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Il M.FO.BIALI. Storia di uno scandalo petrolifero raccontato in un dossier illegale

Redazione Spazio70

Nato come acronimo di «Mario Foligni Libia», il M.FO.BIALI rappresenta una delle tante pagine, oscure e rimosse, della recente storia repubblicana. Tra il 1974 e il 1975, un dossier segreto raccolse prove di uno scandalo petrolifero miliardario che vide coinvolti alti ufficiali della Guardia di Finanza, politici e prelati, in una rete di interessi che dal Mediterraneo arrivava al cuore dello Stato

di Tommaso Minotti

Il M.FO.BIALI è uno dei grandi scandali dimenticati dell’Italia repubblicana. In questo dossier, lungo quasi 400 pagine e composto tra l’ottobre del 1974 e la fine del 1975, venne documentata nei minimi dettagli un’enorme operazione di contrabbando di petrolio. A gestirla, i vertici della Guardia di Finanza, in collaborazione con oscuri rappresentanti del sottobosco politico romano, imprenditori e perfino prelati del Vaticano. Una vicenda che non farebbe invidia a un romanzo di spionaggio.

Il M.FO.BIALI, il cui acronimo sta a significare Mario Foligni Libia, è una componente fondamentale del più ampio secondo scandalo dei petroli, o scandalo dei duemila miliardi, strettamente collegato con la questione energetica. Nel 1973 la guerra del Kippur aveva dimostrato la fragilità del rapporto tra Paesi occidentali e Nazioni produttrici di petrolio. Tale materia prima era (ed è) assolutamente fondamentale per gli apparati industriali dei Paesi sviluppati: controllarne il flusso significava, in ultima istanza, gestire la vita economica di una intera Nazione, con ciò che ne consegue, in primis, a livello di potenziali guadagni. L’operazione condotta dagli allora vertici della Guardia di Finanza italiana si inserisce pienamente in questa linea di ragionamento. Il fine ultimo era l’arricchimento personale, perseguito a discapito di qualsiasi rispetto per il ruolo istituzionale ricoperto.

Nel documento, tuttavia, vengono a galla anche altri illeciti: esportazione di valuta e corruzione, ma non solo. Le conversazioni intercettate riguardavano raccomandazioni, scontri sulle nomine e operazioni politiche, le quali compaiono costantemente sullo sfondo della compravendita di petrolio. Il M.FO.BIALI, infatti, descriveva per prima cosa la nascita del Nuovo Partito Popolare. Questa formazione politica, fondata da Mario Foligni, aveva l’obiettivo di erodere consensi alla Democrazia Cristiana ma si risolse in un fragoroso fallimento elettorale.

Occorre, infine, evidenziare il fatto che le informazioni contenute nel M.FO.BIALI non vennero mai passate alla magistratura e che gli illeciti furono perseguiti in maniera molto blanda dopo diversi anni. Il dossier, di fatto, era totalmente illegale ma non fu questa la sola ragione per cui non venne consegnato ai tribunali subito dopo la stesura. La classe dirigente dell’epoca agì all’insegna dell’autotutela e l’insabbiamento del M.FO.BIALI ne è testimonianza. Esso si ridusse, di fatto, a un’arma ricattatoria contro avversari politici o militari. In questa lotta tra bande trovò spazio anche il giornalista Mino Pecorelli. Sull’Osservatore Politico, infatti, comparvero diversi articoli tratti direttamente dal M.FO.BIALI. Sono gli unici riferimenti al dossier apparsi sui giornali nazionali in quegli anni. La vicenda, infatti, esplose definitivamente solo dopo il 1980, ma tornò presto nel dimenticatoio.

In conclusione, l’analisi di tale documento permette di sviscerare un intero meccanismo di potere. Si tratteggia, così, un quadro poco edificante di controlli incrociati, omesse denunce e corruzioni ai massimi livelli istituzionali. Non mancano nemmeno le interferenze di attori esterni e l’ombra della mafia. Il M.FO.BIALI può essere ritenuto, a ragione, un compendio di tutti i mali e di tutti i punti oscuri di quella che viene definita Prima Repubblica.

ALLE ORIGINI DEL DOSSIER

Gianadelio Maletti

Come già evidenziato, il M.FO.BIALI venne stilato tra l’ottobre del 1974 e la fine del 1975. A soprassedere alla sua creazione fu l’Ufficio D del SID, all’epoca comandato dal generale Gianadelio Maletti. Sulla questione del perché venne chiesto tale rapporto si ritornerà poi in un secondo momento. In concreto, il dossier fu stilato da Antonio Viezzer, Antonio Labruna e Demetrio Cogliandro. Quest’ultimo era specializzato nello spionaggio illegale e nella formazione di archivi para istituzionali. Il suo nome, infatti, è legato al cosiddetto archivio Cogliandro, utilizzato dal direttore del SISMI Fulvio Martini per ottenere, al momento opportuno, informazioni e pettegolezzi su politici, imprenditori, burocrati e militari. I membri dell’Ufficio D, probabilmente con l’ausilio di un certo numero di agenti rimasti senza nome, iniziarono la stesura del M.FO.BIALI, concentrandosi sul Nuovo Partito Popolare, ma arrivando a scoprire anche di più rispetto a ciò che si erano prefissati.

Alcune informazioni relative al M.FO.BIALI si inseriscono nel quadro più ampio del secondo scandalo dei petroli, sviscerato da una relazione preparata da Aldo Vitali — colonnello della Guardia di Finanza. Vitali si basava a sua volta sul lavoro di Antonio Ibba del Servizio I della Guardia di Finanza di Padova. Il colonnello era, dunque, buon conoscitore di questo giro di contrabbando. Per evitare che scavasse più in fondo, il comando generale della Guardia di Finanza decise di rimpiazzarlo con una persona più fedele al comandante generale della Guardia di Finanza, Raffaele Giudice.

Nel rapporto di Vitali si segnalava la protezione di un importante uomo politico. In effetti, in questo traffico illecito furono coinvolti alcuni personaggi di area morotea: soprattutto Sereno Freato, preso di mira sull’Osservatore Politico di Pecorelli fin dal 1974 per le disponibilità economiche ritenute non giustificate. Lo scandalo di cui il M.FO.BIALI è parte costituisce un’ombra sulla Guardia di Finanza già da tempo, ben prima degli anni Ottanta.

I PROTAGONISTI

Demetrio Cogliandro (nostra rielaborazione da fonti iconografiche note)

Il rischio in cui si può incappare studiando e approfondendo la questione del M.FO.BIALI è quello di perdersi in un dedalo di nomi e personaggi. Dal documento, infatti, emerge un guazzabuglio di questuanti, piccoli imprenditori, politici, segretari di sezione insoddisfatti. Una vasta umanità che venne intercettata, a sua insaputa, e inserita in un dossier che comprendeva nomi di primo piano come quelli di Emilio Colombo, notabile democristiano, di Licio Gelli, il Venerabile Maestro della P2, e dei vertici della Guardia di Finanza. Proprio per cercare di mettere ordine, usando un espediente che si ritrova in uno dei pezzi di Pecorelli sul M.FO.BIALI, occorre presentare i protagonisti di questa vicenda come se si trattasse dei protagonisti di una sceneggiatura.

