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Abu Nidal nelle nuove carte dell’Archivio Centrale dello Stato

Redazione Spazio70

Il governo italiano, venuto a conoscenza della frattura consumata all’interno di Al-Fataḥ —che aveva portato alla nascita del gruppo di Abu Nidal— aveva scelto di seguire la linea di Arafat. Questo non impedì ai servizi italiani di continuare a seguire il terrorista palestinese anche nei suoi viaggi in Italia

di Giordana Terracina

Al segno di V come vittoria, il 9 ottobre 1982, intorno alle ore 12, davanti alla Sinagoga di Roma si scatenò l’inferno. Due terroristi si avvicinarono all’ingresso e, dopo aver chiesto alla guardia di poter entrare, lanciarono cinque bombe a mano e iniziarono a sparare diverse raffiche di mitraglietta. Rimasero a terra quaranta feriti e un morto, il piccolo Stefano Gaj Tache.

Era Sheminì Atzeret, l’ottavo giorno di Sukkot, la festa delle capanne, e la Sinagoga di Roma era affollata per la benedizione dei bambini. Nessuno scrupolo per un giorno di festa e nessuno scrupolo per aver attaccato in una città già profondamente ferita nella sua parte ebraica dalla deportazione del 16 ottobre 1943. Nuovamente cittadini divisi ed emarginati, non considerati italiani, ma ebrei, come se questo implicasse una diversa cittadinanza e diversi diritti. Un tuffo nel passato, rinchiusi in un ghetto immaginario, le cui mura sono costruite sull’odio.

GLI AVVERTIMENTI CADUTI NEL VUOTO

Abu Nidal. La lapide alle vittime dell'attacco terroristico alla Sinagoga di Roma (9 ottobre 1982)

La lapide alle vittime dell’attacco terroristico alla Sinagoga di Roma (9 ottobre 1982)

Come è stato pubblicato da Il Riformista il 9 dicembre 2021, il governo sapeva, ma non fece nulla. Si tratta, nello specifico, di documenti dai quali traspare in maniera lampante il rischio di un attentato conto la Sinagoga di Roma di cui era stato portato a conoscenza il Servizio per le informazioni e la sicurezza democratica (Sisde), a partire dal 18 giugno 1982. Tra questi, particolarmente significativo risulta essere quello del 27 giugno, che dimostra come il Servizio fosse a conoscenza dell’intenzione di alcuni gruppi di studenti palestinesi di attaccare obiettivi ebraici a Roma con la sinagoga in cima alla lista.

Il 25 settembre venne riportato anche un possibile responsabile al ministero dell’Interno —individuato nel gruppo palestinese di Abu Nidal, dal momento che una fonte attendibile aveva parlato di suoi possibili attacchi proprio durante le festività ebraiche. Infine l’ultima informativa del 2 ottobre, a pochi giorni dall’attentato, dove nuovamente appare la segnalazione per la sinagoga.

Tutti questi avvertimenti caddero però nel vuoto, dal momento che, nei giorni segnalati, la sicurezza intorno alla sinagoga non venne rafforzata; al contrario, il giorno del 9 ottobre non era proprio presente.

LA FIGURA DI ABU NIDAL

Come da documento, responsabile dell’attentato venne individuato il gruppo di Abu Nidal, il Consiglio rivoluzionario di Al-Fatah, nato dall’allontanamento dal partito palestinese a causa delle posizioni moderate che stava assumendo Arafat nei confronti della guerra contro Israele e della scelta di non considerare il terrorismo come unica via da percorrere per la riconquista dei territori perduti nel 1973 nella guerra del Kippur.

Abu Nidal è stato rappresentante di Al-Fatah in Iraq almeno fino alla rottura, avvenuta a seguito dell’uccisione di Ahmad Abd al Ghafur, uno dei suoi migliori amici a Beirut, per ordine di Abu Jihad, leader di Al-Fatah. Un episodio che gli fornì la scusa per iniziare la caccia e l’uccisione dei membri dell’Olp.

Il suo rapporto con l’Iraq durò dal 1974 al 1983 e si sovrappose a quello con la Siria, che andò dal 1981 al 1987, e a quello con la Libia di Gheddafi.

E fu proprio durante il suo periodo in Iraq che Abu Nidal ebbe dei contatti con la rappresentanza italiana al Cairo.

DECLASSIFICAZIONE E VERSAMENTO DELLE CARTE ALL’ARCHIVIO CENTRALE DELLO STATO

Con la desecretazione dei 163 documenti riguardanti la vicenda Giovannone-Olp, effettuata recentemente dal governo Meloni, viene a galla in maniera ancora più chiara il legame esistente tra i servizi italiani e le organizzazioni palestinesi, tra le quali spiccano le figure di Taysir Quba e Bassam Abu Sharif gestito dal capocentro dei servizi a Beirut Stefano Giovannone.

