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L’idea di Gaspari di far intervenire i partiti nella «gestione» dei grandi giornali

Redazione Spazio70

Da un articolo di Sandro Parone per «Panorama» (aprile 1973)

Remo Gaspari, 52 anni, boss democristiano di prima grandezza in Abruzzo, è un uomo attivissimo. È ministro della Sanità, alle ultime elezioni è riuscito a rastrellare 136 mila preferenze, è un pezzo grosso della corrente tavianea («Paolo Emilio Taviani regna», dicono a Pescara, «ma Remo Gaspari governa»). Trova anche il tempo di coltivare molti hobbies: la musica classica (ha centinaia di dischi e un impianto stereo costosissimo, un gioiello nel genere), la guida veloce (contende a suo figlio Lucio, 25 anni, un’Alfa spider rossa e anni fa, in motocicletta, si è procurato un’otite che lo ha reso mezzo sordo fino allo scorso ottobre quando si è fatto finalmente operare), le lunghe passeggiate ad andatura sostenuta (è stato bersagliere), gli incontri di pugilato (il naso se lo è rotto così da giovane), il calcio (sa tutto sui campioni d’anteguerra).

Dei problemi del giornalismo e dell’informazione in generale, Gaspari non si era invece mai occupato. Per questo ha sorpreso un po’ tutti quando mercoledì 11 aprile, in un discorso fatto nel suo paese natale, Gissi, in provincia di Chieti, ha lanciato l’idea di far intervenire i partiti nella gestione dei grandi giornali (come avviene nella radiotelevisione, dove questo sistema di controllo è in vigore da sempre), offrendo in cambio la garanzia di una equilibrata distribuzione fra le diverse testate dei proventi della pubblicità.

LA PROPOSTA DI GASPARI, LA RISPOSTA DI MONTANELLI

Indro Montanelli

«In un Paese democratico sono indispensabili sia la stampa che la radiotelevisione», è stato il nocciolo della sua proposta, «perciò sarebbe augurabile un discorso globale che deve tener conto del diverso peso elettorale dei partiti democratici nel Paese e soprattutto assicurare a uomini certamente amanti della libertà la guida e la conduzione tanto della Rai-Tv che dei maggiori giornali, sottraendo l’una e gli altri a qualsiasi difficoltà finanziaria».

Perché queste parole non rischiassero di perdersi nel fiume degli interventi dei suoi colleghi democristiani che si preparano al congresso di giugno, Gaspari ha dettato per telefono una sintesi del discorso al suo addetto stampa, Normanno Messina, che l’ha trasmesso dal ministero all’agenzia Ansa. Sul Corriere della sera, Indro Montanelli ha replicato subito a Gaspari in termini molto duri. «Nella sua stravagante dissertazione, il ministro della Sanità ha teorizzato, applicandola anche alla stampa, la tecnica della lottizzazione che ormai la diccì ha elevato addirittura a costume», ha scritto Montanelli, «e secondo lui la libertà di stampa va appaltata a uomini che forniscano garanzia di amarla e servirla coscienziosamente. Il che ci ricorda un famoso sindaco di Vienna, razzista avanti lettera, che chiedeva il bando degli ebrei, ma riservandosi la facoltà di decidere chi lo fosse e chi no».

All’attacco del Corriere, Gaspari reagisce ora con questa dichiarazione a Panorama: «È vero che non mi sono occupato spesso di questioni della stampa, ma mi sono sempre occupato della libertà e in questo senso ho parlato a Gissi. Si tratta di cercare un equilibrio fra la possibilità di espressione di diversi gruppi di cittadini e mi pare ovvio che si tenga conto dell’orientamento generale del popolo che è rappresentato dalla forza dei vari partiti politici».

UNA «SPARATA» PER COLPIRE I FANFANIANI?

Il fanfaniano Lorenzo Natali

Secondo un diretto collaboratore di Gaspari, però, la ragione della sparata del ministro della Sanità va cercata non tanto nel tentativo di condizionare la stampa, quanto nella lotta con il gruppo di Amintore Fanfani che controlla la Rai-Tv in vista del congresso democristiano. Gaspari in Abruzzo è rivale diretto di un altro pezzo da novanta: Lorenzo Natali, ministro dell’Agricoltura. I rapporti tra i due, formalmente, sono ottimi ma dietro le quinte c’è una lotta a coltello da anni. Nel dicembre 1969, Gaspari riuscì a imporre un suo uomo, Giovanni Provvisiero, come segretario regionale della Dc, cogliendo i nataliani di sorpresa. A due settimana di distanza, i seguaci di Natali misero in circolazione una serie di ciclostilati in cui avevano elencato minuziosamente le cariche (e gli stipendi, in alcuni casi una decina) ottenuti nel partito e nelle amministrazioni locali dai gaspariani.

Le due fazioni sono ai ferri corti anche in un affare di molti miliardi per cui si aspetta il parere della Regione: i gaspariani sono favorevoli e i nataliani contrari, alla costruzione di una raffineria della Sangro Chimica a Fossacesia, nella vale del Sangro, una zona agricola e di grosse possibilità turistiche in provincia di Chieti nel feudo elettorale di Gaspari. L’ultimo round nella lotta fra i due lo ha vinto Natali. Gaspari era riuscito a piazzare uomini suoi alla presidenza di tre delle quattro camere di commercio abruzzesi. Ora Natali gliele ha strappate e nella quarta ha messo un socialdemocratico: non gli resta che firmare, come ministro dell’Agricoltura (Mauro Ferri, socialdemocratico, ministro dell’Industria, lo ha già fatto), l’atto di nomina, ma ha deciso di aspettare la vigilia del congresso regionale della Dc perché tutti si accorgano che è lui il democristiano numero uno in Abruzzo.

Quindi attaccando sull’argomento dell’informazione, Gaspari avrebbe puntato soltanto a mettere in difficoltà i fanfaniani. È una giustificazione che, secondo Montanelli, non ha che aggravare le cose: «Siamo di fronte», dice, «a una Dc che per le sue beghe interne è pronta a mandare a fondo il Paese, come uno stato maggiore disposto a perdere la guerra pur di fottere il generale in capo».