Raffaele Giudice = comandante generale della Guardia di Finanza

Giuseppe Trisolini = segretario particolare della Guardia di Finanza

Giuseppina Giudice = moglie di Raffaele Giudice

Mario Foligni = fondatore del NPP e organizzatore del contrabbando di petroli

Paul Dioniso Mintoff = prelato e fratello di Dom Mintoff, primo ministro maltese

Abuagela M. Huegi = esponente dell’ambasciata libica

Licio Gelli = venerabile maestro della P2

Donato Lo Prete = capo di Stato maggiore della Guardia di Finanza

Questi sono i nomi dei personaggi principali della trama che si andrà a dipanare a breve. Le loro conversazioni furono registrate e gli spostamenti controllati, spesso tramite veri e propri pedinamenti. Il tutto venne minuziosamente registrato nei termini che ora si approfondiranno.

FOLIGNI E IL SUO UFFICIO. PRIMI INDIZI DI UNO SCANDALO

Vito Miceli

Mario Foligni, uno dei principali protagonisti del M.FO.BIALI, aveva un ufficio in via della Consulta. Questo luogo era frequentato da monsignori, imprenditori, faccendieri ed ex esponenti delle forze armate, in primis Carabinieri. Il dossier inizia proprio da Foligni e dal suo tentativo di creare un partito alternativo alla Democrazia Cristiana: il Nuovo Partito Popolare. La prima parte del M.FO.BIALI, tuttavia, evidenzia un elemento che, probabilmente, non era stato messo in conto da coloro che ne avevano richiesto la stesura. Secondo i controlli, Foligni aveva rapporti molto stretti con Abuagela M. Huegi, incaricato d’affari di Libia presso il Quirinale. L’impressione è che i due si scambiassero informazioni sensibili su svariati temi. Sensazione che viene condivisa anche dai servizi segreti. Dopo svariati controlli, l’intelligence italiana scrive, infatti, che il fondatore del Nuovo Partito Popolare è «accertato informatore di Abuagela M. Huegi dell’ambasciata libica».

Ma Foligni aveva legami stretti anche con il generale Vito Miceli, ex comandante del SID, con l’ex generale dei servizi segreti Nicola Falde, con Giulio Cesare Graziani, piduista e generale di squadra aerea e con Raffaele Giudice, comandante generale della Guardia di Finanza. Foligni era talmente ben controllato che i servizi furono in grado di segnalare nomi, indirizzi e recapiti telefonici — compresi quelli che facevano parte delle utenze riservate della SIP — di decine di persone che avevano avuto conversazioni frequenti con lui, soprattutto nel suo ufficio. Appaiono, così, nomi di militari, politici, prelati, imprenditori e perfino personalità straniere, soprattutto libiche e maltesi.

Il primo riferimento al contrabbando di petrolio è risalente a una nota dell’11 aprile 1975. L’incontro di Foligni con un esponente libico e un referente del petroliere Monti è accuratamente segnalato dai servizi, i quali evidenziano come la quantità di petrolio che dovrà essere contrabbandata è di 20 milioni di tonnellate. Poco dopo questo primo segnale, Foligni ebbe modo di parlare direttamente con Graziani e Giudice, il quale aveva contatti altrettanto profondi e diversificati. L’ufficio D del SID sottolinea in particolar modo la sua contiguità con monsignor Fiorenzo Angelini, “sua Sanità”, andreottiano e coinvolto in prima persona in campo farmaceutico. Giudice, è noto, era ben addentro ad alcune fazioni della Santa Sede.

Egli, infatti, aveva goduto dell’appoggio del cardinale Ugo Poletti per la sua nomina a comandante generale della Guardia di Finanza. Poletti si era mosso con una lettera inviata a Giulio Andreotti, ministro della Difesa e attore cardine per la scelta. Foligni, sempre nel medesimo periodo, ebbe modo di conversare anche con Umberto Ortolani, eminenza grigia della massoneria italiana e sodale di Gelli. Sulla sua figura è interessante notare ciò che scrivono i servizi: «Noto. È in ottimi rapporti con i massimi esponenti della DC tra cui il presidente della Repubblica Leone».

I MALTESI E I LIBICI. LA MASSONERIA

Foligni aveva ripetutamente incontrato Paul Dioniso Mintoff — fratello di Dom Mintoff, leader del Partito Laburista e primo ministro di Malta dal 1955 al 1958 e, di nuovo, dal 1971 al 1984. Fu il primo ministro che aveva soprasseduto al distaccamento dalla Gran Bretagna e alla proclamazione della repubblica. Il fratello, invece, era divenuto un prelato con buoni agganci in Vaticano. Mintoff, monsignor Agostino Bonadeo, cappellano militare, e Foligni si trovavano spesso e volentieri per tenersi aggiornati sulla questione del greggio.

Vedendo una simile vastissima ragnatela di contatti, i servizi segreti si fanno questa idea:

«Egli» è Foligni che era riuscito ad approfondire anche i suoi contatti con il mondo libico. Con gli esponenti del Paese nordafricano a Roma, infatti, i colloqui erano praticamente quotidiani. Ma l’obiettivo non era soltanto la definizione dell’accordo per il petrolio. In ballo c’era anche l’ottenimento di fondi per il Nuovo Partito Popolare. I finanziamenti furono provati da movimenti bancari ben documentati dall’Ufficio D del SID. Lo stesso padre Mintoff sembra avere una sorta di ruolo di mediazione tra la Libia e Foligni, anche grazie ad alcuni prelati arabo-cristiani residenti a Roma.

Sempre gli stessi servizi segreti si mostrano consci del fatto che il comandante generale della Guardia di Finanza, Giudice, aveva interesse nella questione del greggio. L’appunto risale al 23 aprile 1975 e dimostra la commistione tra controlli sul Nuovo Partito Popolare e contrabbando di petrolio. Le due vicende, nel M.FO.BIALI, si intersecano e, a volte, si confondono l’una con l’altra. Tra colloqui con carabinieri, finanzieri e persino giornalisti, l’intelligence segnala in maniera esplicita Giudice come soggetto centrale nella compravendita di petrolio. Venti milioni di tonnellate che saranno venduti dai libici a un prezzo inferiore rispetto a quello deciso dall’OPEC, lucrando sulla differenza.

Un altro personaggio a cui si fa spesso riferimento in questa parte del dossier è il generale Vito Miceli, ex direttore del SID. Egli non sembra avere un ruolo nella trattativa illegale, ma le conversazioni continue con Foligni e Giudice mostrano una certa vicinanza tra queste persone. Contiguità dovuta, probabilmente, alla situazione difficile di Miceli, appena uscito di prigione con uno stato di salute precario. Foligni e Giudice, dunque, appaiono volenterosi di dare una mano a un ex potente in difficoltà.

