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Eugenio Berrìos, il «chimico» di Pinochet

Michele Riccardi Dal Soglio

Tra gli obiettivi di Berrìos quello di riuscire a migliorare l'instabile gas Sarin, in modo da poterlo confezionare in grandi quantità e occultare in flaconi da impiegare nelle missioni contro i dissidenti

È una tranquilla giornata estiva del 1992 quando due coniugi residenti della cittadina uruguayana di Parque del Plata – un ufficiale di marina in pensione di nome Hugo Cabrera e la moglie – si presentano presso il commissariato di polizia numero 24 del distretto di Canelones accompagnando un cittadino cileno di mezza età. L’uomo, in evidente stato di agitazione, dichiara di essere stato sequestrato da militari uruguayani e cileni. Mostra anche al commissario Elbio Hernàndez Marrero dei documenti di identità che vanno a nome di tale Tulio Orellana Bravo. Allo stesso tempo sostiene che il suo vero nome sia in realtà Eugenio Berrìos Sagredo: quei documenti falsi, dice, gli sarebbero serviti per entrare illegalmente in Uruguay l’anno prima. Il cileno chiede pertanto di essere arrestato e messo sotto custodia dalla polizia, ma poco dopo si presenta presso il commissariato un certo Eduardo Radaelli, subito indicato come uno dei tre ufficiali dell’esercito uruguayano che avrebbero sequestrato l’uomo.

Il militare chiede subito l’affidamento di Orellana/Berrìos adducendo l’incapacità di intendere e di volere dell’uomo. Dinanzi al diniego del commissario, Radaelli convoca i colleghi Wellington Sarli e Tomàs Casella più altre due persone, non meglio identificate: tutti reclamano la consegna del cileno. Hernàndez Marrero decide però di resistere alle pressioni: pensa quindi di sottoporre Orellana/Berrìos a una perizia psichiatrica per verificare la sua effettiva incapacità di intendere e di volere. Così, il sedicente sequestrato, viene accompagnato presso il policlinico locale nel quale si sottopone a una visita del dottor Juan Ferrari. «Il paziente», dirà alla fine il medico di guardia, «è in stato di estrema agitazione, ma di matto non ha proprio nulla». Le stesse parole Ferrari le pronuncerà in un secondo momento di fronte al sostituto procuratore Rolando Voméro, incaricato dell’inchiesta sulla scomparsa dell’uomo che appunto dice di chiamarsi Eugenio Berrìos.

UNA TELEFONATA RICEVUTA «DALL’ALTO»

Luis Alberto Lacalle

Subito dopo la diagnosi e le dimissioni dal Policlinico di Parque del Plata, il cileno viene ricondotto al commissariato di Canelones dove una serie di telefonate, ricevute dall’alto, impongono a Hernandez Marrero di rilasciare il signor Orellana/Berrìos agli ufficiali presenti e cancellare ogni traccia di quanto accaduto dai fogli di servizio del commissariato. La vicenda sembra non avere un seguito fino a quando improvvisamente, nell’inverno del 1993, Luìs Alberto Lacalle, presidente dell’Uruguay, deve interrompere una sua visita ufficiale in Gran Bretagna e far rientro precipitosamente nel Paese. Numerose lettere anonime, in apparenza inviate da una fonte interna al commissariato di Canelones, vengono recapitate a vari senatori e deputati della Repubblica Orientale uruguayana. La conseguente interrogazione parlamentare sulla scomparsa di Eugenio Berrìos fa così esplodere un caso, prima giornalistico e poi giudiziario, capace di smuovere un intero Paese.

Non risulta infatti alcuna traccia del cittadino cileno, né in Uruguay né altrove, a partire dal 15 novembre 1992, giorno in cui Berrìos viene riconsegnato in custodia agli ufficiali Radaelli e Casella. Questi ultimi, dal canto loro, sostengono che non solo non hanno mai privato della libertà Berrìos, né prima né dopo la sua tentata denuncia, ma che questi sarebbe anzi partito con un ufficiale cileno al quale era stato affidato il compito di farlo espatriare prima in Paraguay e poi in Brasile. Il militare avrebbe poi telefonato pochi giorni più tardi per informare che il piano di custodia di Berrìos sarebbe continuato nel Paese confinante e che l’uomo godeva di ottima salute.

