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La crisi del luglio ’64 e il ruolo di Emilio Colombo

Redazione Spazio70

Da un articolo del febbraio 1968 pubblicato su L'Astrolabio

L’onorevole Colombo è ancora oggi un uomo politico influente. Occupa un dicastero chiave come quello del Tesoro, gode della fiducia e della simpatia della grande stampa e degli ambienti imprenditoriali che la finanziano, ha nel suo partito una solida fama di esperto di problemi economici che gli consente anche iniziative spregiudicate com’è avvenuto al recente convegno meridionalista della Dc, in cui poté tranquillamente criticare l’intera politica dei governi post-bellici nel Mezzogiorno. Tuttavia nel 1964 Colombo aveva nella politica italiana un potere notevolmente superiore. Attorno al Presidente della Repubblica Segni si muoveva un gruppo doroteo estremamente compatto, in grado di dominare da solo la Dc. Taviani, Gui, Rumor ne erano i principali esponenti, ma su tutti svettava Colombo, il pupillo del presidente, l’uomo nuovo che avrebbe dovuto, secondo i diffusi giudizi di allora, sostituire quanto prima Moro alla Presidenza del Consiglio (sin dal ’64 i commentatori politici dicono che Moro ha i giorni contati).

UNA CRISI ECONOMICA «INCOMBENTE»

Il 1964, anno del trionfo dell’impostazione moderata della politica di centro-sinistra, fu per Colombo un anno ricco di fortunate iniziative. Per conto dei dorotei, ma con evidenti funzioni di leader, Colombo effettuò alla fine di maggio una clamorosa sortita pubblica in forma di lettera riservata a Moro per denunciare una situazione economica così grave da richiedere l’urgente archiviazione di tutte le riforme contenute nel programma del primo governo di centro-sinistra.

Nella lunga crisi dell’estate il ministro del Tesoro svolse quindi legittimamente il ruolo di principale esponente politico di un indirizzo drasticamente contrario al varo di quasi tutte quelle leggi che secondo i socialisti dovevano qualificare la ripresa della loro collaborazione con la Dc, a cominciare dalla riforma urbanistica.

Si è saputo in questi ultimi mesi che Segni era profondamente agitato durante la crisi del luglio ’64 e si sono avute autorevoli testimonianze del ruolo allarmistico svolto presso di lui dal generale De Lorenzo che gli prospettava una difficile situazione dal punto di vista dell’ordine pubblico. E’ probabile che nello spaventare il presidente Segni, Colombo abbia avuto, se non proprio nei giorni della crisi, nei mesi immediatamente precedenti, un ruolo quanto meno non inferiore a quello del generale De Lorenzo.

Chi ebbe occasione di incontrare Segni nel luglio del ’64 può confermare che quella della crisi economica incombente era per lui una vera ossessione. L’Astrolabio ha del resto pubblicato due settimane fa, senza ricevere smentite, la notizia di un drammatico colloquio che si svolse nel corso della crisi tra Segni e Nenni, e che vide il Presidente della Repubblica, con giustificazioni basate sulla minaccia di un crollo dell’economia italiana, minacciare apertamente al leader socialista la propria pubblica opposizione a una legge urbanistica analoga a quella presentata dal ministro Sullo nel 1963 alla fine della legislatura e non approvata per mancanza di tempo.

L’EPISTOLA SEGRETA

Sarebbe stato strano che, mentre i fatti del luglio ’64 vengono alla ribalta con l’intervento di molti dei protagonisti e mentre sono in gioco sorti e interessi dei più potenti gruppi di potere della Dc, il ministro Colombo rimanesse a osservare le battaglie in corso con olimpica indifferenza. Eppure, stando ai dati ufficiali fin qui apparsi sui giornali, le cose sarebbero andate proprio così.