Un nome di peso che compare in diverse occasioni è quello di Licio Gelli, soprattutto accostato alla figura di Umberto Ortolani. Il Venerabile Maestro è segnalato come «alta carica in seno ad imprecisata loggia massonica», conoscente del colonnello Trisolini (braccio destro di Giudice). I due hanno avuto diversi contatti nel maggio del 1975 e sono stati attenzionati dai servizi segreti in relazione anche al contrabbando di petrolio e a vari episodi di corruzione che si approfondiranno successivamente.

Ancora una volta, i servizi segreti dimostrano notevole efficienza. Le ben informate fonti riferiscono di una cena, offerta da Raffaele Giudice, con Trisolini, Gelli e alcuni alti burocrati di Stato. Sulla questione, dunque, si affaccia anche la P2. Ortolani, in questo senso, ha un ruolo di rilievo. Considerato in buoni rapporti con la Dc e i suoi massimi esponenti, chiede a Foligni di sostenerlo per una nomina a carico di un ente imprecisato. Secondo quanto segnalato, la nomina di Ortolani avrebbe incontrato il favore di Fanfani e Moro, ma l’opposizione di Colombo, il quale riuscì, infine, a spuntarla.

GIUDICE E FOLIGNI. I NUOVI CONTATTI

Il focus dei servizi, dopo una prima parte dedicata quasi interamente a Foligni, si sposta su Raffaele Giudice, alla guida della Guardia di Finanza dal primo agosto 1974. Gli agenti dell’Ufficio D evidenziano con grande chiarezza espositiva che il rapporto tra Foligni e Giudice poggia su due fondamenta principali: il Nuovo Partito Popolare e la compravendita di petrolio.

Proprio per dare un’accelerata a questo enorme accordo, Foligni decide di andare a Malta. Lo accompagna un altro intermediario, Morelli. Quest’ultimo è considerato un uomo di Attilio Monti, petroliere con interessi molto sviluppati in tutta Italia e una lunga storia di interferenze politiche alle spalle. Foligni cerca di essere il più riservato possibile su questo delicato viaggio, conclusosi in maniera piuttosto deludente. I libici, infatti, trattano i due italiani con sospetto e il tanto agognato contatto per il petrolio avviene fugacemente e in un’atmosfera di sospetti per gli agenti di Tripoli. Nonostante tutte le accortezze del caso, tuttavia, i servizi segreti si dimostrano ancora una volta ben informati sull’accaduto.

Dopo un ulteriore serie di controlli, tra cui la ricostruzione di molteplici conversazioni con Alfio Marchini, impresario vicino al Partito Comunista Italiano, i servizi chiedono, il 17 maggio 1975, di poter procedere a «una concreta e più positiva penetrazione». Con questa locuzione tecnica si intende l’inizio delle intercettazioni telefoniche.

Prima del già citato viaggio maltese, Foligni parla con Giudice dei guadagni e viene stabilito che i soggetti coinvolti intascheranno 1,70 dollari per ogni barile. Mentre l’affare procede, si eclissa il petroliere Monti, forse escluso dall’affare o forse più accorto nel non farsi coinvolgere troppo direttamente. In questa serie di vicende, tutte accuratamente ricostruite dai servizi segreti, si nota anche un ruolo molto particolare di Foligni. Egli consegnava al prelato Annibale Ilari, ex collaboratore dell’Osservatore Politico di Pecorelli, alcune note giornalistiche di argomento imprecisato che poi venivano girate a un misterioso monsignore. Per quale ragione non si sa, ma è certo che le capacità informative di Foligni non erano banali.

Un altro legame interessante che emerge è quello tra Foligni e l’ambasciata statunitense a Roma. Risultava che la delegazione a stelle e strisce avesse telefonato al faccendiere, forse per conto di Thomas Biamonte, agente dell’FBI nella capitale italiana. Il 24 maggio 1975 Foligni restituisce la chiamata all’ambasciata statunitense e parla con un certo Joseph C. Michela, collaboratore di Biamonte ed egli stesso membro del Bureau.

GIOCHI COMPLESSI. POLITICA E INFLUENZA SUI GIORNALI

Raffaele Giudice

Tra la primavera e l’estate del 1975, Foligni vive un periodo complesso. Il suo viaggio a Malta, infatti, viene svelato e c’è una fuga di notizie che potrebbe mettere in difficoltà la struttura dell’affare dei petroli. Foligni si dimostra totalmente inconsapevole del fatto che i servizi segreti, in realtà, fossero pienamente informati dei suoi loschi giri. Ma qual era stata la fuga di notizie? Lo Stato maggiore dell’Esercito italiano aveva informato il Vaticano di un viaggio a Malta, previsto per monsignor Bonadeo — cappellano militare — incaricato di trattare la questione del greggio. Si trattava del seguito alla prima visita maltese di Foligni. Il Vaticano, tuttavia, bloccò la missione e Bonadeo trovò un’alternativa, suggerita dai servizi: inviare sull’isola la propria nipote.

La vasta rete di connessioni di Foligni lo rendeva un personaggio molto particolare. L’Ufficio D ne evidenzia le potenzialità informative data la sua presenza in campi diversi: imprenditoria, ambito militare e politica. Ma, fatta intravedere la possibilità di cooptarlo, i servizi segreti la accantonano e ripartono con i controlli. Essi identificano due diverse trattative nel M.FO.BIALI: la prima aveva come intermediario Mintoff e vedeva coinvolti ambienti maltesi mentre la seconda vedeva Foligni mediatore e l’implicazione dell’ambasciata libica. Quest’ultima è la trattativa più corposa e ha come manovratore occulto, da dietro le quinte, il generale Giudice. Questa distinzione in due trattative, in realtà, non verrà più riproposta dall’Ufficio D. Probabilmente i servizi segreti avevano preso un abbaglio o raccolto informazioni parziali. La trattativa, in realtà, era unica e vedeva il coinvolgimento sia dei diplomatici libici, probabilmente referenti di Foligni, sia dei maltesi.

In maniera un po’ aleatoria e senza grande seguito, i servizi paventano anche un interesse di Mariano Rumor nell’affare vista la sua presenza a una colazione con vari personaggi coinvolti nella compravendita. Anche questo elemento, tuttavia, non ebbe alcun seguito ed è probabile che Rumor non avesse niente da spartire con i personaggi coinvolti a differenza dell’industriale e cavaliere del lavoro Mario Rendo, un siciliano inserito nell’affare da Giudice e Foligni.

