Qui potrai trovare una vasta rassegna di materiali aventi ad oggetto uno dei periodi più interessanti della recente storia repubblicana, quello compreso tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Ottanta del secolo scorso.
Il sito comprende sei aree tematiche e ben ventidue sottocategorie con centinaia di pezzi su anni di piombo, strategia della tensione, vicende e personaggi più o meno misconosciuti di un’epoca soltanto apparentemente lontana. Per rinfrescare la memoria di chi c’era e far capire a chi era troppo giovane o non era ancora nato.
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«Io non lo sapevo, nessuno in questa casa lo sapeva. Sì, qualche volta avevamo discorso di quella cosa lì, delle Brigate Rosse, perché lo leggevamo sui giornali. Io dicevo la mia idea: “Walter, quelli sono dei delinquenti”. E lui mi rispondeva: “Sì, papà, hai ragione, fanno male, sbagliano!” Invece… Se Walter voleva che io non sapessi niente, è riuscito a non farmi sapere niente». Dinnanzi ai giornalisti sembra ancora incredulo il signor Guido Alasia, operaio cinquantatreenne di Sesto San Giovanni.
Il giorno prima la sua esistenza è stata sconvolta da una serie di terrificanti sorprese: la polizia che bussa alla porta di casa, il figlio ventenne che estrae una pistola, la sparatoria, il tragico epilogo ed in fine la rivelazione: «Suo figlio era un terrorista».
Sesto San Giovanni, 15 dicembre 1976. Sono le ore cinque e dieci minuti, la città ancora dorme. Al civico 161 di via Leopardi il silenzio di quel buio mattino è interrotto dal suono vibrante di un campanello. Qualcuno sta bussando all’abitazione della famiglia Alasia. Segue il fragore di una serie di pugni sul legno della porta.
La signora Ada Tibaldi si reca all’ingresso ancora assonnata. «Chi è?». La risposta non può che destare preoccupazione: «Aprite! Polizia!».
Visibilmente terrorizzata, la donna chiama subito il marito. È il signor Guido ad aprire la porta. Gli agenti varcano la soglia dell’appartamento con un aspetto tutt’altro che rassicurante: hanno armi in pugno e volti coperti. Alcuni indossano giubbotti antiproiettile e la tensione che si percepisce non lascia presagire nulla di buono. «Lo sappiamo che Walter è in casa!» dice uno dei poliziotti, mentre gli altri iniziano a entrare nelle stanze.
Walter è sveglio, ha sentito tutto e nel frattempo si è infilato un giubbotto in fretta e furia. Nella stessa camera con lui dormiva anche il fratello. Impugnando una calibro 7,65 si dirige in corridoio. Lì ci sono il vicequestore Vittorio Padovani e il maresciallo dell’antiterrorismo Sergio Bazzega mentre i genitori del giovane Alasia osservano la scena pietrificati dal terrore.
I due agenti non indossano alcuna protezione, ma Bazzega è armato di mitragliatrice. Il maresciallo, tuttavia, non preme il grilletto. Vorrebbe disarmare il brigatista poiché nella stessa linea di tiro ci sono anche il fratello e i genitori. Con una sventagliata di mitra in quel corridoio si rischierebbe la strage. Il ragazzo invece ha già deciso: spara per primo e colpisce più volte gli agenti. I due riescono a barcollare fino all’ingresso ed escono dall’abitazione soccorsi dai colleghi. Sono gravemente feriti, moriranno poco dopo in ospedale.
Padovani lascerà una moglie e due figli. Bazzega lascerà una moglie e un figlio.
Alasia torna di corsa in camera da letto e apre la finestra. Dopo essersi gettato in cortile per darsi alla fuga viene raggiunto da una raffica di proiettili. Anche per lui i soccorsi si riveleranno inutili.
Alle sette e trenta c’è una gran folla in quel cortile. È pieno di amici e conoscenti di Walter. Ci sono anche tanti curiosi che osservano le telecamere e ascoltano le domande dei giornalisti. Il quadro che emerge è quello di un ragazzo silenzioso e introverso, un ventenne che amava fare politica, suonare la chitarra e leggere i libri di Garcia Marquez.
«Recentemente mi aveva prestato “Cent’anni di solitudine”» racconta la giovane Rosaria «raccomandandomi di leggerlo con attenzione».
«Sapevo che Walter si occupava di politica…», afferma Claudio, un giovane che abita nelle vicinanze «…ma non avrei saputo dire in quale gruppo dell’ultrasinistra. Non era facile sapere qualcosa da lui: era timido e non parlava molto. Anche suo fratello Oscar è timidissimo, ma lui lo conosco meglio, forse perché abbiamo pressapoco la stessa età. Walter invece è più giovane. Abbiamo giocato insieme in cortile quando eravamo ragazzini, e ci siamo visti anche dopo, quando ci riunivano a casa dell’uno o dell’altro, ad ascoltare musica. Ma quando sono tornato dal servizio militare, qualche mese fa, ci siamo visti solo di sfuggita, per caso, “ciao ciao” e basta».