Il giudice Voméro, visitando lo chalet in cui Berrìos era stato sotto la custodia degli ufficiali dell’intelligence militare uruguayana Eduardo Radaelli, Tomàs Casella e Wellington Sarli, constaterà l’assenza di nascondigli o indizi capaci di dimostrare che la casa era stata il covo di un rapimento. Le circostanze della permanenza dello scomparso restano però poco chiare: nel giro di alcuni giorni, sia il giudice che i vari parlamentari interessati al caso ricevono minacce telefoniche e alcuni colpi di pistola vengono sparati contro le finestre dei loro uffici. Le intimidazioni non hanno però successo: il presidente Lacalle rimuove dai loro incarichi il capo della Polizia della sezione di Canelones, il Comandante in Capo dell’Esercito Mario Aguerrondo e il Ministro della Difesa Brito per il loro operato e le loro omissioni nel caso Berrìos. Tutti e tre non verranno sottoposti ad alcun procedimento giudiziario.

Nel frattempo, altri parlamentari sostengono che Berrìos se la stia spassando in Brasile o in Italia, dove il consolato uruguayano di Milano riceve una foto del cileno con accanto una copia del Messaggero a riprova del suo soggiorno italiano (in quegli anni, però, il quotidiano era normalmente reperibile in varie edicole del centro di Montevideo e Buenos Aires).

PERSONALITÀ ISTRIONICA, EGO IPERTROFICO

Orlando Letelier (scatto di Marcelo Montecino, Washington, 1976)

Ma perché è così grande l’attenzione verso questo signor Eugenio Berrìos? Di sicuro lo scandalo di un
desaparecido in piena democrazia è grande e si pone nel contesto di una lotta intestina già in corso in Uruguay tra militari e polizia volta ad alimentare accuse reciproche tese a indebolire le rispettive correnti politiche di riferimento. Ciò che attira un’attenzione internazionale quanto mai indesiderata è pero la ragione della presenza dell’uomo nel Paese, ancor prima che la sua scomparsa. Berrìos, che infatti si trova in Uruguay già dal 1991, risulta esservisi rifugiato dopo aver attraversato via terra l’Argentina di Menem sotto la falsa identità di Tulio Orellana, dal momento che la polizia cilena aveva spiccato nei suoi confronti un mandato di arresto per essersi sottratto all’autorità giudiziaria nazionale che lo voleva interrogare sul suo coinvolgimento nell’assassinio dell’ex Ministro della Difesa Orlando Letelier, avvenuto nel settembre 1976 a Washington. Un coinvolgimento che avrebbe potuto far emergere la responsabilità, come mandante dell’omicidio, dello stesso Pinochet che, ancora Comandante in Capo dell’Esercito Cileno ma non più presidente, avrebbe potuto a quel punto essere perseguito penalmente sia in patria che all’estero.

Che la DINA del colonnello Contreras fosse arrivata a estendere gli artigli del Còndor ben al di fuori del gruppo di Paesi latinoamericani interessati dall’omonima strategia di repressione è una cosa già nota da anni. Gli amici italiani dell’intelligence cilena – secondo alcune fonti coadiuvata da Stefano delle Chiaie – avevano già tentato, nell’ottobre 1975, di uccidere, a colpi d’arma da fuoco davanti alla loro residenza sulla via Aurelia a Roma, l’ex ministro cileno Bernardo Leighton e la moglie.