Tali documenti rientrano nel più grande faldone composto da due carteggi, per un totale di 195 documenti. Il primo a essere stato declassificato è stato quello contenente 32 documenti acquisti dalla Procura della Repubblica di Roma nel corso delle indagini sul disastro aereo di Ustica, che coprono un periodo di tempo che va dal 1979 al 1982, mentre il secondo è composto da 163 documenti inerenti i rapporti SISMI-OLP negli anni dal 1975 al 1984.

Le prime carte furono versate all’Archivio Centrale dello Stato il 24 giugno 2022 sulla base dell’attuazione delle direttive 22 aprile 2014, relativa a nove stragi, e 2 agosto 2021, inerente all’organizzazione Gladio e alla Loggia massonica P2, su decisione del governo Draghi alla quale è seguita l’indicazione della Presidente del Consiglio Giorgia Meloni di far declassare e versare in anticipo all’Archivio Centrale dello Stato le restanti già coperte da segreto di Stato fino al 2014.

ABU NIDAL? COLLABORATIVO E BEN INFORMATO SULLA SITUAZIONE EGIZIANA

La loro importanza risiede nel legame con il famoso accordo non scritto, conosciuto come lodo Moro, stretto con il Fronte per la Liberazione della Palestina (Fplp), che serviva a garantire il libero passaggio di armi ed esplosivi sul territorio italiano da parte dell’organizzazione terroristica palestinese in cambio di una garanzia di esclusione da attentati futuri —tra i quali però non rientravano obiettivi americani e israeliani, intesi anche come obiettivi ebraici. Così si può leggere in un’informativa del 21 novembre 1975 sui rapporti tra un funzionario dell’ambasciata italiana e il rappresentante dell’Olp al Cairo, Abu Nidal.

Dalla descrizione del funzionario, il guerrigliero risultava persona equilibrata, disposta alla collaborazione e molto ben informata su quanto avveniva in Egitto. La sua richiesta di venire in Italia, avanzata negli incontri successivi, venne considerata positivamente dall’ambasciata prospettandosi come un’interessante collaborazione per reciproco vantaggio inteso ancora una volta a evitare delle iniziative da parte di estremisti palestinesi sul territorio italiano.

Si trattava di un’operazione riservata della quale inizialmente avrebbero dovuto occuparsi i servizi, prendendo i contatti per l’organizzazione del viaggio in Italia, per poi gestirla direttamente in proprio a prescindere dai rapporti con la rappresentanza italiana. La prima informativa si conclude infatti: «Sembra opportuno attendere iniziativa senza mostrare esserne a conoscenza», in quanto il capo missione si era confidato esclusivamente con il suo collaboratore. Da novembre si arriva al 30 marzo 1976 con un’ulteriore informativa nella quale si riporta il desiderio dell’ambasciatore Milesi Ferretti —rappresentato al ministero degli Affari Esteri nella persona del ministro plenipotenziario Giacomo Attolico, vicedirettore generale— che Abu Nidal venisse invitato in Italia a titolo di cortesia.

Vennero richieste, prima della decisione definitiva, ulteriori informazioni sulla persona di interesse. Risultò così che era il rappresentante al Cairo dell’Olp, nato a Giaffa e di origine siriana ed ex ufficiale dell’esercito giordano. Aveva già rivestito incarichi in altri Paesi arabi, in Giappone e al momento risultava nella sua posizione politica molto più vicino alla Siria che all’Egitto.

UNA PRESA DI DISTANZA A METÀ

Interessante era lo scopo del contatto, che venne visto in prospettiva di un peggioramento della situazione soprattutto in riferimento ai gruppi estremisti e a possibili attacchi all’Italia. Si pensava di stabilire un primo avvicinamento con la consegna del biglietto di viaggio, per continuare dopo con una collaborazione indiretta a fini informativi e diretta solo per questione operative. Come contropartita venne prospettata la possibilità della concessione di «piccole facilitazioni già concesse in analogia at altri gruppi».

Dopotutto tra il 1975 e il 1976 c’erano stati l’attacco alla Conferenza OPEC a Vienna e l’omicidio dell’ambasciatore Usa in Libano; l’Italia nel secondo semestre 1975 aveva assunto la presidenza di turno della CEE, con un relativo incremento nel numero degli incontri tra il Direttore generale degli Affari politici, l’ambasciatore Eugenio Plaja, e il capo del Dipartimento politico dell’Olp, Farouk Kaddumi.

Le ulteriori informative riportarono la questione del pagamento del biglietto di viaggio, fino ad arrivare a quella più significativa del 5 maggio 1976: contattato da Roma, l’ambasciatore Ferrari non vedeva da parte del ministero la necessità di far giungere in Italia l’esponente palestinese. Decisione raggiunta dopo aver interpellato i leader dell’Olp, che segnalarono come già presente nella capitale un rappresentante ufficiale con cui parlare delle note questioni.

