Qui potrai trovare una vasta rassegna di materiali aventi ad oggetto uno dei periodi più interessanti della recente storia repubblicana, quello compreso tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Ottanta del secolo scorso.
Il sito comprende sei aree tematiche e ben ventidue sottocategorie con centinaia di pezzi su anni di piombo, strategia della tensione, vicende e personaggi più o meno misconosciuti di un’epoca soltanto apparentemente lontana. Per rinfrescare la memoria di chi c’era e far capire a chi era troppo giovane o non era ancora nato.
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Enrico De Pedis detto «Renatino». Ma lo scherzoso diminutivo non deve ingannare perché a soli 30 anni è sospettato d’essere uno dei più grossi malavitosi romani, l’erede del clan Giuseppucci-Abbruciati, esponente di punta del grande traffico di droga, legame preciso tra la criminalità organizzata romana e quella siciliana. Insomma, un personaggio di tutto rispetto, un «mammasantissima» sul quale pendevano mandati di cattura a ripetizione, emessi dal giudice istruttore Catenacci, per associazione per delinquere finalizzata al traffico degli stupefacenti, omicidi (e non solo un omicidio), tentati omicidi, rapine, falso, porto abusivo di armi da fuoco e altro.
Da due anni il bandito era latitante, ma il vice-questore Rino Monaco lo ha finalmente messo in trappola. Profondo conoscitore della malavita romana avendo diretto per tanti anni la sezione omicidi, il nuovo capo della squadra mobile ha mirato con cura il suo primo importante intervento proprio nei confronti di Renatino, la cui pericolosità sociale è da tempo ben nota agli «addetti ai lavori» della legge. Un arresto, quindi, solo all’apparenza di «routine», che invece persegue lo scopo, come ha indicato più volte ai suoi collaboratori il questore di Roma Monarca, di aggredire i gangli vitali della malavita organizzata romana, scardinandone soprattutto i legami con quella di altre regioni italiane.
Enrico De Pedis viveva da qualche tempo in una lussuosissima «garconierre» in via Elio Vittorini 103, all’Eur, ospite di Sabrina Minardi di 24 anni, moglie separata del calciatore della Lazio Bruno Giordano. E si sentiva tranquillo grazie ad una patente abilmente falsificata in base alla quale risultava chiamarsi Cesare Tafanelli, come un commerciante di alimentari suo amico che è stato arrestato con la Minardi per favoreggiamento personale.
Il commissario Gianni Santoro della seconda sezione della mobile teneva da tempo sotto controllo la donna che si sapeva legata ad esponenti della malavita. I suoi movimenti di questi ultimi giorni sono stati controllati con particolare attenzione da una squadra di specialisti del pedinamento e quando l’hanno vista in auto con un giovane che aveva l’aria di essere proprio il supericercato Enrico De Pedis, è scattata la trappola. L’altra mattina sono stati sorpresi entrambi nella «garconnierre» di via Vittorini. Più tardi li ha seguiti in Questura anche il Tafanelli che avrebbe anche acquistato in passato proprietà immobiliari come prestanome del De Pedis. Una circostanza quest’ultima al vaglio del vice-questore Monaco e dei suoi collaboratori.
Del bandito, erede come abbiamo detto di quel Franco Giuseppucci assassinato dai rivali del clan Proietti e di quel Danilo Abbruciati ucciso mentre a Milano cercava di uccidere il banchiere Rosone, si conoscono i legami con personaggi come il siciliano Francesco Cannizzaro, trafficante internazionale di eroina, come i fratelli Ferrera di Catania e come il cinese Ko Ba Kin, il cinese «pentito» che ha collaborato con le sue rivelazioni allo smantellamento dell’organizzazione mafiosa che importava droga pesante dalla Thailandia.
Gli investigatori vogliono sapere il più possibile su investimenti puliti che il De Pedis avrebbe realizzato riciclando denaro «sporco», soprattutto nel campo immobiliare con la complicità di compiacenti prestanome (come, se saranno confermati i sospetti, il già nominato Tafanelli) e che potrebbero ricadere nelle sanzioni e nei provvedimenti previsti dalla legge antimafia.