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Agosto 1994, i «sovietici» salutano la «DDR». Alcune riflessioni

Redazione Spazio70

Dopo l'ultima parata del 31 agosto 1994, a Berlino, con il trasferimento truppe in tempo di pace più ingente della storia, l'esercito battuto senza battersi di un Paese che non esisteva più (l'Urss) abbandonava un Paese che non esisteva più (la DDR)

di Gianluca Falanga*

Per qualche giorno sono riuscito a tenermi al riparo dall’eco ferrigno delle battaglie in Ucraina, oggi sono tornate a visitarmi prepotenti le immagini di carri armati distrutti, soldati acquattati, civili in fuga, esplosioni. Stanotte non riuscivo a dormire e nel groviglio di pensieri mi ha sorpreso la memoria della cerimonia di saluto dei soldati sovietici a Berlino nell’ormai lontano agosto 1994, quando oltre mezzo milione di uomini del Gruppo di forze sovietiche occidentale e quasi 3 milioni di tonnellate di armamenti lasciarono la Germania a 49 anni dalla vittoria del 1945. I sovietici non si congedarono insieme ai contingenti alleati occidentali con un’ultima parata comune, ma per conto proprio con un solenne atto pubblico presso il monumentale memoriale ai caduti dell’Armata rossa di Treptower Park, al quale assistettero con partecipazione una grande folla di curiosi e tanti ex tedeschi orientali.

Eppure, di quelle centinaia di migliaia di donne e uomini in uniforme e delle relative famiglie, della vita che questi avevano condotto nel segreto dei loro inaccessibili insediamenti militari, poco si conosceva. Eccezion fatta per il soccorso prestato dai militari sovietici in caso di gravi incidenti, avarie e calamità nazionali, per l’assistenza alle grandi cooperative di Stato nelle stagioni dei grandi raccolti e per rituali occasioni di fratellanza «controllata» come le visite di ufficiali in scuole e collettivi di fabbrica, organizzati dalla Società di amicizia tedesco-sovietica, i contatti con la popolazione civile erano stati più che limitati, perché in sostanza vietati.

LA DURISSIMA «NAJA» SOVIETICA

I soldati sovietici, per la stragrande maggioranza di leva (la ferma era di tre anni, poi ridotta a due), conducevano una vita separata, letteralmente segregati nelle quasi 300 basi e caserme disseminate sul territorio della DDR, sottoposti a una marziale disciplina disumanizzante. La naja sovietica era durissima, non ultimo per il selvaggio regime di nonnismo (dedovščina) che la rendeva insostenibile per tante reclute, spinte al suicidio dalle sistematiche violenze dei commilitoni. Al regime repressivo nelle caserme si aggiungevano il rancio pessimo, le cure mediche di bassa qualità, l’insufficiente sicurezza sul lavoro e durante le esercitazioni. Ogni anno, stando a fonti tedesche (quelle sovietiche sono ancora sotto segreto), perdevano la vita circa 4000 soldati a causa di incidenti, violenze e suicidi per disperazione. A partire dalla seconda metà degli anni settanta la Stasi registrò con crescente preoccupazione l’aumento esponenziale di atti criminali compiuti nella DDR da soldati sovietici, spesso ubriachi o disertori: aggressioni, furti e rapine, gravi infrazioni stradali con mezzi militari, omicidi e stupri, fra il 1976 e il 1989 più di 27.500 reati, non perseguibili da parte della magistratura tedesca.

I soldati sovietici arrestati venivano consegnati ai superiori. Se e come questi venivano puniti non veniva reso noto e in genere non ne abbiamo notizia fino ad oggi. Lo stesso avveniva col personale militare sovietico responsabile dei frequenti incidenti che danneggiavano l’infrastruttura civile e provocavano morti anche di civili tedeschi. Due casi famosi: il primo, nel 1977 un’esplosione accidentale in un deposito di razzi katiuscia a Danneberg, una decina di km a nord di Berlino, scatenò una pioggia di missili sui villaggi limitrofi che per miracolo non provocò vittime civili, ma fece almeno 100 morti fra i soldati sovietici che provarono maldestramente a fermare la catena delle detonazioni; il secondo: nel 1988 il rapido Berlino-Halle si schiantò contro un carro armato T-64 sovietico abbandonato sui binari dall’equipaggio nei pressi di Jüterborg. Il carrista kazako in addestramento non aveva compreso gli ordini dell’istruttore. Bilancio della catastrofe: sei morti e 33 feriti.

I 100.000 «RUSSENKINDER»

L’improvvisa fine della Guerra fredda chiuse bruscamente la storica permanenza, il ritiro dalla Germania voleva dire rientro in un paese in dissoluzione, che sprofondava nella miseria e nel caos. Il morale basso della truppa e l’incerto futuro in patria resero il gioco fin troppo facile ai servizi di Bonn e agli americani, interessati a cogliere l’occasione irripetibile offerta dalla storia per accaparrarsi quintali di documenti riservati, fare incetta di preziosa strumentazione tecnica militare e sistemi d’arma di fabbricazione sovietica di ultima generazione, semplicemente pagandola ai soldati e comandanti in ritirata, disposti a vendere interi archivi e arsenali in cambio di elettrodomestici, automobili usate e mazzette di dollari. L’Operazione Giraffa, com’era chiamata in codice, fu la prima operazione d’intelligence congiunta tedesco-americana della nuova era post-Guerra fredda.

Dopo l’ultima parata del 31 agosto 1994 a Berlino, quella che si ritirò dalla Germania era (all’epoca) la più grande forza militare stazionata per decenni in un paese straniero. Fu il trasferimento truppe in tempo di pace più ingente della storia. L’esercito, battuto senza battersi, di un paese che non esisteva più (Urss) abbandonava un paese che non esisteva più (DDR), lasciando in quei territori che l’avevano ospitato la pesante eredità di circa 2000 km2 di terreni contaminati, discariche di rifiuti tossici e radioattivi, munizioni di ogni genere nascoste nel sottosuolo (scorie che ancora oggi ci ammorbano). Inoltre, almeno 100.000 Russenkinder, figli di soldati nati da relazioni occasionali e proibite con donne tedesche, alla ricerca dei loro padri, immediatamente rispediti in Unione sovietica dai comandanti quando venivano a sapere del concepimento. Infine, un paesaggio di ruderi, infrastrutture militari abbandonate, riconquistate dalla natura e abitate da spiriti del passato, che sembrano avere ancora tanto da raccontarci.

* Storico e ricercatore, Falanga ha pubblicato numerosi lavori sulla Stasi e la DDR. Il suo ultimo libro – Non si parla mai dei crimini del comunismo – è uscito poche settimane fa per Laterza.