Dunque il governo italiano era venuto a conoscenza della frattura consumata all’interno dell’organizzazione palestinese —che aveva portato alla nascita del distaccato Consiglio rivoluzionario di Al-Fatah, guidato da Abu Nidal— e aveva scelto di seguire la linea di Arafat.

Questa presa di distanza non impedì però ai servizi italiani di continuare a seguirlo e ancora il 13 novembre 1977 si poteva leggere la notizia riportata del viaggio effettuato in Italia di recente.

UN PERICOLO IMMINENTE: ABU NIDAL

Ancora nel novembre 1979, questa volta a scrivere era lo stesso Giovannone, venne riportata la notizia di ulteriori sviluppi riguardanti l’organizzazione Giugno Nero della quale alcuni membri vennero arrestati in Libano mentre agivano, in supporto dell’Iraq, nel rilancio dell’attività terroristica diretta contro Al-Fatah —che avrebbe coinvolto i Paesi europei colpevoli di aver aperto alle posizioni politiche di Arafat. Non con meno interesse venne seguita anche la scissione tra Abu Nidal e Naji Alloush, all’interno dell’organizzazione; Bagdad preferiva farli operare e gestire in concorrenza permettendo a entrambi di svilupparsi operativamente in Europa.

A distanza di un mese, nelle sembianze di un miglioramento dei rapporti Olp-Iraq, la Commissione politica di Al-Fatah —costituita da Abu Ayad, Abu Jihad e Abu al-Adeeb— fu incaricata da Arafat di fondare una quinta colonna irachena comprendente elementi provenienti dall’organizzazione di Abu Nidal e Naji Allousch, arrestati in Libano, in possesso di armi ed esplosivi e fatti rilasciare come atto di buona volontà. Poco tempo dopo il servizio di sicurezza dell’Olp scoprì però che un gruppo formato da terroristi iracheni, libanesi e palestinesi, tutti provenienti dal gruppo di Abu Nidal, stava per organizzare l’omicidio di Abu Ayad, Abu Jihad e Arafat con mezzi e documenti di provenienza irachena.

Occupati dagli avvenimenti di Ortona, con il ritrovamento dei missili Sam-7 nelle mani degli autonomi e dei palestinesi del Fplp, i Servizi sempre per mano di Giovannone, tornarono a occuparsi di Abu Nidal il 23 giugno 1981, avvicinandosi sempre di più alla data del 9 ottobre 1982.

Giovannone ebbe un incontro con i massimi esponenti di Al-Fatah, mossi dalle direttive di Arafat, per discutere del pericolo imminente rappresentato da Abu Nidal. La sua organizzazione si stava muovendo al momento da Damasco, essendosi maturato il passaggio dall’Iraq alla Siria, per dare esecuzione al piano mirante da una parte a bloccare i contatti tra i palestinesi dell’Olp e le personalità governative dei Paesi dell’Europa Occidentale —prevedendo degli omicidi mirati degli esponenti palestinesi— e dall’altra le iniziative di mediazione tra i palestinesi e gli israeliani che vedevano impegnati i leader mondiali tra cui Kreisky e Ceausescu.

CONOSCIUTO E SEGUITO IN EUROPA E IN ITALIA

Nello specifico il documento prosegue nella descrizione del gruppo incaricato di raggiungere Roma per portare a termine il progetto. La dirigenza dell’Olp richiedeva all’Italia un intervento per facilitare i contatti tra il proprio ufficiale responsabile dei servizi di sicurezza e i funzionari competenti dei servizi di sicurezza dell’Austria, Francia e Svizzera.

Nell’ultimo documento sull’argomento, del 21 settembre 1981, redatto dal direttore del SISMI, il generale Nino Lugaresi, furono inviati allegati al ministro della Difesa e al Comitato esecutivo per i servizi di informazione e sicurezza. Questi contenevano, da un lato, le misure da adottare riguardo all’attività dell’organizzazione di Abu Nidal in Europa e, dall’altro, l’evoluzione e le azioni compiute sotto la protezione irachena da Giugno Nero: contro i siriani e gli egiziani, passando ai servizi siriani dal 1980 in poi e infine nelle capitali europee come Roma, Vienna e Atene. Queste azioni erano rivendicate dal Movimento 15 maggio, data della nascita dello stato d’Israele. L’allegato comprendeva anche l’addestramento e il contenzioso con l’Italia, focalizzato sulla morte avvenuta in circostanze poco chiare di Anani Mahmoud, membro della sua organizzazione, ucciso in un carcere italiano.

Tutto ciò a dimostrazione di quanto Abu Nidal fosse seguito e conosciuto in tutte le sue articolazioni, un fattore che rende ancora più improbabile la non conoscenza da parte italiana dei suoi movimenti in Europa e in Italia in particolare.