Qui potrai trovare una vasta rassegna di materiali aventi ad oggetto uno dei periodi più interessanti della recente storia repubblicana, quello compreso tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Ottanta del secolo scorso.
Il sito comprende sei aree tematiche e ben ventidue sottocategorie con centinaia di pezzi su anni di piombo, strategia della tensione, vicende e personaggi più o meno misconosciuti di un’epoca soltanto apparentemente lontana. Per rinfrescare la memoria di chi c’era e far capire a chi era troppo giovane o non era ancora nato.
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Torino, via Candiolo, al «confine» con Moncalieri. È da poco passata la mezzanotte, tra venerdì 14 e sabato 15 gennaio 1977. Una utilitaria con a bordo tre persone — marito, moglie e un amico — si ferma all’imbocco di una stradina che porta all’interno di uno dei tanti appartamenti della via. Il guidatore, Adriano Isoardi, 30 anni, elettricista, tiene il motore acceso; d’altronde c’è freddo e nebbia, meglio avere il riscaldamento dell’abitacolo in funzione e i fari bene accesi. Assieme a lui ci sono la moglie, Giovanna Prato, 26 anni, commessa, e un amico, Giovanni Baldinu, 41 anni, meccanico. Sono tutti di ritorno da una bocciofila — sempre la solita, frequentata ogni venerdì sera — quella del dopolavoro Lancia di piazza Robilant.
Chiacchierano i tre, nel tepore dell’abitacolo della loro utilitaria; forse stanno ancora commentando qualche bel colpo della partita appena conclusa quando una 127 blu, lanciata a tutta velocità, si ferma con un grande stridore di freni affianco a loro. Dietro i finestrini, leggermente appannati, intravvedono due giovani che stanno scendendo rapidamente dall’auto: fanno appena in tempo a distinguere il loro abbigliamento — jeans e grandi giacconi — ma soprattutto il fatto che siano armati di mitra e pistole.
«Tenetevi forte e state giù», dice Isoardi alla moglie e all’amico, «qui finisce che ci sparano addosso». In un istante ingrana la prima, schiaccia a fondo il pedale dell’acceleratore e parte via sgommando. Non passa nemmeno un secondo che l’auto viene investita da una gragnuola di colpi; il lunotto posteriore va in frantumi e all’interno dell’abitacolo penetrano alcuni proiettili. Uno di questi colpisce Baldinu, che subito si accascia sul sedile del passeggero. Prato è invece schiacciata, in preda al terrore, sul divanetto posteriore dell’autovettura: nonostante le sue urla e la vista dell’amico che perde copiosamente sangue, Isoardi riesce a mantenere la lucidità per imboccare la strada verso Le Molinette.
Non è ancora finita, però. Dallo specchietto retrovisore vede i fari della 127; è l’inizio di un inseguimento in piena regola nel quale l’auto degli sparatori sembra subito più a suo agio e veloce. «Questi ci ammazzano in corsa», dicono tra di loro i due coniugi quando ormai sono oltre piazza Bengasi, «tanto vale che ci fermiamo». Il primo a scendere è Isoardi: «Il mio amico sta morendo!», dice terrorizzato; «prendeteci tutto quello che volete», urla la moglie di rinforzo, «ma non fateci del male». Mentre dicono queste parole la loro attenzione si sofferma sulla paletta dell’alt, brandeggiata da uno dei giovani che hanno di fronte. Sembra molto simile a quella utilizzata dalle forze dell’ordine. Passa qualche secondo che i due in jeans si qualificano come carabinieri in borghese: «Ma lei dov’era?», domandano rivolgendosi alla giovane signora, «non ci eravamo accorti della sua presenza. Vada ad accendere un cero a qualche santo, perché è un miracolo se è viva».
Baldinu si trova però ancora dentro l’abitacolo in condizioni gravissime. Una pallottola gli ha trapassato lo stomaco. La nuova corsa verso l’ospedale Molinette lo porterà presto sotto i ferri del prof. De Matteis che, dopo un lungo intervento chirurgico, riuscirà a salvargli la vita. I carabinieri, intanto, trattengono Isoardi all’interno della caserma di Moncalieri. Lo interrogano fino all’alba, ma poi lo lasciano andare. «Vada pure, le faremo sapere», gli dicono.
Se Baldinu, dopo l’operazione vegliato dalla moglie Silvana, è impossibilitato a parlare, l’unica versione ai pochi media che si occuperanno dell’accaduto viene fornita dal giovane proprietario dell’auto crivellata di colpi. «I due in borghese? Avevano un’aria poco rassicurante. I capelli non erano certo da militari. Mi guardavano e mostravano una specie di mitra corto. Ho pensato immediatamente a una rapina». Se le parole di Isoardi contrastano nettamente con il primo rapporto dei carabinieri — nel quale la sparatoria viene descritta come «provocata dal fatto che l’automobilista non si sia fermato all’alt»— con il passare delle ore la gravità di quanto successo verrà ammessa anche dal comando della caserma di Moncalieri: «Si tratta di un episodio estremamente doloroso. Purtroppo non siamo infallibili. Viviamo momenti di grande tensione».
Nei giorni successivi circolerà il seguente «antefatto»: i due carabinieri della pattuglia, pochi minuti prima dell’accaduto, si sarebbero lasciati sfuggire un pregiudicato ricercato dalla Procura di Alba che, fermato per un controllo, avrebbe consegnato la carta d’identità per poi, approfittando di un momento di distrazione dei militari, scappare a piedi facendo perdere le proprie tracce nella nebbia.
L’episodio di Moncalieri verrà citato anche negli «allegati» facenti capo alle modifiche alla legge Reale presentate nel giugno 1979 dai radicali. Obiettivo della riforma? Limitare l’utilizzo delle armi da fuoco da parte dei pubblici ufficiali.