Nemmeno un anno dopo l’attentato a Leighton, il 21 settembre, una Chevy Malibu che si sta immettendo nella prestigiosa Sheridan Circle, la rotonda di Washington sede di diverse ambasciate, viene sollevata in aria da una potente esplosione per poi ripiombare addosso a un’auto parcheggiata in divieto di sosta davanti alla sede diplomatica rumena. Il conducente muore quasi all’istante dilaniato dalla bomba posta sotto al suo sedile mentre la segretaria, raggiunta da una scheggia alla gola, decede poco più tardi. L’uomo in questione è appunto Orlando Letelier, ex Ministro della Difesa del governo Allende, deposto ed esiliato dopo il colpo di Stato di Pinochet e da allora residente negli Stati Uniti. La donna è Ronni Moffit, giovane segretaria che aveva assistito Letelier nella sua campagna internazionale contro la dittatura cilena.

L’ex ministro aveva non soltanto denunciato le torture e le violazioni dei diritti umani in Cile – che del resto Pinochet aveva fatto ben poco per nascondere – ma aveva ottenuto come risultato del suo attivismo anche la revoca di un prestito internazionale di cui la dittatura aveva particolare bisogno, viste le difficoltà economiche degli inizi del governo militare. Contro Pinochet, Letelier stava riuscendo a polarizzare l’opinione pubblica internazionale e parte della politica USA che, non a caso sotto la successiva amministrazione Carter, inizierà a mettere in pratica un approccio più cauto verso le dittature del Cono Sur per via della loro politica sui diritti umani.

Michael Townley

Già in quest’occasione gli USA non avevano gradito che i regolamenti di conti fossero sistemati in casa loro, ancor meno in quel modo e a cinque minuti di auto dalla Casa Bianca. L’FBI, nonostante l’ostruzionismo della CIA, era infatti riuscito a risalire all’organizzatore della strage per poi, nel 1978, farlo estradare dal Cile agli USA. Si tratta di Michael Townley, americano, proprio quello stesso agente emissario locale della Compagnia che due anni prima in centro a Buenos Aires aveva fatto un lavoretto simile con l’aiuto della Policia Federal, facendo saltare per aria la Fiat 125 su cui rincasavano l’ex Comandante in Capo dell’Esercito Cileno Carlos Prats e la consorte – entrambi in esilio dopo la presa di potere di Pinochet – mettendo così a punto uno dei primi attentati del Piano Còndor nel Paese transandino.

Townley, però, non si era limitato a questi lavori sporchi per conto della DINA di Contreras. Nel seminterrato della sua villa, situata nel quartiere santiaguino di Lo Curro, collaborava infatti con lo stesso Eugenio Berrìos il quale, già dal 1973, conduceva esperimenti e portava avanti la produzione di una delle armi di distruzione di massa più terribili del XX secolo, il gas Sarin, in quella che era stata battezzata Unità
Quetropillàn, dal nome della divinità vulcanica cilena.

Dotato di una personalità istrionica con connotazioni di ego ipertrofico, Eugenio Berrìos sin da giovane si distingue per due passioni: l’estremismo politico e la chimica. Già da studente universitario di biochimica si avvicina infatti al movimento rivoluzionario marxista leninista del MIR, ma presto se ne allontanerà a causa della rigida disciplina imposta dai capi del gruppo i quali non gli avevano fin lì consentito di esprimere la sua personalità debordante. Da qui la decisione di cambiare nettamente campo, affiliandosi, già nel 1970, al movimento ultranazionalista Patria y Libertad. In un simile contesto non solo esplode la sua ammirazione fanatica per la dottrina nazista, ma riesce a entrare in contatto e a stringere amicizia con molti ex-gerarchi nazisti rifugiatisi in Cile dopo la guerra. È in questo ambiente che viene a conoscenza dei segreti per la composizione del gas nervino Sarin, sviluppato dagli scienziati nazisti durante l’ultimo conflitto, ma non impiegato a quanto pare per volontà dello stesso Hitler. Le conoscenze che ottiene gli garantiscono anche protezione nel momento in cui, ancora studente, si viene a scoprire un suo tentativo di attentato dinamitardo nei confronti dei professori della sua facoltà, rei di non avergli riconosciuto alcuni meriti scolastici.