Tra incontri con Nicola Falde, anche lui ben addentro a certi movimenti interni agli apparati italiani, Ortolani e Luigi Gedda, presidente dei Comitati civici, Foligni si dimostra molto ben inserito persino in ambito giornalistico. Secondo i servizi, infatti, il fondatore dell’NPP era amico di Klaus Ruhle, figura di spicco dell’associazione stampa estera, e del giornalista De Andreis. Il legame sarebbe stato molto forte. A testimoniarlo, un episodio: Foligni chiede a De Andreis di far pubblicare un articolo positivo nei confronti di Malta e del suo primo ministro Mintoff. Ed effettivamente il pezzo comparve su Panorama con il titolo: Vaticano – C’è l’aiuto di Malta. Nel testo si parlava in maniera favorevole di una mediazione maltese tra Israele, Nazioni occidentali e potenze arabe per l’internazionalizzazione di Gerusalemme. Il testo dilatava a dismisura i meriti di Mintoff e del governo isolano e dimostrava l’influenza che Foligni riusciva ad avere anche su una parte del mondo giornalistico.

IL DECISIVO GIUGNO 1975

Nel giugno del 1975 la trattativa dei petroli subisce un’accelerata con, sullo sfondo, la situazione del Nuovo Partito Popolare. Ma, sempre nel medesimo periodo, Giudice e Trisolini aumentano i propri contatti con Licio Gelli. Questi personaggi si incontrano almeno tre volte, di persona, in un lasso di tempo piuttosto ristretto. Nel frattempo, tuttavia, il M.FO.BIALI ci informa anche sulle difficoltà economiche di Foligni, il quale sembra affannarsi per riuscire a trovare risorse economiche. Egli prova ad appoggiarsi a istituti bancari amici che, tuttavia, non si dimostrano poi così inclini ad aiutarlo.

Foligni era andato in difficoltà economiche anche a causa dei suoi investimenti sul NPP che, tra congressi iniziali e assemblee preparatorie, drenava grandi risorse. La costruzione del partito procedeva in parallelo con la trattativa dei petroli di contrabbando con i sostenitori del partito che si sovrapponevano alle personalità coinvolte nel giro del greggio.

I servizi identificano diversi sostenitori di peso dell’impresa politica di Foligni:

Alcuni nomi, tuttavia, risultavano imprecisi. Luigi Gedda, ad esempio, era stato vicino a Foligni, ma se ne allontanò in seguito a profondi dissidi. Nel corso del M.FO.BIALI è ricostruita perfino la discussione tra i due. Gli altri, come si può facilmente notare, avevano interessi economici in comune con il promotore del NPP. Il M.FO.BIALI, dunque, si sviluppa attraverso una rete di personaggi che agiscono su piani differenti, i cui percorsi in alcune occasioni si intersecano. La coppia Trisolini-Giudice, caratterizzata da una stretta simbiosi e da identiche prospettive affaristiche, manifestò interesse ad agevolare un personaggio siciliano nel trasferimento all’estero di 500 milioni di lire. L’esportazione di valuta era un reato particolarmente grave in un periodo di forti oscillazioni della lira, soggetta alle turbolenze dell’inflazione, ma Giudice e Trisolini potevano guadagnare il 3 per cento da questa operazione illegale.

I servizi segreti, in questa fase del dossier, mettono sotto la lente d’ingrandimento proprio il segretario particolare di Giudice e suo complice in diverse malefatte: Giuseppe Trisolini. Egli aveva strettissimi legami con il consigliere di Stato Ugo Niutta, massone con contatti solidi in diversi ambienti del mondo militare e burocratico italiano. Uno dei suoi amici era Antonio Varisco. I due, probabilmente, avevano anche un rapporto di tipo informativo.

Oltre all’esportazione di valuta, il comandante generale della Guardia di Finanza aveva trattato anche l’acquisto di un’area da 4500 ettari in Canada, nella zona del Lago Superiore. Nella compravendita era presente anche l’onnipresente Foligni nel ruolo di intermediario. Lui e Giudice avrebbero guadagnato, da questa operazione gestita per conto terzi e con fondi con ogni probabilità depositati all’estero, 200 mila dollari. Simili manovre dei finanzieri erano molto poco chiare e i contorni rimanevano sfumati.

FOLIGNI COMUNISTA?

Luigi Gedda (fonte: wellcome.org)

Mentre si dipanavano le trame di Giudice, Trisolini e Foligni, il Nuovo Partito Popolare era in netta difficoltà. L’impresa rischiava di fallire anche a causa del mancato appoggio di Gedda, protagonista di una già citata discussione con Foligni. La defezione dello stimato leader dei Comitati civici apre la strada ad altri abbandoni e il Nuovo Partito Popolare traballa prima ancora di essere arrivato alle sue prime elezioni. Nonostante ciò, Foligni, ogni qual volta parla del NPP, cerca sempre di mostrare sicurezza nella buona riuscita dell’operazione. I servizi segreti parlano di un supposto abboccamento tra Fanfani e Bernabei per evitare la creazione del nuovo partito. Cercando di ribaltare le sorti della propria creatura, Foligni preme sul tasto della stampa. Questo ambito, nel M.FO.BIALI è chiaro, era al centro degli interessi di Foligni. Egli incontra, in più di un’occasione, Augusto Nazzareno Marcelli, futuro collaboratore dell’Osservatore Politico di Mino Pecorelli e, all’epoca, giornalista de Lo Speciale.

Foligni venne intervistato proprio da tale periodico. Aveva grande considerazione in Marcelli, forse per riuscire a creare un rapporto amichevole e duraturo.

Uno dei tratti più difficili da identificare del M.FO.BIALI è composto da una serie note dei servizi segreti sulla contiguità di Foligni ad ambienti comunisti. Egli aveva rapporti, già evidenziati, con l’imprenditore Marchini, vicino al PCI, e con un avvocato di area comunista, tale Mirabile. L’Ufficio D delinea, dunque, un quadro complesso, ma sottolinea come sia prematuro affermare che Foligni fosse un agente comunista.

Proseguendo nelle intercettazioni e nei pedinamenti, i servizi diventano maggiormente espliciti in questo senso:

Questo è il secondo appunto sulla vicinanza tra comunisti e Foligni ed è risalente al 21 luglio 1975. Del medesimo periodo è anche un’altra nota in cui si legge: «L’orbita nella quale ruotano Miceli e Foligni è pertanto chiaramente comunista. Non vi sono dubbi». È una frase di un certo peso che mette in relazione i due personaggi con una galassia di avvocati e imprenditori di area comunista. Le note proseguono identificando in maniera ancora più palese Foligni come un agente del PCI usato per penetrare in ambienti qualificati. L’unica connessione seria con il mondo comunista e sovietico, tuttavia, è un appunto su un contatto tra Foligni e due giornalisti dell’URSS mediato dal giornalista tedesco Ruhle.

Le affermazioni riportate sono di dubbia consistenza, tant’è che, dopo gli appunti della tarda estate del 1975, spariscono tutti i riferimenti a queste connessioni tra Foligni e i comunisti. Anzi, il creatore del Nuovo Partito Popolare aveva avuto contatti soprattutto con gli statunitensi e, in misura ancora maggiore, con Tripoli. Lo afferma Foligni stesso, forse millantando: «C’è tutto un mondo arabo che è con noi». Non erano, quindi, i sovietici o il PCI a finanziare il partito rivale della Democrazia Cristiana bensì la Libia del colonnello Gheddafi.

