Qui potrai trovare una vasta rassegna di materiali aventi ad oggetto uno dei periodi più interessanti della recente storia repubblicana, quello compreso tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Ottanta del secolo scorso.
Il sito comprende sei aree tematiche e ben ventidue sottocategorie con centinaia di pezzi su anni di piombo, strategia della tensione, vicende e personaggi più o meno misconosciuti di un’epoca soltanto apparentemente lontana. Per rinfrescare la memoria di chi c’era e far capire a chi era troppo giovane o non era ancora nato.
Buona lettura e non dimenticare di iscriverti sulla «newsletter» posta alla base del sito. Lasciando un tuo recapito mail avrai la possibilità di essere costantemente informato sulle novità di questo sito e i progetti editoriali di Spazio 70.
«La prima regola ineludibile in una situazione come quella è il rispetto verso il prigioniero. Le condizioni di vita sono ovviamente precarie, gli spazi ristretti, i criteri di sicurezza inderogabili. È in questo contesto che occorre governare i problemi che si presentano giorno dopo giorno. Abbiamo costruito un impianto di aerazione che permette il cambio dell’aria all’interno della celletta nella quale Moro vive.
Di notte l’apparecchio non può restare in funzione, perché il rumore che provoca è troppo elevato e creerebbe disturbo se non addirittura sospetti fra gli inquilini dei piani superiori. Una cosa mal calcolata, e ci rendiamo subito conto che, durante quelle ore, Moro non riesce a respirare decentemente. La quiete della notte è però anche il momento più pericoloso per qualsiasi reazione incontrollata del prigioniero. Così si crea la prima occasione nella quale rivolgo la parola a Moro, stabilendo le condizioni di un accordo: “Io le tengo la porta aperta e lei mi garantisce il silenzio”.
Ci chiede da leggere. Gli diamo libri sul movimento operaio e sulla storia del comunismo. Ma gli facciamo avere anche la Bibbia. Si immerge in quelle pagine. Le Scritture della religione in cui crede lo aiutano ad astrarsi dalla realtà che lo circonda. Chiede di ascoltare la messa. Non possiamo rischiare di fargli sentire messaggi in diretta o notizie che non siamo in grado di controllare. Così, insieme a Laura, registriamo la cerimonia trasmessa ogni domenica in televisione. Con una cassetta e il registratore a pile, seguirà la messa in differita risentendola continuamente. Questo sarà il modo in cui le Brigate Rosse e Aldo Moro intratterranno i loro rapporti durante i 55 giorni del sequestro. Un modo che, seppure all’interno di una condizione estrema come quella, si rifletterà negli interrogatori (o sarebbe meglio dire nelle discussioni che Mario instaurerà con lui), negli scritti che lo stesso sequestrato redigerà, nella vita quotidiana che, giorno per giorno, avrà luogo nella base».
«Inizialmente riproduciamo tutti gli interrogatori attraverso il microfono che abbiamo installato nella stanzetta-prigione, con audio e registrazione all’esterno. Insieme a Germano, mi dedico al complicatissimo compito di sbobinare i nastri e trascriverli. Poi ci accorgiamo che, in realtà, è Moro stesso che tende a mettere per iscritto tutti i suoi ragionamenti e le riflessioni politiche emerse nelle discussioni con Mario. Di conseguenza, il nostro lavoro certosino risulta inutile. Chiudiamo con le registrazioni e distruggiamo il paio di cassette riempite. Resta la parola scritta, che appare subito importante anche per lo stesso presidente della DC.
Moro si rende velocemente conto che il suo problema è tutto politico. È stato sequestrato in rappresentanza di un partito e di una politica che noi attacchiamo in base a considerazioni generali, e capisce che l’unico modo per favorire la sua liberazione è proprio quello di investire di responsabilità l’insieme del suo partito, chiamando in causa i maggiori rappresentanti del potere democristiano. È una perspicacia che non smarrirà neppure per un attimo, nelle varie fasi di quello scontro.
Avrà la lucidità di condurre questa battaglia fino alla fine, anche se, a un certo punto, si renderà conto che gli è stata fatta terra bruciata attorno, che interessi interni al suo partito, all’establishment politico generale, hanno preso il sopravvento su qualsiasi possibilità di soluzione.