IL SARIN, LA COCAINA «INODORE» E LA MORTE VIOLENTA

La produzione del Sarin – poi nota come Proyecto Andrea – all’interno del seminterrato della villa di Lo Curro viene facilitata dallo stesso Townley che dà supporto logistico e fa importare le attrezzature necessarie tramite suo padre, ex presidente della filiale cilena della Ford Motor Company. L’agente al soldo della DINA intende servirsi del lavoro di Berrìos per rendere più puliti e discreti i cosiddetti lavori sporchi. Assieme al Sarin viene infatti sintetizzata anche la tossina botulinica, il cui impiego si sospetta essere stato utilizzato per uccidere, nel loro rispettivo capezzale, prima il poeta Pablo Neruda, nel 1973, e poi l’ex presidente cileno Eduardo Frei Montalva nel 1982.

Il Sarin viene quindi impiegato per eliminare diversi oppositori politici. Tra questi il più famoso sarebbe stato il diplomatico spagnolo Carmelo Soria, membro della commissione economica dell’ONU per lo sviluppo dell’America Latina e dei Caraibi e acerrimo oppositore di Pinochet. Soria, sequestrato durante il rientro verso la sua abitazione, verrà torturato nel seminterrato della villa di Lo Curro e finito con una spruzzata di gas Sarin prima che gli sia spezzato il collo e sia gettato con la sua Volskwagen in un canale al fine di simulare un incidente stradale.

L’obiettivo di Berrìos è quello di riuscire a migliorare il Sarin – la cui instabilità è causa di una shelf-life alquanto ridotta – in modo da poterlo confezionare in grandi quantità ma anche di occultarlo in flaconi di Chanel N. 5 da impiegare, secondo quanto affermerà lo stesso Townley, nelle missioni contro i dissidenti. Probabilmente è per via di questa instabilità – e per la difficoltà ad approcciare Orlando Letelier maneggiando in modo diretto e sicuro il Sarin – che l’agente statunitense decide alla fine di usare il metodo molto meno pulito e silenzioso della bomba per eliminare l’oppositore cileno.

L’ego di Berrìos e il senso di impunità che lo caratterizzano fanno sì che in quegli anni si vanti apertamente, all’interno del suo circolo di amicizie, di possedere armi chimiche con cui poter annientare intere città. Ma è proprio a causa della sua personalità che molti ritengono queste sue parole poco più che esternazioni: tuttavia, quando il conflitto tra Cile e Argentina per il Canale del Beagle sta portando i due Paesi sull’orlo della guerra, alla fine del 1978, Berrìos lavora alacremente al progetto di inquinare la rete idrica di Buenos Aires con il Sarin nell’intento di provocare, se non la morte immediata di centinaia di migliaia di abitanti della capitale, il caos e la paralisi di tutta la metropoli e quindi della nazione nemica.

In realtà Berrìos sta anche lavorando all’antidoto del Sarin, dato che l’intento dell’intelligence militare di Pinochet sarebbe stato piuttosto quello di ricattare e tenere in scacco il nemico dopo aver contaminato le sue risorse idriche. Fortunatamente il conflitto tra Cile e Argentina verrà disinnescato in extremis grazie alla mediazione papale ma, secondo quanto riportato da Horacio Verbitsky, anche grazie a un dossier relativo alle attività della DINA nel caso Prats, con cui lo stesso Videla avrebbe tenuto in scacco Pinochet.

Un’altra attività che viene condotta da Berrìos – inizialmente senza l’impulso della DINA – è quella di un trattamento che permetta di sintetizzare la cocaina rendendola totalmente inodore, facilitandone così il contrabbando. Questa produzione, quasi inesistente durante la prima fase del regime di Pinochet, avrebbe però in seguito consentito utili scambi e proventi per finanziare tanto la DINA che le attività dei servizi segreti cileni in collaborazione con gli amici italiani della società di import-export Ibercom, riconducibili appunto a Delle Chiaie.

