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L’esperienza di Federico Fellini con l’LSD

Redazione Spazio70

Sotto la supervisione dello psicoanalista Emilio Servadio, Fellini sperimenta il potente allucinogeno in una domenica d'estate

Nel luglio del 1964 Federico Fellini dà inizio alle riprese del suo primo lungometraggio a colori. Dopo Le tentazioni del dottor Antonio, episodio del film collettivo Boccaccio ’70 (1962), il cineasta riminese ritorna alla pellicola in Technicolor con la realizzazione di Giulietta degli spiriti, un’opera visionaria il cui sfarzo cromatico è affidato alla sapiente direzione fotografica di Gianni Di Venanzo. Il film si colloca in un periodo della vita dell’autore caratterizzato da un forte interesse per tematiche legate al sovrasensibile e al sovrarazionale: dalla parapsicologia all’occultismo, dallo studio dei sogni alle discipline iniziatiche.

LA FOTOGRAFIA COME ESPERIENZA SPIRITUALE

Fellini in quegli anni conosce e frequenta personalmente il più famoso sensitivo italiano, il torinese Gustavo Adolfo Rol, ed è inoltre paziente di uno dei fondatori della psicoanalisi italiana: il dottor Emilio Servadio, psicoanalista ma anche parapsicologo, esoterista e massone, nonché ex membro del gruppo di UR: sodalizio magico-esoterico del quale fecero parte, negli anni ’20 del ‘900, personaggi come Julius Evola, Arturo Reghini, Massimo Scaligero e Guido De Giorgio.

Autore di numerosi studi sugli stati alterati di coscienza, Servadio si è più volte occupato delle acque corrosive, espressione che nel gergo alchemico di UR sta ad indicare, tra le altre cose, il ricorso a «sostanze di potere» all’interno del cammino iniziatico: sostanze psicotrope, comunemente definite allucinogene, da sempre impiegate a scopi rituali da numerose culture, specialmente tra i popoli con antiche tradizioni sciamaniche e misteriche. Ma l’utilizzo di droghe psichedeliche, per le indagini del noto dottore, riguarda anche il contesto lavorativo più “profano”. Nell’estate del 1964, infatti, l’LSD 25 (Lyserg Säure Diethylamid o dietilammide-25 dell’acido lisergico) il potentissimo allucinogeno sintetizzato per la prima volta nel 1938 dal chimico svizzero Albert Hofmann, è ancora un farmaco legale utilizzato in psicoterapia e in psichiatria. Sotto il controllo di Servadio, Fellini sperimenta questa sostanza nel corso di un pomeriggio domenicale, pochi giorni prima di dare inizio alle riprese del suo film più colorato.

L’utilizzo del colore, per Fellini, non è fine a se stesso ed ha una valenza spirituale particolarmente profonda. Nel corso di un’intervista rilasciata nel 1965 alla BBC il regista di Giulietta degli spiriti afferma:

«Per cercare di capire cosa sono i realmente i colori, in maniera distaccata, devi diventare uno yogin. In un certo modo ebbi un’esperienza molto divertente perché cercando di osservare il mio set nel viso dei miei attori, con occhio distaccato, con occhio umano, dopo due settimane addirittura camminavo in maniera differente perché inconsciamente feci un’operazione psicologica di distacco dagli oggetti, che è il risultato di alcune discipline orientali. Dopo due settimane un elettricista mi disse: “Signor Fellini, ma lei ha mal di schiena?” ed io chiesi: “Perché?” e lui: “Perché cammina come un soldato tedesco, come un robot”. Questo perché mi recavo ogni giorno sul set sforzandomi di riuscire a vedere tutto in maniera distaccata, come una macchina fotografica. Questo solo per dire che fare una foto a colori può diventare un’esperienza spirituale, puoi diventare uno yogin».

«PUOI DIVENTARE UN SANTO O PUOI DIVENTARE UN PAZZO»

A quel punto l’intervistatore, riferendosi al noto interesse del regista per la spiritualità, l’inconscio, i sogni e l’occulto, menziona esplicitamente l’esperienza con l’LSD.

«L’esperienza fu un po’ deludente — risponde Fellini — ricordo che non provai sensazioni speciali ma il dottore mi diede una spiegazione e sono d’accordo con lui. Lui disse che l’artista vive nell’immaginazione, quindi la barriera tra la sensazione della realtà e immaginazione è molto vaga. L’artista è sempre qui e lì in maniera continua. Questo tipo di esperimenti dà risultati migliori con… ora uso una definizione stupida, dico con “persone normali”, persone in cui la barriera è più forte tra conscio ed inconscio, in tal caso questo tipo di droghe davvero aprono una barriera verso un’altra dimensione.

Nell’artista queste porte sono sempre aperte. Comunque ricordo che c’era un’esaltazione dei colori. Vedevo i colori non come li vedi normalmente, noi vediamo i colori negli oggetti, noi vediamo oggetti colorati. In quell’esperienza vidi i colori come sono di per sé, distaccati dagli oggetti, ebbi , per la prima volta, la sensazione della presenza dei colori in maniera distaccata (…) Prendendo questa droga, l’LSD 25, la realtà diventa oggettiva, quindi la realtà è innocente, è pura, è bellezza divina.