GELLI E LE NOMINE. IL FANTASMA DELLA MASSONERIA NEL NPP

Licio Gelli

Dopo una lunga parentesi sul NPP e su Foligni comunista, i servizi tornano a occuparsi degli affari, totalmente illegali, di Trisolini e Giudice. I due si mostrano interessati a portare in Svizzera una parte delle loro ricchezze: 500 milioni di lire. Il viaggio in treno verso la Svizzera di Trisolini e della moglie di Giudice — di cui era amante — è descritto nei dettagli dagli informatori dell’Ufficio D.

La somma depositata, tuttavia, non risulta specificata né quantificata con precisione. I servizi intercettarono inoltre una telefonata tra Trisolini e la signora Giudice: i due, pur servendosi di un linguaggio contorto e di difficile interpretazione, discutevano della loro impresa svizzera e di altri affari illeciti che coinvolgevano Trisolini e il marito, tra cui il contrabbando di petrolio dal valore di un miliardo di lire. Nella medesima telefonata Trisolini e Giuseppina Giudice si mostrano particolarmente preoccupati per un eventuale trasferimento di Giudice dal comando generale della Guardia di Finanza alla guida dei Carabinieri. Parte così una strana operazione di Trisolini, il quale mira a evitare che il nome del suo superiore possa essere inserito nella rosa dei papabili per il comando dell’Arma.

Una delle prime persone con cui parla è Licio Gelli. Al Venerabile Maestro, il segretario generale di Giudice chiede chi possa essere il sostituto di Enrico Mino a capo dei Carabinieri. Il dato storico interessante è che, già nel 1975, Gelli era in grado di avere informazioni di prima mano sulle nomine più importanti del comparto securitario italiano. Il capo della P2 si dimostra disponibile con Trisolini, gli parla con confidenza e chiede al colonnello chi fosse la nomina più gradita. Nel dialogo, i due si riferiscono a Mino come «cugino», linguaggio che sta a significare una comunanza massonica. La manovra di Trisolini, Giudice e Gelli si rivolge anche verso il consigliere di Stato Niutta e verte sempre sulla questione della nomina del comandante generale dei Carabinieri.

Analizzando il M.FO.BIALI si evidenzia una costante presenza sotterranea della massoneria anche in vicende secondarie come il tentativo di Foligni di far partire una pubblicazione del Nuovo Partito Popolare. I servizi ritenevano che il fondatore del NPP disponesse di fondi messi a disposizione da parte di una fonte non identificata. Forse gli arabi o qualche fratellanza massonica. Anche perché l’Ufficio D segnala che la Libera Muratoria aveva un seggio riservato all’interno del direttivo del Nuovo Partito Popolare. Un contatto nella massoneria italiana era Ottorino Fragola, presentato da Falde a Foligni. Durante questi discorsi relativi alla massoneria, Foligni, è interessante notarlo, afferma di saper di essere controllato dal SID e dagli americani, ma probabilmente non ritiene che l’attenzione nei suoi confronti sia così alta.

I FINANZIAMENTI DEL PARTITO. FOLIGNI E LA MAFIA

Una immagine (primi anni Settanta) di Umberto Ortolani, considerato il riferimento «finanziario» della Loggia P2

Fare politica negli anni Settanta significava dover disporre di una quantità enorme di denaro, soprattutto per manifesti, congressi e macchina burocratica del partito. I soldi a disposizione del NPP arrivavano, lo si è già accennato, dai libici e anche da altre fonti. Lo dice Foligni stesso parlando con un esponente campano del suo NPP. Egli fa ripetute allusioni a una «via americana» e a un’altra italoamericana di «quell’ambiente particolare». Difficile comprendere quale sia questo ambiente particolare, ma i servizi segnano tra parentesi: «mafia?».

Rimane il fatto che Foligni contava molto su questi supposti appoggi e ciò lo portava a sopravvalutare enormemente il peso elettore della sua creatura. Questa sicumera, che spesso sfociava in vere e proprie esagerazioni, lo esponeva a contraccolpi. Trisolini e la moglie di Giudice, ad esempio, esprimevano tra loro molte riserve, anche denigratorie, nei confronti di Foligni e del rapporto tra quest’ultimo e il comandante generale della Guardia di Finanza.

Tra massoneria e sistema politico, il contrabbando di petrolio procede con un probabile coinvolgimento saudita nell’affare. Il totale di petrolio da portare in Italia assommava a 22 milioni di tonnellate da consegnare nel corso di cinque anni. Il patto tra Giudice e Trisolini, cementato dall’illegalità, viene tuttavia messo a dura prova da un episodio che causa uno scontro tra i due. La vicenda aveva al centro un imprenditore di Trieste che era disposto a dare 200 milioni di lire per evitare un controllo fiscale sulle sue aziende. Nell’affare era coinvolto anche il Capo di Stato Maggiore Donato Lo Prete.

Giudice e Trisolini volevano mandare un colonnello compiacente che, invece, era stato destinato erroneamente a Venezia. Di ciò Trisolini incolpava Giudice, considerato superficiale. La vicenda assume particolare rilievo, poiché la questione si ripresenta qualche tempo dopo. I contorni, questa volta, sono più delineati: un imprenditore slavo-triestino importa alcolici dalla Jugoslavia, li fa sofisticare in Italia e li rivende in Spagna e Francia. Il suo obiettivo è quello di evitare i controlli della Finanza su un giro di import ed export che vale svariati miliardi. Il finale della storia appena enunciata non si conosce visto che il M.FO.BIALI si interrompe.

Ma questo non è il solo episodio di corruzione tracciato dal M.FO.BIALI. Nel documento viene a galla anche il giro di tangenti pagato dal presidente della Mercedes in Italia per evitare accertamenti finanziari sui suoi conti personali. Anche in questo caso era coinvolto Lo Prete, una figura secondaria del M.FO.BIALI, ma sodale di Giudice ed esponente di primo piano del sistema illecito messo in piedi dai vertici della Guardia di Finanza.

Mario Foligni ebbe rapporti stretti anche con Antonio Maroni, uomo dei servizi segreti coinvolto in diverse vicende oscure, tra cui l’episodio di spionaggio ai danni del futuro presidente della Repubblica, Giovanni Leone. I due parlano di questioni finanziarie e Maroni, probabilmente millantando, afferma che in Sicilia «ha tutta la parte grossa della mafia». Foligni, punto nell’ego, ribatte dicendo: «Ce l’abbiamo pure noi!!» (sic). In questa assurda gara a intestarsi maggiore familiarità con la mafia, Maroni specifica che lui ha profondi contatti risalenti al suo periodo da Carabiniere in Sicilia quando, lo afferma lui stesso, aveva protetto il vero nucleo di potere della mafia dalla guerra dello Stato. Il particolare strano è che Foligni afferma chiaramente di avere pochissima stima di Maroni, ma lo riceve più volte, parlando di politica e affari.

