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Il socialismo sul Nilo. L’Egitto di Nasser

Redazione Spazio70

Dal golpe alla nazionalizzazione del canale di Suez: l'impatto di un leader carismatico sull'Egitto moderno

di Tommaso Minotti

Giulio Andreotti, nel suo libro Visti da vicino, scrive un piccolo ritratto impressionistico del presidente egiziano Gamel Abd el-Nasser. Il Divo racconta un episodio avvenuto nel luglio 1962, vent’anni prima dell’uscita del libro. Nasser aveva invitato Andreotti e la delegazione italiana, in Egitto per vigilare sulle condizioni dei cimiteri di guerra, a casa sua. Qui si trattennero per qualche ora, discutendo di politica estera. Andreotti sottolineava in più punti la semplicità dell’abitazione, arredata in maniera austera e senza sfarzi. Le considerazioni del politico romano sono molto interessanti. Dopo aver evidenziato che, per Nasser, l’Islam era il coagulante di popoli diversi, Andreotti scrive: «Colpiva in lui la pacatezza nelle espressioni, la precisione nei termini ed un tono che nello stesso tempo era risoluto ma tendente alla convinzione degli interlocutori».

Nella conversazione con Andreotti, seppur breve, emerse in maniera chiara la natura da leader di Nasser. Il presidente egiziano era preoccupato per l’aggravarsi delle disparità economiche tra le Nazioni più industrializzate e il resto del mondo. Ad Andreotti disse che «la naturale collocazione dell’Egitto era per una sorta di autonomia disimpegnata nel quadro mondiale». Un equilibrio difficile da mantenere e per il quale sarebbe stata necessaria l’instancabile opera di un uomo inimitabile, per l’appunto Nasser. Andreotti concluse la sua descrizione scrivendo: «Quando morì, nel settembre del 1970, e lessi che la sua gente seguiva piangendo la salma, non mi meravigliai minimamente». Ma forse, il riassunto migliore per descrivere ciò che fu il presidente egiziano è nel titolo scelto da Andreotti per il capitolo dedicatogli: «Nasser il carismatico».

Nasser fu un uomo decisivo nella storia dell’Egitto contemporaneo. Il suo rapporto con il popolo era quasi magico e, nonostante le sconfitte, il sostegno degli egiziani non venne mai meno. Ma Nasser fu anche un innovatore in campo ideologico. Il socialismo arabo, di cui il presidente egiziano fu rappresentante teorico e pratico, è debitore nei suoi confronti e vale la pena approfondire le ragioni di ciò.

L’UOMO FORTE DELL’EGITTO

Nasser (a destra) e Muhammad Naguib durante le celebrazioni per il secondo anniversario della rivoluzione egiziana del 1952

Gamal Abdel Nasser (a destra) e Muhammad Naguib durante le celebrazioni per il secondo anniversario della rivoluzione egiziana (1952)

L’Egitto del secondo dopoguerra era una polveriera pronta a esplodere. Sentimenti antibritannici e anticolonialisti erano oramai sedimentati all’interno di tutti i livelli della società. La diffusione di questi impulsi fu aiutata dall’inettitudine di re Farouk, il cui trono si mostrò da subito traballante. A dare la scossa decisiva fu un gruppo di ufficiali dell’esercito, tutti sulla trentina, guidati da Nasser. Il 22 luglio 1952, in anticipo rispetto alla data concordata a causa di una soffiata anticipatoria arrivata a re Farouk, i Liberi ufficiali attuarono il golpe, che funzionò. Farouk si ritirò in Italia e la popolazione rimase tranquilla. Il periodo post-colpo di Stato fu confuso. Nel gennaio 1953 vennero sciolti i partiti e Nasser divenne il leader del Consiglio del Comando della Rivoluzione egiziana. Ma il volto della fase iniziale della rivoluzione fu il generale Muhammad Neguib, più anziano rispetto agli altri ufficiali. Pur non essendo stato coinvolto dall’inizio, Neguib fu scelto per assumere il ruolo di primo presidente della Repubblica d’Egitto. In poco tempo emersero pesanti dissidi tra Neguib e Nasser. Quest’ultimo si adoperò per defenestrare Neguib ed ebbe successo, divenendo primo ministro nell’aprile del 1954. Dopo qualche mese, nel novembre dello stesso anno, mise agli arresti Neguib. Nasser era ufficialmente diventato l’uomo forte dell’Egitto.

