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Ultimi fuochi dei NAR. L’omicidio Mennucci

Redazione Spazio70

Negli ambienti della destra eversiva il nome di Mennucci era associato esclusivamente al tradimento

Pisa, 8 luglio 1982. Ore 21:00. La città è ferma davanti ai teleschermi. Su Rete Uno la telecronaca di Giorgio Martino fa da sottofondo ad un evento sportivo che passerà alla storia come «La notte di Siviglia». La Germania Ovest e la Francia si stanno affrontando in un incontro che determinerà gli avversari della nazionale italiana per la finale dei mondiali di Spagna. Vanno a segno Littbarski e Platini. Il primo tempo finisce 1 a 1. Sono le 21:50. In un appartamento in via di Gello, nella periferia della città, l’operaio trentatreenne Mauro Mennucci approfitta della pausa per recarsi al bar a comprare dei gelati per la moglie e il figlioletto. L’uomo è un ex militante neofascista, da poco uscito di galera per aver agevolato, nel 1975, la latitanza del terrorista nero Mario Tuti, autore del duplice omicidio degli agenti di Polizia Leonardo Falco e Giovanni Ceravolo e del ferimento grave (nonché tentato omicidio) dell’appuntato Arturo Rocca.

Ma negli ambienti della destra eversiva il nome di Mennucci è associato esclusivamente al tradimento. Fu infatti proprio grazie alle rivelazioni del fascista pisano che la Polizia scoprì il nascondiglio francese della «primula nera». Mauro Mennucci fu sedotto dall’idea di incassare 30 milioni di lire, ossia la taglia che in quei mesi del 1975 pendeva sulla testa di Mario Tuti.

Una cospicua somma di denaro che alla fine il «pentito» non ebbe mai.

«GLI AMICI DI MARIO TUTI»

Per approfondire rinviamo al nostro «Maledetti ’70»

Sono quasi le 22:00, sta per cominciare il secondo tempo. L’uomo ha consegnato i gelati ed ha salutato il bambino che nel frattempo si è recato con la mamma presso la vicina casa dei nonni. Mennucci invece si incammina da solo verso la propria abitazione per continuare a vedere la partita ma quando giunge al portone di casa si accorge di non essere solo. Da un angolo spunta un ragazzo che impugna una rivoltella ed esplode due colpi, uno dei quali va a segno dritto alla gola dell’uomo. L’arrivo dei soccorsi si rivelerà inutile. Mauro Mennucci è morto.

Una telefonata ad un quotidiano rivendica l’agguato a nome degli «amici di Mario Tuti» ma ad agire è stato un commando dei Nuclei Armati Rivoluzionari, un’organizzazione ormai prossima alla fine. Il delitto Mennucci rappresenta infatti uno degli ultimissimi fuochi prima della totale disfatta. Gli elementi di spicco dei NAR sono tutti «fuori gioco». Alessandro Alibrandi e Giorgio Vale sono stati uccisi, i fratelli Fioravanti sono entrambi in galera, lo stesso vale per Francesca Mambro e tra qualche mese finirà in manette anche Walter Sordi, il cui rapido pentimento determinerà una lunga serie di arresti e condanne in tutto l’ambiente.

A partecipare all’agguato sono stati Pasquale Belsito, di anni 20; Fabrizio Zani, di anni 29 e Stefano Procopio di anni 21. Il primo (la mano che ha premuto il grilletto) affronterà una latitanza lunga e avventurosa per poi finire in manette in Spagna soltanto nel 2001. Il secondo sarà arrestato a Roma nell’aprile del 1983, mentre il terzo vedrà la cattura a Parigi nel settembre del 1982 al termine di un conflitto a fuoco con le forze di polizia francesi.

Nel 1991 la corte d’Assise d’appello di Firenze assolverà Mario Tuti dall’accusa di mandante.