LA FIGURA DI TRISOLINI

Trisolini è il personaggio più interessante del M.FO.BIALI. Dalla sua posizione di braccio destro di Giudice, egli è riuscito a costruire una rete di guadagni illegale che è messa nero su bianco dai servizi segreti. E, inoltre, è Trisolini a muoversi negli ambienti della massoneria per capire come fermare la candidatura del suo superiore al comando dei Carabinieri. Quindi, le azioni di Trisolini sono rivolte al mero vantaggio personale, sfruttando l’enorme rete di contatti e la sua posizione privilegiata in un corpo come la Guardia di Finanza.

IL M.FO.BIALI NELL’OSSERVATORE POLITICO

Mino Pecorelli

L’ultima parte del M.FO.BIALI è completamente diversa per tono e argomento rispetto alle pagine precedenti. Il dossier, infatti, termina con un approfondimento sul separatismo siciliano. Anche in questo frangente i servizi evidenziavano la presenza degli apparati libici, i quali erano interessati a soffiare sul vento del tradizionale autonomismo isolano. I separatisti siciliani, tuttavia, avevano dato prova di inaffidabilità in più circostanze e i finanziamenti di Tripoli erano stati oggetto di malversazione.

Dopo l’omicidio del giornalista Mino Pecorelli, avvenuto il 20 marzo 1979, ci fu una profonda perquisizione dei suoi documenti. La catalogazione non fu altrettanto precisa, ma emerse la presenza del M.FO.BIALI tra le carte del direttore di OP. Per lungo tempo il dossier fu considerato uno dei moventi più probabili per il suo assassinio. Anche perché, leggendolo, vengono resi più comprensibili una serie di articoli che uscirono sull’Osservatore Politico nel 1978.

Pecorelli inizia la pubblicazione di frammenti del M.FO.BIALI il 12 aprile 1978 con la nota: La signora fa il pieno in Svizzera. Il giornalista molisano aveva preparato l’articolo come una sceneggiatura, identificando i protagonisti con nomignoli particolari. Raffaele Giudice diventa Raf Lo Cadi; sua moglie è Maria TagliuzziTrisolini diventa Nik Gridolini. Pecorelli racconta la storia di esportazione della valuta in Svizzera avvenuta dopo un viaggio in treno partito da Roma. Cita direttamente il M.FO.BIALI e parla anche di un «potentissimo venerabile» che «tutto vede e benedice». È un chiaro riferimento a Gelli.

L’Osservatore Politico del 19 maggio 1978 è un numero speciale intitolato Fantapolitica: una storia di intercettazioni, alcool e di 200 milioni. Pecorelli racconta dettagliatamente l’affare dell’imprenditore triestino-jugoslavo che era disposto a pagare i vertici della Guardia di Finanza per evitare accertamenti fiscali. L’elemento particolare è la pubblicazione integrale delle intercettazioni, seppur mitigate dai soprannomi inventati dal direttore di OP. La campagna prosegue il 7 novembre 1978 con la serie di articoli Petrolio e manette. Il primo pezzo è Raffinerie e contrabbando: meccanismo, imputati, sospetti. Pecorelli accantona gli episodi di corruzione della Guardia di Finanza e si concentra sull’intermediario Morelli e sullo scandalo dei petroli toccando anche il caso Foligni. Il direttore di OP fa il resoconto di una parte del M.FO.BIALI e, questa volta, segna i nomi e i cognomi dei protagonisti del contrabbando. Il 14 novembre 1978 c’è la seconda parte di Petrolio e manette dal sottotitolo: Petrolio e moschetto imbroglio perfetto. Pecorelli aggiunge nuovi elementi e prosegue per tutto il novembre del 1978 con un altro articolo: La signorina e i monsignori, petrolio e manette – Petrolio e manette 3^ parte e Il generalissimo – Petrolio e manette 4^ parte. Tutti tratti direttamente del M.FO.BIALI.

Il finale del 1978 vede un Pecorelli martellante sul tema M.FO.BIALI. Nel dicembre 1978 l’Osservatore Politico si concentra sul Nuovo Partito Popolare e sulle manovre di Mario Foligni. In un primo momento, il giornalista molisano era stato vicino al NPP, ma poi se ne era allontanato bruscamente. Con il consueto tono caustico Pecorelli aveva evidenziato i finanziamenti libici con due articoli: Il partito del colonnello e Il pozzo d’oro. L’ultimo riferimento al M.FO.BIALI sull’Osservatore Politico è del 26 dicembre 1978 in un articolo dal titolo: Quella casetta in Canadà. In questo caso Pecorelli si concentra sulla compravendita di un terreno in Canada con intermediari Foligni e Giudice.

PECORELLI NEL M.FO.BIALI

Giorgio Pisanò

Ma il direttore dell’Osservatore Politico compare anche nel M.FO.BIALI. Pecorelli è citato per la prima volta in un dialogo con uno dei tanti questuanti che bussavano alla porta di Foligni. Quest’ultimo era stato contattato da Giudice, che gli aveva detto di informare Nicola Falde di un’ispezione della Guardia di Finanza. Foligni avvisò quindi l’ex agente dei servizi segreti che, come una sorta di minaccia indiretta, lasciò ben visibile nel suo ufficio un biglietto molto particolare. Nel foglio di carta, infatti, si segnalava un finanziamento dal valore di 30 milioni di lire da parte di un ministro in carica a una certa agenzia. Il riferimento a Bisaglia e alla sua sovvenzione all’Osservatore Politico è chiarissimo. Nel 1975, quindi, questa storia era già conosciuta in determinati ambienti della politica romana. Nella medesima conversazione, Foligni prosegue parlando di Pecorelli in toni molto negativi.

Un’altra conversazione su Pecorelli contenuta nel M.FO.BIALI è quella tra Maroni e Foligni. I due parlano di un numero di OP che conteneva informazioni importanti per il NPP e citano anche dei finanziamenti al giornale. Secondo Maroni e Foligni, Falde aveva intascato una certa quantità di fondi destinata all’Osservatore Politico. L’ex agente dei servizi, tuttavia, evidenziava l’opportunità di avere un appoggio da parte di Pecorelli, almeno a livello giornalistico.

I riferimenti a Pecorelli, dunque, dimostrano la grande attenzione di Foligni per la stampa. Ma testimoniano anche il fatto che conoscesse direttamente alcuni protagonisti delle vicende del M.FO.BIALI. Personaggi che furono poi citati su OP nel novembre e dicembre del 1978, pochi mesi prima dell’uccisione del giornalista molisano. Nel febbraio del 1979, inoltre, Pecorelli fu interrogato dal nucleo valutario della Guardia di Finanza su richiesta di Maurizio Pierro della Procura di Roma. Una strana modalità che nascondeva la volontà di non approfondire realmente i reati del M.FO.BIALI dal momento che la Guardia di Finanza ne era coinvolta appieno. L’episodio è raccontato nella relazione di minoranza della commissione parlamentare d’inchiesta sulla loggia P2 di Giorgio Pisanò. Quest’ultimo scrive che Pecorelli fu interrogato il 12 febbraio dai finanzieri mostrandosi decisamente canzonatorio. Pecorelli disse che gli articoli sul M.FO.BIALI erano tutti frutto di fantasia e, in brevissimo tempo, venne congedato.