Con l’estradizione di Townley verso gli USA nel 1978, il rischio della divulgazione del Proyecto Andrea – e quello della guerra chimica contro l’Argentina – spaventa il governo cileno che fa chiudere la villa di Lo Curro e sparire ogni traccia del laboratorio, il cui contenuto verrà fatto portare presso installazioni militari. Chiusa l’Unità Quetropillàn e rimasto solo, Berrìos verrà negli anni seguenti ospitato presso tenenze militari nelle quali continuerà i suoi esperimenti per la produzione di cocaina inodore, ottenendo la protezione della giustizia cilena interessata al periodo della sua collaborazione con la DINA. Verrà anche vanamente inseguito dai creditori a causa della ingente quantità di denaro speso per sostenere uno stile di vita stravagante ed eccessivo.

Sotto la nuova presidenza Aylwin, gli ordini di comparizione della magistratura cilena a Berrìos – affinché si presenti a testimoniare sul caso Letelier – si fanno pressanti e, in risposta alla sua latitanza, sfociano in un mandato di arresto. È allora che Pinochet fa attivare quella rete di contatti internazionali, tra le intelligence militari del Cono Sur, che tanto bene aveva funzionato durante il Piano Condor. Berrìos esce così dal Paese sotto falso nome trovando appoggio logistico e custodia in Uruguay. Custodia che per qualche ragione, Berrìos, a un certo punto, trova troppo stretta. Forse solo un effetto della complessa personalità del latitante, forse la consapevolezza di essere senza una via d’uscita. Per questo, il giorno 11 novembre 1992, Berrìos contatta telefonicamente l’ambasciata cilena di Montevideo chiedendo disperato l’emissione di documenti d’identità, col suo vero nome, e la protezione per rientrare in Cile. Nonostante l’invito del console a presentarsi presso la legazione per ottenere quanto richiesto, non si fa più vivo e si presenta invece quattro giorni più tardi presso la sezione n. 24 del commissariato di polizia di Parque del Plata, all’uscita dal quale le sue tracce si perderanno nel nulla fino allo scandalo esploso l’anno seguente.

L’inchiesta giudiziaria del procuratore Vomero del 1993 non approda a nulla, a causa delle reticenze e
della rimozione delle tracce che conducono agli spostamenti di Berrìos. Verrà quindi chiusa dopo pochi
mesi. Due anni più tardi, nell’aprile 1995, i resti del chimico cileno saranno rinvenuti su una spiaggia di Parque del Plata. Berrìos era stato ucciso da alcuni colpi di arma da fuoco, semisepolto a faccia in giù mentre i piedi erano stati tenuti fuori dalla terra come secondo un certo codice si seppelliscono i colpevoli di tradimento. Tale era stata considerata l’intenzione di Berrìos di tornare in Cile con la protezione del governo Aylwin e della magistratura, facendo così rispolverare e mettere in funzione dopo tanto tempo la macchina dei contatti del Piano Còndor.

Secondo un giusto contrappasso storico, per la vicenda Berrìos i tre ufficiali uruguayani Radaelli, Casella e Sarli vengono estradati in Cile e qui condannati per associazione a delinquere e sequestro di persona. Per l’omicidio del chimico saranno condannati, come esecutori materiali del delitto assieme ad altri sette cileni, i militari Arturo Silva Valdés e Jaime Torres Gacitùa.

Michael Townley, dopo aver scontato cinque dei dieci anni di carcere comminati dalla giustizia statunitense, verrà invece rilasciato in seguito a un accordo in base al quale gli sarà riconosciuta l’immunità in cambio della collaborazione a testimoniare nelle varie cause giudiziarie relative agli eventi latinoamericani. Vive tutt’oggi con una nuova identità nel quadro del programma statunitense di protezione dei testimoni.