Anche i suoi più fedeli amici sono ormai schiacciati dalle condizioni che si sono venute a creare. Debolezze, opportunismi, piccole e grandi ragion di stato, bloccano il quadro della situazione, comprimendolo sotto il ricatto di una cornice ferrea: quella politica della fermezza messa in campo da una parte del suo partito e dal PCI.»
Prospero Gallinari, da: «Un contadino nella metropoli. Ricordi di un militante delle Brigate Rosse», Bompiani, 2008.
«La prima regola ineludibile in una situazione come quella è il rispetto verso il prigioniero. Le condizioni di vita sono ovviamente precarie, gli spazi ristretti, i criteri di sicurezza inderogabili. È in questo contesto che occorre governare i problemi che si presentano giorno dopo giorno. Abbiamo costruito un impianto di aerazione che permette il cambio dell’aria all’interno della celletta nella quale Moro vive.
Di notte l’apparecchio non può restare in funzione, perché il rumore che provoca è troppo elevato e creerebbe disturbo se non addirittura sospetti fra gli inquilini dei piani superiori. Una cosa mal calcolata, e ci rendiamo subito conto che, durante quelle ore, Moro non riesce a respirare decentemente. La quiete della notte è però anche il momento più pericoloso per qualsiasi reazione incontrollata del prigioniero. Così si crea la prima occasione nella quale rivolgo la parola a Moro, stabilendo le condizioni di un accordo: “Io le tengo la porta aperta e lei mi garantisce il silenzio”.
Ci chiede da leggere. Gli diamo libri sul movimento operaio e sulla storia del comunismo. Ma gli facciamo avere anche la Bibbia. Si immerge in quelle pagine. Le Scritture della religione in cui crede lo aiutano ad astrarsi dalla realtà che lo circonda. Chiede di ascoltare la messa. Non possiamo rischiare di fargli sentire messaggi in diretta o notizie che non siamo in grado di controllare. Così, insieme a Laura, registriamo la cerimonia trasmessa ogni domenica in televisione. Con una cassetta e il registratore a pile, seguirà la messa in differita risentendola continuamente. Questo sarà il modo in cui le Brigate Rosse e Aldo Moro intratterranno i loro rapporti durante i 55 giorni del sequestro. Un modo che, seppure all’interno di una condizione estrema come quella, si rifletterà negli interrogatori (o sarebbe meglio dire nelle discussioni che Mario instaurerà con lui), negli scritti che lo stesso sequestrato redigerà, nella vita quotidiana che, giorno per giorno, avrà luogo nella base».
«Inizialmente riproduciamo tutti gli interrogatori attraverso il microfono che abbiamo installato nella stanzetta-prigione, con audio e registrazione all’esterno. Insieme a Germano, mi dedico al complicatissimo compito di sbobinare i nastri e trascriverli. Poi ci accorgiamo che, in realtà, è Moro stesso che tende a mettere per iscritto tutti i suoi ragionamenti e le riflessioni politiche emerse nelle discussioni con Mario. Di conseguenza, il nostro lavoro certosino risulta inutile. Chiudiamo con le registrazioni e distruggiamo il paio di cassette riempite. Resta la parola scritta, che appare subito importante anche per lo stesso presidente della DC.
Moro si rende velocemente conto che il suo problema è tutto politico. È stato sequestrato in rappresentanza di un partito e di una politica che noi attacchiamo in base a considerazioni generali, e capisce che l’unico modo per favorire la sua liberazione è proprio quello di investire di responsabilità l’insieme del suo partito, chiamando in causa i maggiori rappresentanti del potere democristiano. È una perspicacia che non smarrirà neppure per un attimo, nelle varie fasi di quello scontro.
Avrà la lucidità di condurre questa battaglia fino alla fine, anche se, a un certo punto, si renderà conto che gli è stata fatta terra bruciata attorno, che interessi interni al suo partito, all’establishment politico generale, hanno preso il sopravvento su qualsiasi possibilità di soluzione.
Anche i suoi più fedeli amici sono ormai schiacciati dalle condizioni che si sono venute a creare. Debolezze, opportunismi, piccole e grandi ragion di stato, bloccano il quadro della situazione, comprimendolo sotto il ricatto di una cornice ferrea: quella politica della fermezza messa in campo da una parte del suo partito e dal PCI.»
Prospero Gallinari, da: «Un contadino nella metropoli. Ricordi di un militante delle Brigate Rosse», Bompiani, 2008.