Pisanò scrive:

«Non si è mai capito perché la Procura di Roma, nella persona del dottor Maurizio Pierro, non abbia proceduto direttamente all’interrogatorio del Pecorelli invece di delegare a questo compito il nucleo speciale di Polizia valutaria della G.d.F., che è in pratica il servizio segreto del Corpo. In un certo senso, era come gettare il Pecorelli nella fossa dei leoni, perché tutti, negli alti gradi della Finanza, e specie negli ambienti del ” nucleo speciale “, sapevano benissimo chi erano i generali di cui si parlava, sia pure sotto nome falso, negli articoli di Pecorelli.»

Dunque, Pecorelli era immerso totalmente nel contesto del M.FO.BIALI.

TUTTI CONTRO TUTTI

Antonio Labruna (fonte: 4agosto1974.wordpress.com)

Dal punto di vista giuridico il processo che coinvolse Giudice, Lo Prete, imprenditori e politici, si risolse al terzo grado di giudizio con pene ridotte per Lo Prete e la posizione di Giudice stralciata. Trisolini era venuto a mancare e, quindi, i reati si erano estinti. Lo scandalo andava ben oltre il M.FO.BIALI con il coinvolgimento di imprenditori e anche politici. Anzi: la regia del contrabbando era, secondo varie ricostruzioni giudiziarie, proprio composta dai politici, alcuni dei quali afferenti all’area di Aldo Moro. Rimane il fatto che il cosiddetto secondo scandalo dei petroli non ebbe conseguenze rilevanti dal punto di vista giudiziario per le persone coinvolte nel dossier e per coloro che, invece, non erano citati.

Dopo le note sull’Osservatore Politico e l’omicidio di Pecorelli comparve un documento firmato dal Coordinamento democratico della Guardia di Finanza. Il messaggio era rivolto a ministri, procura della Repubblica, segretari di partito e direttori di giornale. Nel testo si parlava degli articoli di Pecorelli e del fatto che, all’interno della Guardia di Finanza, ci fossero molti ufficiali contrari alla gestione di Giudice e Trisolini. Il Coordinamento segnalava la creazione di una vera e propria associazione a delinquere con Giudice a capo, essendo «primo per meriti ricattatori». Il comandante generale della Guardia di Finanza era sostenuto da una rete di generali che erano devoti solo al dio denaro. In conclusione, si leggeva: «I giovani finanzieri chiedono aiuto».

Non fu l’unico esposto da parte di un gruppo di finanzieri. Venne pubblicato un altro documento da parte di alcuni ufficiali del comando generale della Guardia di Finanza che evidenziavano gli illeciti compiuti dai massimi vertici del corpo. Erano segnali che le malversazioni e i soprusi all’interno della Guardia di Finanza non erano più tollerati da una parte della stessa.

Quando lo scandalo M.FO.BIALI venne reso di dominio pubblico, nei primi anni Ottanta, ci fu una sorta di resa dei conti tra i vari membri dei servizi. Nessuno voleva intestarsi la responsabilità della creazione del M.FO.BIALI, totalmente illegale. Gianadelio Maletti, interrogato dal suo esilio di Johannesburg il 29 settembre 1981, offrì informazioni interessanti. Egli affermava che Giudice era un personaggio discusso già prima di essere nominato comandante generale. Si diceva che il suo principale difetto fosse un eccessivo favoreggiamento dei propri sottoposti più fedeli. Maletti evidenziava anche che Giudice poteva contare su legami politici influenti, soprattutto nelle persone di Giovanni Gioia e del suo collaboratore Salvo Lima. Entrambi legati alla mafia siciliana.

Maletti proseguiva parlando del M.FO.BIALI. Le indagini partirono nell’autunno del 1974 grazie a fonti confidenziali. Si passò poi, in un secondo momento, al controllo telefonico. Prima fu intercettato Foligni e poi anche Trisolini. Il compito, dunque, era estremamente delicato visto che si trattava di mettere sotto controllo il comando generale della Guardia di Finanza. Secondo Maletti era l’agente Cogliandro a sbobinare tutta la mole di intercettazioni telefoniche. I resoconti venivano poi consegnati a Maletti stesso che, a sua volta, ne parlava con l’ammiraglio Mario Casardi, direttore del SID dall’arresto di Miceli nel 1974 al 1977. Quando Maletti fu trasferito dall’Ufficio D, diede il M.FO.BIALI ad Antonio Labruna, un altro ufficiale dei servizi. Labruna smentiva parzialmente questa ricostruzione dei fatti: è vero che il dossier gli era stato affidato, ma lui non sapeva nulla riguardo il contenuto. Si aggiungeva, dunque, ulteriore coltre di fumo sulla vicenda.

La testimonianza di Maletti continuava asserendo di non avere la certezza che ci fossero state intercettazioni telefoniche ma che ne deduceva la presenza da alcuni passaggi del documento. Il generale teneva a precisare che lui, durante la stesura del dossier, non aveva mai parlato con politici. Con loro, infatti, si interfacciava Casardi. Maletti, ed è molto interessante, chiarificò perfino le ragioni per cui si decise di non dare il M.FO.BIALI alle autorità giudiziarie. I motivi erano tre: non si voleva creare un terremoto istituzionale, non si potevano, per ovvie ragioni, fare i dovuti accertamenti con l’Ufficio I della Guardia di Finanza e non si poteva ignorare l’illegalità del dossier. Quest’ultima era la principale ragione dietro il mancato dialogo con la magistratura.

CASARDI CONTRO ANDREOTTI

Mario Casardi (nostra rielaborazione da fonti iconografiche note)

Maletti, nel suo interrogatorio, svelava una rivelazione di Casardi: a chiedergli di partire con i controlli su Foligni, che poi scoperchiarono il vaso di Pandora del contrabbando di petroli, era stato Giulio Andreotti, all’epoca ministro della Difesa. Le dichiarazioni di Maletti portarono all’interrogatorio del Divo e dell’ex direttore del SID e ci fu anche un confronto tra i due.

Il notabile democristiano era ministro della Difesa da marzo 1974 all’autunno dello stesso anno per poi passare al dicastero del Bilancio nel Moro IV. Secondo la versione di Andreotti, verso la fine del suo mandato a Palazzo Baracchini, Casardi gli presentò alcuni appunti relativi alle macchinazioni politiche di Foligni. Negava di aver preso iniziative di approfondimento e affermò, in tono volutamente contorto: «Condivisi l’opportunità prospettatami in quella circostanza di un approfondimento della notizia attraverso appropriate indagini». Andreotti, dunque, negava di sapere ciò in cui era coinvolto Giudice e negava di essere a conoscenza del contrabbando del greggio. Casardi, nei suoi colloqui con lui, si era concentrato solo ed unicamente sul NPP.