Nello stesso momento in cui la realtà ti appare come divina bellezza, c’è anche il rovesciamento, l’altro lato. La realtà è bellezza divina in quanto noi non le diamo alcun significato, è innocenza, ma allo stesso modo non dare significato alla realtà significa che tu non comprendi la realtà, che può anche apparire come una cosa mostruosa senza senso, puoi diventare un santo o puoi diventare un pazzo».

In 8½ e in Giulietta degli spiriti — riprende l’intervistatore — lei è entrato in questo mondo ed ha mostrato questi elementi della realtà, crede che in futuro, diciamo nel suo prossimo film, ritornerà nella realtà esteriore, storica o affronterà entrambi gli aspetti?

«Credo che, anche se forse questa strada è pericolosa, io credo che quando una persona ha avuto l’intuizione, le sensazioni, quando ha aperto questa piccola porta, non credo che sia possibile tornare indietro, penso che bisogna andare avanti sempre con l’aiuto dell’ intelletto, con la protezione dell’intelletto, ma anche con la fede e la sicurezza su ciò che può accadere. Quindi credo che il mio prossimo lavoro sarà una continuazione di questa immagine».

Dell’esperimento di Fellini con il potente allucinogeno esistono versioni contrastanti. Secondo quella del regista si svolse tutto in presenza di uno psicologo, un cardiologo, un chimico, due infermieri (che gli praticarono un’iniezione per farlo tornare alla lucidità) uno stenografo e svariati microfoni accesi. La psicanalista Simona Argentieri, invece, raccoglierà da Servadio, ormai novantenne, una testimonianza un po’ diversa:

«L’esperienza si svolse con tre soli protagonisti: Fellini, un medico psicoanalista mio ex allievo e io. Niente infermieri, iniezioni eccetera. Durante l’esperimento Fellini ha lungamente dialogato con gli spiriti in cui credeva. Poi, anche con il mio aiuto, ci ha ripensato e si è convinto che si trattava di sue proiezioni. Diede così un addio a certe sedute di allora, e il risultato fu Giulietta degli spiriti, che rappresenta una liquidazione dello spiritismo».

«IL FUOCO E LA ROSA DIVENNERO UNO»

In “Fare un film”, testo pubblicato dal regista nel 1980, l’autore torna sull’argomento, affrontandolo in questi termini:

«I concetti di volume, colore, prospettiva, sono un modo d’intendersi con la realtà, una serie di simboli per definirla, una mappa, ed era proprio questo rapporto intellettuale che veniva a mancare. Come quella volta che per far contenti dei medici amici che stavano studiando gli effetti dell’LSD, accettai di fare da cavia e bevvi un mezzo bicchiere d’acqua dove dentro era stata lasciata cadere un’infinitesima parte di un milligrammo di acido lisergico. Anche quella volta la realtà degli oggetti, dei colori, della luce, non aveva più alcun senso conosciuto. Le cose erano se stesse, sprofondate in una grande pace luminosa e terrificante. In momenti come quello le cose non ti pesano; non vai a bagnare tutto con la tua persona, come un’ameba. Le cose diventano innocenti perché togli di mezzo te stesso; una verginale esperienza, come il primo uomo può avere visto vallate, praterie, il mare. Un mondo immacolato che palpita di luce e di colori viventi col ritmo del tuo respiro; tu diventi tutte le cose, non sei più separato da loro, sei tu quella nube vertiginosamente alta nel mezzo del cielo, e anche l’azzurro del cielo sei tu, e il rosso dei gerani sul davanzale della finestra, e le foglie, e la trama fibrillante del tessuto di una tenda».

A Damian Pettigrew, autore del documentario Fellini: Je suis un grand menteur, uscito in Italia con il titolo Federico Fellini: Sono un gran bugiardo (2002), il maestro del cinema rilascia la seguente dichiarazione:

«L’esperienza fu naturalmente una visione del Paradiso e dell’Inferno, coerente con la mia educazione cattolica, e come tutte le visioni genuine, molto difficile da esprimere in parole. Le lunghe scene senza parole in Toby Dammit rappresentano ciò che sono riuscito a esprimere della mia esperienza con l’LSD. Gli oggetti e le loro funzioni non avevano più significato. Tutto quello che percepivo era la percezione stessa, l’inferno di forme e figure prive dell’emozione umana e staccato dalla realtà del mio contesto irreale. Ero uno strumento in un mondo virtuale che costantemente rinnovava la sua immagine priva di significato in un mondo vivente a sua volta percepito come fuori natura. E poiché l’apparenza delle cose non era più definitiva ma senza limiti, questa coscienza paradisiaca mi liberò dalla realtà esterna a me. Il fuoco e la rosa, come fu, divennero uno».