Le prime misure politiche del nuovo capo del governo si concentrarono nella repressione delle «estreme». Da una parte, a sinistra, limitò di molto le libertà sindacali, arrestando e condannando a morte anche alcuni leader comunisti. Dall’altra, a destra, ci fu un’offensiva contro i Fratelli Musulmani. Dopo un fallito attentato ai danni dello stesso Nasser, arresti di massa e la condanna a morte di tre leader della Fratellanza Musulmana si abbatterono sull’organizzazione islamica. Il nuovo leader mandava un messaggio chiaro: il panorama politico era sotto il suo controllo.

LA NAZIONALIZZAZIONE DEL CANALE DI SUEZ

Fino ai primi anni Cinquanta, Nasser era una figura sconosciuta ai più. Ufficiale di giovane età, aveva guidato il golpe dalle retrovie lasciando a Neguib il ruolo di volto della rivoluzione. Ma, scavalcata la metà del decennio, decise di diventare una figura più riconoscibile. In questa operazione ebbe un ruolo centrale la sua capacità di tenere discorsi comprensibili, semplici e immediatamente ricevibili dall’egiziano comune. In parallelo a questa svolta pubblica, accumulò una serie di cariche e ruoli: presidente dell’Egitto, leader dell’unico partito legale, il Liberation Rally, e capo di Stato maggiore dell’esercito. Ciò gli permise di diventare un volto e un nome noto a tutti gli egiziani. In politica estera, l’area di maggiore tensione fu il Sudan. In questa zona l’Egitto aveva mire egemoniche che si scontravano con la presenza britannica. I rapporti tra Il Cairo e Londra erano soggetti a turbolenze, causate dalla presenza dei soldati di Sua Maestà nel territorio egiziano. Un successo di Nasser fu proprio l’accordo con la Gran Bretagna nell’ottobre 1954. Nel patto si stabiliva che le truppe di Sua Maestà andassero ritirate. Per una Nazione, come l’Egitto, in cui i sentimenti antibritannici erano particolarmente spiccati, la partenza delle truppe inglesi era una vera liberazione. Ma il controllo di Londra sul canale di Suez era ancora ben saldo.

Nello sviluppo dell’Egitto come fulcro del nazionalismo panarabo, decisivo fu il ruolo di Sawt al-Arab, La voce degli arabi. Fortemente voluto da Nasser, era il primo programma radiofonico internazionale trasmesso da un Paese arabo. Parallelamente a queste attività culturali, il presidente egiziano cercò di dare rinnovata centralità alla Lega Araba. Costituita nel 1944 al Cairo, era stata sostanzialmente uno strumento in mano agli inglesi. Ma Nasser la pensò come un utile mezzo con cui dare rilievo internazionale all’Egitto. Anche per questa ragione, il presidente egiziano partecipò, nell’aprile del 1955, alla conferenza dei Paesi non allineati a Bandung, in Indonesia. L’accordo per le armi con l’Urss e questo protagonismo in politica estera, cementato dalle amicizie con leader come Tito e Makarios, furono le fondamenta per il grandioso successo della nazionalizzazione del canale di Suez. Un evento storico che sancì la morte del colonialismo ottocentesco di Francia e Gran Bretagna, consacrando Nasser come leader mondiale.

LA REPUBBLICA ARABA UNITA E GLI ULTIMI, DIFFICILI, ANNI

Firma del trattato istitutivo della Repubblica araba unita da parte del presidente della Repubblica siriana Shukri al-Quwwatli (a sinistra) e del suo omologo egiziano Gamal Abd el-Nasser (2 febbraio 1958)

Firma del trattato istitutivo della Repubblica araba unita da parte del presidente della Repubblica siriana Shukri al-Quwwatli (a sinistra) e del suo omologo egiziano Gamal Abd el-Nasser (2 febbraio 1958)

I successi in politica estera gli permisero ampi margini di manovra in politica interna. Nasser creò un’Assemblea Nazionale a lui fedele e trasformò il Liberation Rally nell’Unione Nazionale, che divenne partito unico. Dedicò infine grande attenzione ai servizi segreti, fondamentale protezione contro i colpi di Stato. L’attivismo del presidente egiziano, tra fine anni Cinquanta e inizio anni Sessanta, fu però rivolto soprattutto al di fuori dei confini nazionali. Il primo febbraio 1958 venne fondata la Repubblica Araba Unita, un tentativo di concretizzare le istanze panarabe. Siria ed Egitto si unificarono, ma la netta preponderanza del Cairo su Damasco scontentò i siriani. Dopo tre anni travagliati, in cui la RAU aveva perso anche l’appoggio dell’influente partito Ba’ath, il 28 settembre 1961 l’esercito siriano intervenne mettendo fine all’esperimento panarabo.