Secondo l’ex direttore del SID la costruzione del M.FO.BIALI era iniziata nell’ottobre 1974. Anche Casardi sottolineava che il dossier era illegale e, per tale ragione, non era stato trasmesso alla magistratura. Egli affermò anche che, se Maletti non fosse stato trasferito, si sarebbe andati avanti con le indagini. Casardi smentiva Andreotti su due punti: il Divo era stato avvisato sui traffici di Giudice ed era stato proprio lui a chiedere che venissero fatti accertamenti su Foligni.

I due si confrontarono, faccia a faccia, il 25 giugno 1981. Andreotti continuava a sostenere di aver ricevuto un appunto del SID di Casardi. Quest’ultimo affermava di non ricordare l’episodio in questione, che poteva essere accaduto, e confermava di aver parlato con il ministro di Giudice e dei suoi traffici di petrolio con la Libia e con Foligni. Quindi, qual era la verità? Non si raggiunse mai un punto d’accordo, ma il fatto stesso che ci fosse questa profonda frattura tra due massimi esponenti delle istituzioni italiane è un dato storico degno di nota.

SCIE DI SANGUE. LA MORTE ENIGMATICA DI SALVATORE FLORIO

Corriere della Sera, prima pagina del 13 giugno 1981. Un articolo sulle «misteriose morti di Rossi e Florio». Proprio in quei giorni si formalizzava il cambio di direzione tra Franco Di Bella e Alberto Cavallari

Anche in questa storia nebulosa, c’è una morte dai contorni sospetti: quella del colonnello Salvatore Florio, responsabile dell’Ufficio I della Guardia di Finanza. Egli era uno dei capi di ciò che può essere definito, usando un linguaggio non tecnico, il servizio segreto dei finanzieri. Florio e il suo autista morirono in un incidente stradale il 26 luglio 1978. Il momento era particolarmente difficile per il colonnello, il culmine di un quadriennio complesso dal punto di vista lavorativo. Florio, infatti, era stato più volte trasferito e la sua carriera aveva avuto una brusca frenata con la nomina a comandante generale di Raffaele Giudice.

Fino a quel momento il percorso di Florio non era stato per niente banale. Il colonnello, nel 1974, aveva indagato su Licio Gelli per conto dell’Ufficio I e il suo compito, considerato riservato e particolarmente delicato, fu portato avanti grazie all’aiuto di diversi altri finanzieri. Tra di loro c’era anche Luciano Rossi, in seguito morto suicida. L’importanza della missione è testimoniata proprio dai nomi coinvolti nell’indagine. Oltre a Rossi, Florio aveva chiesto appoggio a Giuseppe Serrentino, ufficiale di collegamento tra il SID e il servizio d’informazione della Guardia di Finanza, e al tenente colonello Antonino De Salvo. Le varie relazioni vennero poi riunite in un documento unico che rimase negli archivi della Guardia di Finanza.

I problemi di Florio iniziarono con la nomina di Raffaele Giudice a comandante generale. Egli fu trasferito da Roma a Genova e l’informativa su Gelli si inabissò. Quest’ultimo cercò perfino di avere un contatto con Florio. Il Venerabile Maestro era a conoscenza del lavoro coordinato dal tenente colonnello e cercò abboccamenti anche con gli altri agenti impegnati nell’informativa sulla sua persona. Lo dimostrano varie deposizioni raccolte durante l’inchiesta sulla morte del finanziere. Ma la testimonianza più drammatica sul caso Florio è quella di sua moglie, Myriam Cappuccio Florio, interrogata il 30 maggio 1981. Lei descrive prima un tentativo, da parte di Gelli, di far iscrivere il marito alla P2 e poi un dialogo, fortemente allusivo, tra i due, avvenuto in un ristorante di Roma alla presenza di altri commensali. Cappuccio Florio parlava anche della nomina di Giudice con cui Florio non aveva un buon rapporto, anzi. Lui confidò alla coniuge di aspettarsi il trasferimento e, quando arrivò il momento, rifiutò sia Catanzaro sia la Sicilia, considerata il centro degli interessi di Giudice. Alla fine, andò a Genova. Per la sua carriera era un duro colpo. Dopo qualche anno, tuttavia, tornò a Roma dove cambiò ancora un paio di incarichi, sempre senza scatti in avanti.

Anzi, le frizioni con Trisolini e Giudice peggiorarono tant’è che la moglie racconta:

«Nel giugno del 1978 il generale Giudice effettuò una visita presso la Scuola Sottufficiali comandata da mio marito, nel cui studio fra i due vi fu un’animata discussione. So che a un certo punto mio marito disse a Giudice che gli avrebbe detto al più presto tutto quanto era venuto a sapere su di lui. Non so che cosa rispose il generale Giudice, ma mi risulta che la prese sul ridere ed abbracciò per la prima volta mio marito. Al colloquio assistette il generale Danilo Montanari, comandante della Scuola. Costui mi confermò quanto io appresi da mio marito e mi ricordo che mi disse testualmente: “Ho assistito ad un incontro-scontro di tipo mafioso”, riferendosi all’abbraccio del generale Giudice e al suo atteggiamento.»

Un mese dopo, alle ore 19.30 all’altezza di Carpi, avviene il già citato incidente di Florio. Le condizioni meteorologiche erano ottime e il traffico normale. L’auto di Florio sbandò, invase l’altra carreggiata e, senza tracce di frenata, si schiantò contro un veicolo che andava nella direzione opposta. Il rapporto della polizia evidenziava che la causa dell’incidente era da identificarsi presumibilmente in un colpo di sonno o in un malore dell’autista, Francesco Naccarato, ventottenne in ottimo stato di salute. La morte di Florio e il suicidio di Rossi, il quale nelle ore prima del decesso si era accorto, secondo il procuratore Gallucci, di essere pedinato, rimangono due punti di domanda enormi su questa vicenda. La loro fine fu anche oggetto di un’interpellanza parlamentare da parte di alcuni deputati radicali.

UN SISTEMA DI POTERE

La mancata esplosone del M.FO.BIALI può essere spiegata solo avendo in mente il sistema di potere che governava l’Italia in quel periodo. Il giro di corruzione e dei petroli descritto dal dossier fu, di fatto, ridimensionato da una serie di processi piuttosto comprensivi nei confronti degli imputati. È la testimonianza di apparati che si auto-tutelavano. Il dedalo di interessi descritto nella documentazione toccava ambienti sfaccettati: politica, economia, Vaticano e mondo militare. Proprio per tale ragione, il sistema di potere trovava un suo punto d’equilibrio nella necessità di proteggersi da eventuali scossoni. In un certo senso lo dice anche Maletti.

Se il dossier fosse stato consegnato alla magistratura, si sarebbe aperta una frattura istituzionale non facile da rimarginare per le varie implicazioni che il documento poteva avere. Rimane il fatto che il M.FO.BIALI è anche un affresco gotico, quasi da film dell’orrore, della guerra tra bande che ha caratterizzato un’ampia porzione della storia repubblicana.