assassinato Buback e denaro della DDR. Secondo la Stasi si stavano recando in Svizzera per un incontro con Carlos, al quale avrebbe presenziato anche la Siepmann. Anche l’ultimo ragguaglio su Ina, registrato dall’antiterrorismo della DDR, ha a che vedere con Carlos. Spiando le conversazioni del terrorista venezuelano col suo braccio destro Johannes Weinrich nella suite 3501/02 dell’Hotel Stadt Berlin, il 13 luglio 1980 l’operatore della Stasi colse un passaggio in cui parlavano di Raja, nom de guerre di Ina Siepmann, come annotò a matita il capitano della Stasi Borostowki a margine del verbale, esaminando l’intercettazione. Testualmente, Carlos e Weinrich convenivano che «Raja è la migliore del resto del gruppo.» Questa frase compare in una lunga conversazione, condotta alla presenza di due iracheni, Abu Ibrahim e Adnan Shatub, a proposito dei servizi segreti di Saddam Hussein e dei rapporti conflittuali e di concorrenza fra i regimi arabi che sostenevano la campagna offensiva dell’OLP. Il contesto è piuttosto interessante: proprio nel luglio 1980 Carlos e Weinrich erano impegnati nella preparazione di un’operazione concordata coi libici, evidentemente un attentato, col coinvolgimento di compagni svizzeri, sudamericani e tedeschi delle Cellule rivoluzionari integrati nell’organizzazione.

IL MISTERO DELLA MORTE DI RAJA

Di InaSiepmann la Stasi non seppe più nulla fino al 21 ottobre 1982, quando IngeViett, una dei dieci terroristi della RAF che si nascosero nella DDR ricevendo nuove identità, informò che Ina era morta in Libano sotto un bombardamento israeliano. Stando alla testimonianza dell’ex marito EckhardSiepmann raccolta nel 2005 da Wolfgang Kraushaar, nel 1983 due funzionari del BKA si presentarono a Berlino nel laboratorio dentistico di Klaus Mahler (fratello di Horst, cofondatore della RAF) chiedendo di potere esaminare la cartella di Ina Siepmann nell’archivio dei suoi pazienti. Mahler aveva curato i denti di Ina quando si trovava in carcere, alcuni mesi prima dello scambio con Lorenz. Sulle prime il dentista rifiutò, ma poi si convinse a collaborare allorché lo informarono di avere ricevuto da un servizio segreto amico (non specificarono quale, ma si capiva che parlavano del Mossad) una serie di calchi della dentatura di vittime di un campo palestinese nel sud del Libano bombardato durante l’invasione del paese nell’estate 1982. Sia gli israeliani che il BKA sarebbero stati certi che fra i cadaveri individuati vi era quello di Ina Siepmann. Un confronto con le lastre del dentista doveva fornire l’assoluta certezza. La verifica avrebbe avuto esito positivo, dal momento che il 30 novembre 1983 il BKA ritirò il mandato di cattura internazionale dichiarando Ina ufficialmente deceduta. Secondo Kunzelmann, anche l’OLP avrebbe confermato la cosa.

È davvero morta in Libano, Ina Siepmann? Oppure è “caduta” in un’altra operazione e la leggenda della sua morte in Libano serviva a nascondere la verità?

Sulle date e le circostanze della morte circolano oggi informazioni discordanti e che al momento non possono essere verificate a fondo, risultando il fascicolo del BKA sull’identificazione del cadavere non consultabile (ma esiste davvero?). Secondo una versione, proveniente da ex compagni di lotta del M2G, Ina Siepmann sarebbe caduta combattendo in una brigata di donne palestinesi, un razzo israeliano l’avrebbe uccisa il 9 o il 10 giugno 1982 nei pressi di Sidone. Nei documenti della Stasi si legge che gli inquirenti occidentali del BKA erano a conoscenza anche di altre versioni che davano la donna caduta sotto il fuoco dell’artiglieria delle forze dell’esercito sud-libanese, alleate di Israele, oppure caduta in battaglia nel settembre 1982 o, ancora, fra le vittime del massacro di Sabra e Chatila. Nel 2019 il Goethe institut di Beirut ha reso noto un’ulteriore circostanza, piuttosto misteriosa e difficilmente verificabile: pochi giorni prima della sua presunta morte all’inizio di giugno 1982, Ina Siepmann si sarebbe presentata all’ambasciata tedesca nella capitale libanese, chiedendo aiuto. Avrebbe avuto in braccio un neonato, concepito da una relazione con un medico palestinese conosciuto in un campo profughi. La donna avrebbe chiesto di poter rientrare subito in Germania, in cambio sarebbe stata disposta a collaborare con la giustizia offrendo informazioni sulla collaborazione fra gruppi terroristici tedeschi e palestinesi. I funzionari dell’ambasciata reagirono titubanti e perplessi, Ina sarebbe allora fuggita, sparendo nel nulla. E questa volta definitivamente.

Storico e ricercatore, Falanga ha pubblicato numerosi lavori sulla Stasi e la DDR. Il suo ultimo libro – Non si parla mai dei crimini del comunismo – è uscito recentemente per Laterza.