Quasi in parallelo, Nasser si interessò allo Yemen dove un golpe di giovani ufficiali, riuniti nel Consiglio rivoluzionario di Abdullah Sallal, aveva scalzato dal potere Mohamed Al Badr. Quest’ultimo, tuttavia, raccolse le forze a lui fedeli e creò una sorta di resistenza. Iniziava una guerra civile che coinvolse fino a 70000 soldati egiziani a supporto di Sallal. La pace, raggiunta dopo la Guerra dei sei giorni, mise fine a uno sforzo finanziario e militare difficilmente sostenibile dal Cairo.

Queste sconfitte in politica estera intaccarono il suo prestigio all’interno dei confini nazionali. Per strutturare meglio un proprio partito, Nasser lanciò l’Unione Socialista Araba con l’obiettivo di aumentare la presa sulla società egiziana. Qualche segnale di cedimento c’era e la crisi economica non aiutava. La seconda metà degli anni Sessanta si confermò durissima per Nasser. Nel 1967 la Guerra dei sei giorni, inaspettatamente stravinta da Israele, portò Nasser alle dimissioni. L’allontanamento al potere fu, tuttavia, brevissimo. Le oceaniche manifestazioni di piazza in suo appoggio lo convinsero a tornare. Ma la sua posizione era più debole. Il suo compagno Abd Al-Hakim Amer si suicidò in carcere dopo l’arresto. Amer era stato il dominus dell’esercito per conto di Nasser e quindi era il capro espiatorio perfetto per accontentare gli egiziani, sconfitti, increduli e desiderosi di identificare un colpevole. Nel 1969 Nasser provò la riscossa inaugurando la guerra d’attrito con l’obiettivo di recuperare il controllo del canale di Suez e del Sinai. Ma fu un nulla di fatto. Le sue condizioni di salute, nel frattempo, erano notevolmente peggiorate. Morì il 28 settembre 1970 per infarto. I funerali furono partecipatissimi e grandissima fu la commozione popolare.

CONTRO GLI INTERESSI «STRANIERI» E LA MONARCHIA «CORROTTA»

Definire cosa sia il socialismo arabo è operazione complessa, inquadrare il ruolo di Nasser all’interno di tale corrente di pensiero lo è meno. Il presidente egiziano ne fu esponente decisivo e fondamentale. Il suo punto di partenza è stato, tuttavia, il nazionalismo. Per Nasser l’Egitto è appartenuto a tre mondi che si sovrapponevano: Africa, mondo arabo e Islam. Il Cairo, dal centro, avrebbe dovuto fungere da promotore di un nazionalismo panarabo. Parallelamente a questa convinzione, Nasser sviluppò la sua concezione di socialismo.

Dal punto di vista economico, non il più importante per il presidente egiziano, le convinzioni di Nasser si tradussero soprattutto in un misto tra statalismo e cooperativismo. Lo Stato funzionava da guida, soprattutto perché l’economia egiziana era viziata dai difetti del colonialismo. A queste debolezze intrinseche si sommò la vicinanza con l’Unione Sovietica che fece tendere Nasser verso l’economia pianificata. L’industrializzazione dell’Egitto fu portata avanti sotto il controllo dell’Organizzazione economica e del Comitato per la Pianificazione Nazionale. Era un capitalismo di Stato che difettava, tuttavia, di rapporti tra pubblico e privato. Così si spiega l’ondata di nazionalizzazioni che investì il mondo economico egiziano agli inizi degli anni Sessanta. Banche, compagnie assicurative e industrie passarono sotto il controllo dello Stato e gli arresti di capitalisti infedeli a Nasser, con la conseguente confisca delle loro proprietà, segnava la definitiva ed energetica discesa in campo economico del presidente egiziano.

Tuttavia, si trattava più di una manovra nazionalista che socialista. L’obiettivo era spazzare via le compagnie legate a potentati internazionali o alla vecchia monarchia corrotta. Nel 1960 venne varato il primo piano quinquennale dove si sancirono i cinque campi in cui lo Stato aveva la netta predominanza: commercio con l’estero, banche, assicurazioni, trasporto pubblico e grandi industrie. Due manovre pienamente socialiste furono la tassa progressiva sui redditi, che permise a Nasser di tagliare i costi dei servizi di base, in primis educazione e affitti, e l’obbligo per le grandi industrie di avere una rappresentanza dei lavoratori nel consiglio d’amministrazione e di riservare una quota dei profitti ai lavoratori stessi. La formula statalista funzionò e, nonostante l’inflazione e il debito pubblico in aumento, l’economia crebbe.