Andreotti e Scalfaro hanno manifestato propositi bellicosi nei giorni in cui l’inchiesta parlamentare poteva ancora sembrare possibile, mentre gli ambienti fanfaniani, l’onorevole Piccoli e con molta prudenza lo stesso Rumor, prendevano in considerazione la prospettiva di un chiarimento dell’episodio del luglio ’64 che in definitiva avrebbe sì comportato la fine politica di qualche importante esponente del partito, ma avrebbe forse risparmiato alla Dc una campagna elettorale nella quale tutte le parti politiche potranno individuarla come colpevole e decisa a sfuggire alle proprie responsabilità. Di Colombo non se ne parlava per nulla.

Alla vigilia della riunione dei partiti del centro-sinistra, convocati su richiesta dei socialisti che avevano espresso propensione per l’inchiesta parlamentare, in ambienti qualificati del mondo politico romano è improvvisamente venuto fuori di nuovo il nome di Colombo, per spiegare come mai la Dc, che sulle prima sembrava piuttosto incerta, andasse all’incontro con i socialisti in una posizione di rifiuto deciso di tutte le loro richieste: «Colombo», si è detto a Piazzale Sturzo, «ha scritto un’altra lettera, decisiva come quelle del ’64, ma stavolta la vuole tenere segreta…».

UN GRADITO RICATTO

Il Colombo del 1968, meno potente e meno arrogante di quello del 1964, non si è preoccupato di far conoscere al Messaggero il testo della sua lettera di questi giorni al presidente Moro. Si trattava, secondo voci assai attendibili, di una aperta minaccia di dimissioni nel caso in cui, secondo gli orientamenti di parecchi esponenti della Dc, si fosse accettata la richiesta dei socialisti relativa all’inchiesta parlamentare.

E’ piuttosto facile intuire il significato che le dimissioni di Colombo avrebbero inevitabilmente assunto: per un vasto arco di forze moderate e conservatrici sarebbero state un segnale di battaglia contro un centro-sinistra manifestamente incapace di tutelare i più delicati segreti militari e in definitiva gli stessi vincoli che legano l’Italia all’alleanza atlantica. Specie alla vigilia delle elezioni una simile sortita aveva obiettivamente una forza tale da non offire a Rumor alcuna possibilità di scelta.

Nella Dc esistono infatti delle serie preoccupazioni per come i cattolici democratici reagiranno di fronte alle rivelazioni sul luglio ’64, ma un’accusa di incapacità di tutelare i cardini anticomunisti e atlantici del sistema, avallata da un uomo del prestigio di Colombo, avrebbe fatto correre al partito di Rumor un rischio ben peggiore: quello della crisi del suo folto elettorato d’ordine.

La minaccia, se sono esatte le voci che riferiamo, è stata subito accolta con sollievo dall’onorevole Moro, la cui posizione personale sarebbe stata fortemente insidiata dalle modifiche nell’equilibrio interno del partito e del governo che l’inchiesta* avrebbe comportato. Se Colombo non si è sentito in condizione di rendere pubblica anche questa sua nuova lettera privata, ha però confermato la forza ancora non trascurabile di cui gode nel nostro Paese, che ha fatto sì che le voci, pur insistenti, su questa sua iniziativa non venissero riportate dalla stampa.

Con il «gradito ricatto» di Colombo, Moro ha fatto completamente rientrare quello che poteva essere un tentativo estremo di disimpegno dall’affare del luglio ’64.

 

NOTA

* La Commissione parlamentare d’inchiesta sugli eventi del giugno-luglio 1964 verrà più tardi istituita — con legge 31 marzo 1969, n. 93 — al fine di compiere accertamenti sulla vicenda della gestione del Servizio Informazioni Forze Armate (SIFAR), già oggetto di campagne stampa e di una inchiesta ministeriale. In particolare, la legge conferiva alla Commissione il mandato di «accertare […] le iniziative prese e le misure adottate nell’ambito degli organi competenti in materia di tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza, in relazione agli eventi del giugno e del luglio 1964», esaminare se i comportamenti del SIFAR dovessero essere considerati in contrasto con la normativa vigente, formulare proposte di riordinamento dei Servizi di informazione e sicurezza. Composta di nove deputati e nove senatori nominati dai Presidenti delle Camere, la Commissione ha avuto come Presidente il deputato Giuseppe Alessi.