Qui potrai trovare una vasta rassegna di materiali aventi ad oggetto uno dei periodi più interessanti della recente storia repubblicana, quello compreso tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Ottanta del secolo scorso.
Il sito comprende sei aree tematiche e ben ventidue sottocategorie con centinaia di pezzi su anni di piombo, strategia della tensione, vicende e personaggi più o meno misconosciuti di un’epoca soltanto apparentemente lontana. Per rinfrescare la memoria di chi c’era e far capire a chi era troppo giovane o non era ancora nato.
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«Se c’è un’arma che ha provocato più disastri che “benefici” in paragone all’uso cui ufficialmente è destinata, è la pistola. La pistola è nata come arma gentilizia per la cavalleria, poi è diventata arma di polizia. Nelle mani della polizia la pistola ha fatto il suo dovere, brutto o cattivo che sia, ha fatto il suo dovere. Ma per l’esercito, per il resto delle forze armate, la pistola è soprattutto un’arma psicologica, non verrà mai usata. La pistola, sia nelle forze di polizia, sia nell’esercito, ha provocato sempre molti più morti e molti più feriti tra le truppe amiche di quanti ne abbia provocati verso l’avversario.
La pistola serve all’ufficiale per consegnarla al momento della resa. La pistola serve per dare un senso di conforto all’uomo che è applicato ad arma superiore, tipo una mitragliera contraerea o un mortaio, serve per dargli il senso di essere anche lui abbastanza difeso. La pistola però non ha nessun valore bellico, ne ha ben poco, mentre per il clandestino la pistola è importantissima. La pistola è un puntabile, può essere usata a pochi metri di distanza, quindi a pochi metri di distanza è efficace quanto un’arma maggiore, e soprattutto è un’arma facile da reperire.
Il gruppo clandestino tende ad adoperare la pistola. Per queste ragioni, nel momento stesso in cui la soglia del livello di scontro si è alzata, la pistola è diventata arma inadeguata. Il giubbotto antiproiettile doppio strato ha fatto la sua comparsa, i rastrellamenti e i posti di blocco erano diventati sempre più frequenti. Ora, un posto di blocco, scorta a duecento metri, con la possibilità di tornare indietro, di fare un’inversione a u pregiudicata dalle condizioni stradali o dalla viabilità, oppure dall’ora, devi per forza andare incontro ad un posto di blocco. Andare incontro ad un posto di blocco con una pistola è un suicidio. Con il mitra, il cosiddetto mitra, è la stessa cosa perché il mitra non è altro che una pistola, dunque un’arma a chiusura labile che spara in tiro automatico a rapidissima successione.
Una volta che viene caricata e armata dall’operatore spara purché si continui a mantenere la pressione sopra al meccanismo di scatto. Però è una pistola. Spara un munizionamento da pistola. Quindi la gittata è quella, le capacità vulneranti sono quelle, la capacità d’arresto è quella, la capacità di penetrazione è quella. Invece, anche non usandola per uccidere, sia pure a scopo intimidatorio, un’arma lunga, un calibro 5,56 o un calibro 7,62 adoperata in un contesto come quello che ho prospettato, cioè un posto di blocco ed io fermo 150 metri prima, appoggio l’arma al tettuccio del veicolo e sparo cinque o sei colpi a raffica o distaccati tra loro in colpo singolo, costringo coloro che hanno istituito il posto di blocco, coloro che stanno mantenendo il posto di blocco, a gettarsi dietro le macchine, a disperare sul proprio armamento poiché hanno in mano pistole mitragliatrici e niente di più. Quindi le soluzioni sono due: o si ritirano oppure sono talmente demotivati e convinti di non poter assolvere la loro funzione che è facilissimo sopraffarli.
Noi eravamo un gruppo che cercava di indennizzare la lotta armata. Il nostro fine era quello. Per ragioni di carattere sociale, per ragioni di carattere politico e soprattutto ragioni connesse alla nostra stessa natura, alle nostre debolezze e alle nostre incapacità più delle nostre capacità, siamo stati costretti all’impasse della propaganda armata. Non riuscivamo ad uscire dall’impasse della propaganda armata ma questo è un dramma comune a tutte le formazioni clandestine che hanno visto la luce in Italia. Non c’è formazione clandestina che sia riuscita a operare il cosiddetto salto di qualità dalla propaganda armata alla lotta armata. Non ce n’è stata una. Quindi a noi serviva un armamento omogeneo, un armamento potente e un armamento tale che permettesse di avere, in un momento come quello, tragico, in cui la superiorità strategica non era neanche da mettere in discussione, la superiorità tattica, nel momento in cui si fosse presentata la necessità dello scontro. Quelle armi avrebbero assicurato senz’altro la superiorità tattica».