INTERCLASSISTA E ANTIDOGMATICO. IL SOCIALISMO ARABO

Nasser alla cerimonia d'inaugurazione dell'Alta diga di Aswān, tra il leader sovietico Nikita Khruscev e il ministro della Guerra egiziano Abd Al-Hakim Amer

Nasser alla cerimonia d’inaugurazione dell’Alta diga di Aswān, tra il leader sovietico Nikita Khruscev e il ministro della Guerra egiziano Abd Al-Hakim Amer

Lo Stato, in campo sociale, aveva un ruolo altrettanto importante. Il socialismo arabo di Nasser non prevedeva la lotta di classe. In tale direzione, il presidente egiziano adoperò una serie di strumenti. In primis l’Unione Socialista Araba, fondata da Nasser nel 1962. Un movimento di massa, strutturato come partito, che funzionava da contenitore per mitigare i conflitti di classe. L’altro mezzo con il quale Nasser nascose la conflittualità sociale in Egitto fu, ovviamente, lo Stato. La conflittualità di classe era risolta dall’unità nazionale, di cui l’apparato statale era la massima espressione.

Tuttavia, la natura piccolo borghese del socialismo arabo di Nasser si rendeva manifesta dalla sua predilezione per le piccole e medie imprese, tutelate e finanziate. I suoi piani politici, legati al socialismo arabo, vennero messi in nero su bianco dalla Carta Nazionale del 1962. Dopo la pubblicazione di questo documento, iniziò un dibattito per specificare la natura del socialismo arabo, il cui primo obiettivo doveva essere creare una società democratica e cooperativa. Le connessioni tra il socialismo arabo e scientifico, in realtà, erano già emerse nel 1957. Nasser evidenziò ripetutamente la modernità della sua ideologia, evoluzione naturale di una dottrina che era in continuo miglioramento. Il socialismo arabo aveva la base del socialismo scientifico, ma ne rappresenta uno sviluppo nuovo. La stessa Carta Nazionale era spesso definita moderna, al passo con i tempi e attenta ai veloci cambiamenti che avvengono nel mondo.

Questa concezione di modernità era accompagnata dal rigetto del capitalismo e del comunismo in egual misura. Nasser tentò anche di sottrarre la locuzione socialismo scientifico dal territorio del marxismo-leninismo. I teorici del socialismo arabo furono particolarmente duri nei confronti dei comunisti, considerati troppo legati a potenze estere. Nasser stesso evidenziò le degenerazioni delle Nazioni comuniste che il presidente egiziano considerava dittature. La proprietà collettiva era accettata, ma senza esagerazioni. Ad esempio, si favorì la redistribuzione della terra, ma l’abolizione della proprietà privata non era nemmeno contemplata. La natura del socialismo arabo, secondo Nasser, era interclassista e prevedeva la democrazia per tutti, non c’era spazio né per duri conflitti di classe né per dogmatismi fanatici. Testimonianza di questa flessibilità, che per i nasseristi era sinonimo di maturità e vicinanza allo spirito umano, era la già citata Carta Nazionale del maggio 1962. Sotto il suo ombrello si riunirono moderati, marxisti, anticomunisti e socialisti.

L’URGENZA DI CREARE UN SOLIDO PIANO IDEOLOGICO

Un momento importante per Nasser e il socialismo arabo fu l’incontro con gli intellettuali e i rappresentanti dei lavoratori, dei contadini e dei professionisti, nel novembre 1961 e quindi prima della pubblicazione della Carta Nazionale. Nell’assise venne formato un Comitato preparatorio per il Congresso Nazionale delle Forze Popolari. L’obiettivo di Nasser era la creazione di un impianto ideologico solido. Il presidente egiziano era, infatti, consapevole del fatto che il socialismo arabo peccava di debolezza teorica, pur avendo una formidabile forza pratica. Per portare a termine il compito, Nasser si avvalse di una serie di intellettuali nasseristi come Ihsan Abd al-Qudus e Muhammad Hasanyn Haykal. Il primo riteneva la rivoluzione di Nasser nazionalista e anticolonialista, l’obiettivo doveva essere l’indipendenza e la fine della corruzione. Haykal, invece, portavoce di Nasser e editore del giornale nasseriano al-Ahram, distinse il socialismo arabo dal comunismo e nel farlo caratterizzava il socialismo arabo stesso. Haykal notò sette differenze, tra cui le seguenti: nel socialismo arabo le classi sociali vengono abolite in un contesto di unità nazionale; la base del socialismo arabo è l’individuo, fondamento della società; nel socialismo arabo le modifiche, dettate dall’esperienza, hanno enorme spazio. Lo stesso Sadat, imbeccato da Nasser, affermò che «puntano ad abolire lo sfruttamento e lavorano per far sparire le differenze di classe».

Ma Nasser cosa pensava? Nel novembre 1958 definì in tal modo il socialismo: «… è la distruzione del feudalesimo, monopolio e dominio del capitale. (Il socialismo consiste nel) costruire un’economia nazionale e (nel) costruire la crescita di questa economia e il suo sviluppo per andare incontro ai bisogni della società, per creare giustizia sociale». Il socialismo arabo sorpassò il nazionalismo panarabo all’interno della scala valoriale di Nasser dopo il collasso della Repubblica Araba Unita. Già nell’ottobre del 1961 Nasser identificava i suoi nemici nei reazionari e da quel momento misure più compiutamente socialiste vennero implementate. Il presidente egiziano optò anche per una migliore organizzazione politica che sfruttò l’intensa attività bibliografica sul tema di cui Nasser fu ispiratore. Il socialismo arabo era una tipologia unica di socialismo e non solo una via araba nonostante la centralità della componente araba. Nell’idea di Nasser il socialismo arabo doveva essere rivolto a tutti, con l’Egitto democratico, socialista e cooperativista come centro propulsore di questa ideologia nuova e indipendente.

Nonostante i ripetuti riferimenti all’interclassismo, Nasser non mancò mai di evidenziare la lotta della classe lavoratrice contro lo sfruttamento capitalista. In un discorso del 22 luglio 1961 identificò la working class con i salariati, i contadini e gli operai: «La classe lavoratrice inizia con il presidente della Repubblica che vive con il suo salario e va avanti con il lavoratore che vive con il suo salario». Poi aggiunge: «La dittatura del capitale sfrutta tutti i mezzi per presentare la classe dominante… Il capitalismo sfruttatore che governa alleandosi con il feudalesimo. Le armi del feudalesimo fondiario e del capitalismo sfruttatore sono i mezzi di produzione che spremono il popolo. Per capitalisti sfruttatori io intendo coloro che usano i loro soldi per sfruttare il popolo e succhiare il suo sangue… Ci sono proprietari che non sono sfruttatori, la cui ricchezza è il prodotto del loro lavoro, che non hanno usato questa ricchezza per lo sfruttamento. Noi non siamo contro la proprietà in maniera assoluta, ma contro lo sfruttamento». Fu un discorso che manifestava il lato più conflittuale del socialismo arabo secondo Nasser ma che manteneva le forti tinte di neutralismo di classe e i continui rimandi all’unità sociale all’interno dello Stato.

COSA RESTA DI NASSER?

I funerali di Nasser (Il Cairo, 1 ottobre 1970)

I funerali di Nasser che videro la partecipazione di cinque milioni di persone (Il Cairo, 1 ottobre 1970)

La domanda del titolo di questo ultimo paragrafo richiede una doppia risposta. Del socialismo arabo declinato secondo le convinzioni di Nasser rimane poco o nulla. Ciò perché è affetto dai difetti congeniti che hanno caratterizzato tutte le terze vie che si sono viste nella storia. Dal metaxismo all’Estado Novo di Salazar, quella bizzarra mistura di corporativismo economico e statalismo sociale non è mai riuscita a sopravvivere al proprio leader e capo carismatico. Una delle ragioni di ciò è il rachitismo ideologico, di cui fu vittima anche il socialismo arabo pensato da Nasser. Senza solide fondamenta e senza nessuno capace di raccoglierne l’eredità, è stato facile dimenticare sia i lati positivi sia i lati negativi del pensiero socialista del presidente egiziano.

Ma di Nasser, come presidente e come uomo, rimane molto. Figura carismatica e unica, è un gigante per l’Egitto e le Nazioni del Terzo Mondo. Campione dell’anticolonialismo, fu capace di rappresentare i popoli sfruttati del globo. Le sue amicizie con altri grandi personaggi come Makarios, Tito e Nehru, saldarono un fronte compatto contro le istanze neoimperialiste. Tra sconfitte epocali, come la Guerra dei sei giorni, e successi travolgenti, la nazionalizzazione del canale di Suez, rimase il punto fermo del rapporto con il popolo egiziano. Ci sarebbe bisogno di un trattato di sociologia per descrivere un legame così intenso e così forte, quasi mistico. E questo è un grandissimo merito di Nasser che sembra poter scavalcare e relegare nell’ombra le sue mancanze ideologiche e i suoi errori.